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#PilloledAutore: amore e morte che lottano ne "Gli innamoramenti" di Javier Marías

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Gli innamoramenti
di Javier Marìas
Einaudi, 2014

Traduzione di Glauco Felici
pp. 328
€ 12,50 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)

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Sì, sbagliano i morti a ritornare, eppure quasi tutti lo fanno, non indietreggiano, e lottano per diventare la zavorra dei vivi fino a che questi non se li scuotono via per poter procedere. (p. 285)

Amore e morte lottano corpo a corpo in questo grande romanzo di Javier Marías, scrittore madrileno scomparso a settembre 2022 e pianto dai lettori di tutto il mondo. 
Gli innamoramenti è una storia che inizia con la visione di una coppia felice - Luisa e Miguel - che fa colazione nel proprio bar di fiducia e subito dopo ci propone la morte improvvisa di lui. Suona come la fine di un sogno, il termine di una qualche perfezione che i due insieme incarnavano dando anche a chi li osservava una sensazione di pace e serena forza d'animo. C'è un occhio, in particolare, che ha preso l'abitudine di osservarli, quello di María, voce narrante del libro. 

Accoltellato per strada da un custode di un parcheggio, un uomo folle e solo che non sembra avere nessun legame con la vittima se non quel filo rosso di casualità che a volte unisce gli esseri umani secondo traiettorie impreviste, Miguel scompare lasciando un vuoto che le parole fanno fatica a colmare. Lo lascia anche in María che quella coppia la guardava da un tavolino di un caffè fantasticando sulla pienezza della loro vita per arricchire un po' anche la sua. Avvicinarsi alla vedova diventa quindi un richiamo quasi naturale e dal loro incontro nuovi incontri nasceranno portando la donna verso nuovi innamoramenti. 
Javier Marías traccia nello spazio di questo libro una mappa di alcune delle più umane forme di sentire: amore, ossessione, perdita, vendetta. Il romanzo sembra una corda tesa sull'abisso delle azioni più intimamente crudeli che i nostri sentimenti possono portarci a compiere. 

Il lutto - esperienza che dà senso ad altre esperienze - diventa un oggetto esplorato e riesplorato, fino a raggiungerne il nucleo. Accogliere la presenza dell'altro nella nostra vita significa sin dal tempo zero accettarne la potenziale scomparsa. Riempiamo la vita di presenze sapendo che faremo i conti con le assenze. Sono pensieri tortuosi che il lettore può riscoprire vicini alle proprie paure più grandi, quelle che a volte vengono alla mente per poi essere scacciate con forza. 
Per questo pare quasi che il tono del romanzo sia un rincorrersi di pensieri, una lunga riflessione, una confessione fatta in un solo respiro. Sembra che la letteratura qui si affanni per colmare il vuoto. Sul finale tutto diventa più narrato, con dialoghi serrati che ci stringono in una morsa di conclusive rivelazioni. 

Nel creare María, Marías dà corpo a una voce narrante che ha un andamento quasi convulso. Da mera osservatrice esterna diventa nel corso della storia parte attiva della vicenda, imparando alla fine a voler più bene a se stessa e ad amare con dignità, indipendentemente dall'agire dell'altro. Gli innamoramenti ci dice che la morte è quella forza capace di togliere un'infinità di cose alle nostre esistenze, ma anche di portare nuovi dolorosi vissuti e nuovi dialoghi. Ci sono tanti fantasmi che tornano continuando a presentarsi e lasciando ai vivi una zavorra di sentimenti da gestire. E in mezzo a tutto questo sta l'amore, l'altra forza che ci spinge avanti e indietro come su una risacca piena di residui. 
Tra i fantasmi del romanzo compaiono anche quelli di altre pagine letterarie: il colonnello Chabert di Honoré de Balzac, Athos (conte de La Fère) e la Milady de Winter di Alexandre Dumas padre. I personaggi del romanzo vi si imbattono, li citano, li ritrovano tra le pagine come fossero tra loro a parlare insieme dei mille modi in cui l'amore può farsi morte. 

Gli innamoramenti è una lettura che fino a un certo punto non risparmia della fatica, ma a cui vi suggerisco di dare fiducia fino alla fine perché da un certo momento in poi comincia la cavalcata verso territori davvero suggestivi. Marías ci suggerisce che l’amore non può fare a meno della morte perché sono misure del tempo della nostra vita. E che anche quando tutto finisce, tutto si attenua, entrambi sono lì a dirci "che niente sparisce né se ne va mai del tutto, permangono deboli echi e fuggevoli reminiscenze che sorgono da un momento all'altro come frammenti di lapidi nella sala di un museo che nessuno visita..."

Sin dal primo giorno mi risultò evidente che erano una coppia sposata, lui più o meno cinquant'anni e lei diversi meno, non doveva ancora aver compiuto i quaranta. La cosa più gradevole in loro era vedere come stavano bene insieme. A un'ora in cui nessuno ha voglia di divertimento e risate, parlavano senza sosta e si divertivano e si stimolavano come se si fossero appena incontrati o persino conosciuti... 

 

Uno è vivo adesso e dopo è morto, e in mezzo niente, come se si passasse senza transizione e senza un motivo da una condizione all'altra. Ma io non posso ancora evitare di pensarci ed è questo che non mi lascia vivere né incominciare a riprendermi [...] Penso a quel coltello che penetra e a ciò che Miguel ha dovuto provare, e se gli sia stato dato il tempo di pensare a qualche cosa, se abbia pensato che stava per morire. Allora mi dispero e mi sento ammalata. E non è un modo di dire: mi sento ammalata alla lettera. E mi fa male tutto il corpo. 

 

Tutto finisce per attenuarsi, talvolta a poco a poco e con molto sforzo e con il contributo della nostra volontà; talvolta con inaspettata fretta e contro quella volontà, mentre tentiamo invano che non impallidiscano né ci vadano sfumando i volti, e che i fatti e le parole non si facciano imprecisi e fluttuino nella memoria con lo scarso valore di quelli letti nei romanzi e visti e sentiti nei film: ciò che vi succede è indifferente e si dimentica, una volta che siano terminati, anche se hanno la facoltà di mostrarci quello che non conosciamo e quello che non accade, come aveva detto Díaz-Varela nel parlarmi de Il colonnello Chabert



A cura di Claudia Consoli