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Il sesso come effetto placebo: "Meno cazzate" di Nat Gildi per Giulio Perrone Editore

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Meno cazzate
di Natalia Gildi
Giulio Perrone Editore, gennaio 2023

pp. 120
€ 17 (cartaceo)

Si riferisce soprattutto a quel periodo, tua madre, quando ti dice con aria di rimprovero: devi fare meno cazzate. Sapete benissimo entrambe che le tue cazzate hanno sempre un nome ed è sempre un nome di uomo. (p. 10)
Probabilmente ho un debole per le copertine che abbinano il rosso al rosa, ne sono consapevole. Mi sono lasciata tentare anche stavolta da questo mix che trovo irresistibile e da questa silhouette femminile che, nelle onde bionde e nelle sopracciglia perfette, mi ricorda tantissimo Moana Pozzi.
Natalia Gildi pubblica "Meno cazzate" con Giulio Perrone Editore, un romanzo breve che ha tutto il sapore dell'autobiografia o quantomeno del memoir/diario arricchito da esperienze realmente vissute da parte dell'autrice. Sono mie supposizioni, potrebbe benissimo essere tutto frutto di fantasia, ma rimango della mia idea.
La protagonista del libro è una ragazza giovane e senza nome (dico ragazza per maggiore scorrevolezza, ma si tratta di una persona non-binaria) che si muove, al contrario, in un mondo stracolmo di nomi, di personaggi e di personalità: troviamo l'Alchimista, L'Apostolo, il Genio, il Professore, abbinati a nomi propri più comuni, Carlo, David, Arianna, Circe, Leon (rimando mentale immediato a "Léon" di Luc Besson, chissà se voluto o meno, nella rappresentazione di un uomo maturo che fa da mentore alla ragazzina di turno, introducendola alla vita), volti e corpi che, volente o nolente, passano tutti per un luogo, il Gorilla, un pub pseudo-medievale della capitale in cui regnano l'alcool e una clientela piuttosto omogenea di Millennials senza arte né parte.
Per una serie di ragioni, la protagonista cercherà di riempire le sue mancanze e i suoi dolori attraverso l'uso smodato del sesso: non saranno però solamente rapporti fini a se stessi, ma anche vere e proprie storie d'amore fulminee e brucianti, passioni focose, passioni dolorose, desideri detti e non detti, gelosie irrefrenabili e per questo tenute segrete, esplorazioni nei campi più svariati, nel BDSM, nel poliamore, nel fetish, senza distinzione tra l'andare a letto con gli uomini o con le donne.
Vivo solo per trovare un modo per essere desiderata dall'oggetto della mia concupiscenza, lo sogno la notte. Una parola di apprezzamento da parte sua è abbastanza per riempirmi lo stomaco per settimane nella mia segreta personalissima carestia di affetto (p. 170)
Carestia di affetto. 
Mi è capitato di leggere sempre più spesso, specie nell'ultimo anno, libri che centralizzano questo sentimento conflittuale, ovvero la mancanza vitale di qualcosa di indefinito che viene colmata abbandonandosi ai corpi altrui, in una disperata ricerca d'amore e accettazione. Come nel caso di "Metropolitania" di Carolina Cavalli per Fandango e "Darryl" di Jackie Ess per Pidgin, anche qui l'autrice indica come metodo palliativo di salvezza l'amore carnale. 
Palliativo perché in fondo il sesso consumato così è solo un modo per distrarsi, per non pensare, per sentirsi vivi.
E tutte le stronzate che mi sono raccontata solo per potermi buttare in una relazione con gli occhi bendati come faccio sempre, in una relazione che fosse nuova ed eccitante e con una dinamica interessante da raccontare, una dinamica che stupisse e che mi permettesse di soffrire segretamente di notte (p. 86)
Sotto traccia, aleggia questa fatidica notte del Dramma, che però non è ben chiaro come e quando avrà luogo (o se è già successo o succederà) perché la narrazione si svolge su diverse linee temporali, tra flashback e racconti al presente. Cosa succede davvero? Perché le cose sembrano dividersi tra quelle "accadute prima del Dramma" e quelle "accadute dopo del Dramma"? C'è un grande hype al riguardo tra le pagine, ma forse nelle intenzioni dell'autrice c'era la sospensione, il non-detto, perché la risoluzione nemmeno troppo esplicativa del mistero arriva praticamente nelle ultimissime pagine.
Tra le righe si avverte la centralità dell'inadeguatezza più che quella del desiderio: vero è che il sesso ha un ruolo da protagonista, ma non è rappresentato come uno scarico emotivo sano; è solo un mezzo, una medicina dall'effetto placebo.
La scrittura di Natalia Gildi è colloquiale, senza discorsi diretti, quindi un racconto fluido nella teoria; nella pratica ci si ritrova però, in alcuni periodi, a incespicare. Mi rendo conto che la narrativa contemporanea pare avvalersi sempre più spesso di questo tipo di stile, "parlato" più che "narrato", tuttavia non incontra il mio gusto. Inoltre, in quanto a sostanza, mi sarebbe piaciuto un racconto meno trattenuto e meno acerbo: ci sono i conflitti, c'è il terreno d'azione, ci sono i personaggi, ma ho avuto come l'impressione di una paura di lasciarsi andare del tutto, una paura del giudizio altrui. Se un'autrice o un autore decide di mettersi a nudo, che lo faccia davvero, perché, in caso contrario, il lettore capirà che qualche pezzo di indumento è rimasto al suo posto, e con questo non voglio dire che si sarebbe dovuto estremizzare la narrazione (come nel caso del romanzo della Cavalli) o adottare terminologie più crude, ma semplicemente approfondire le descrizioni di quei rapporti tanto centrali, per non lasciarli solo in superficie e per far sì che il lettore potesse effettivamente empatizzare con la protagonista.
Il vero focus qui, a mio avviso, è la sofferenza, e nel libro ci sono alcuni passaggi che esplorano le luci e le ombre di questo sentimento, in modo però troppo adolescenziale, laddove la storia si prestava a esplodere necessariamente "ferendo" il lettore della sua stessa sofferenza.
Se letto tenendo conto che rappresenta quasi un diario intimo più che una vera e propria confessione non ne rimarrete delusi. Credo che, appunto, il target di questo romanzo sia una persona giovane che, per inclinazioni personali o esperienziali, possa ritrovarsi nella protagonista o in quel sentimento di estraniazione e di sfasamento tipico della giovane età.


Deborah D'Addetta