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All’ombra del potere russo: la storia di Vadim Baranov in “Il Mago del Cremlino” di Giuliano da Empoli

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Il Mago del Cremlino
di Giuliano da Empoli
Mondadori, 2022

pp. 230
€ 19 (cartaceo)
€10,99 (ebook)

Il potere è come il sole o la morte: non lo si può guardare in faccia direttamente. Specie in Russia (p. 24).

Uno studente, colmo delle più profonde aspettative per il futuro, amante della letteratura e dei libri, è contattato un giorno, tramite i social network, da un uomo. La scusa del contatto è un libro, quello di Evgenij Zamjatin, un autore che lo stesso studente sta approfondendo. Non saprà che quell’incontro, all’apparenza così innocente, si trasformerà in un lungo, anzi lunghissimo, monologo di uno dei più stretti collaboratori dello Zar moderno, Vladimir Putin.

Quest’uomo è Vadim Baranov, chiamato a ragione Il mago del Cremlino o il «Rasputin di Putin» (p. 155), perché, con la sua pluridecennale carriera, ha partecipato all’ascesa e al potere dello zar. Vadim, infatti, è stato tra i macchinatori della fortuna e, poi, del consolidamento del potere putiniano; è colui che ha orchestrato i numerosi escamotage politici, ma soprattutto sociali, per condurlo al potere e, soprattutto, farcelo restare. Ed è a partire da questo incontro che l’autore, Giuliano da Empoli, racconterà gli ultimi trent’anni della Russia.

Il monologo di Vadim è un viaggio nella storia: dalla caduta, non tanto casuale, di Boris El’cin fino alla guerra che, purtroppo, tutti noi stiamo vedendo, quella in Ucraina. E così, mentre inizia a parlare, lo studente è lì e ascolta quello che nessuno di noi vorrebbe sentire: macchinazioni, ricatti e corruzione sono, infatti, all’ordine del giorno, ma quello che sorprende di più non è questo - alla fine si poteva immaginare -, ma le tecniche psicologiche, anche attraverso i mass media, che sono state messe in atto. Fin da subito, Baranov si dimostra necessario, tanto che capisce che la televisione è un mezzo indispensabile per l’ascesa dell’uomo nuovo: un uomo lontano dalla politica, «giovane, competente e moderno» (p. 70). La scelta, quindi, ricade su di lui perché non era attaccabile, non avendo mai preso parte alla politica del suo paese.

[…] La verità è che l’unica qualità necessaria a un uomo di potere è essere in grado di afferrare le circostanze. Non pretendere di guidarle, ma afferrarle con mano ferma (p. 87).

Era l’uomo del buio poiché, essendo a capo dei servizi segreti russi, non appariva mai e agiva di nascosto; insomma, un personaggio lontano dalla vecchia classe dirigente russa e quindi capace di risvegliare sentimenti assopiti nella popolazione. Baranov consiglierà, dunque, di fare leva sulle emozioni, e mai sulle statistiche o i dati che, invece, sono freddi e asettici; l’idea è di smuovere, non tanto la coscienza, ma la rabbia e l'odio che ogni abitante prova nei confronti di un sistema considerato ingiusto.

Dargli notizie, argomenti, veri, falsi, non ha importanza. Farli incazzare. Tutti. Sempre di più. Gli animalisti da una parte e i cacciatori dall’altra. Quelli del black power da una parte e i suprematisti bianchi dall’altra. […] La nostra unica linea, te lo ripeto, è il filo di ferro. Torciamo da una parte e poi dall’altra. Finché il filo si spezza (p. 179). 

Dalla caduta del Muro di Berlino, e conseguentemente quella dell’Unione Sovietica, la Russia ha vissuto numerosi e profondi cambiamenti, spesso l’uno in contraddizione con l’altro, più di qualunque altro paese. Così uomini, come il padre di Vadim, considerati di alto rango e dell’élite sociale, poco dopo non lo erano più. O ancora, uomini che non riuscivano, con mezzi leciti o meno, ad assicurarsi una posizione, dopo il 1989 ci riuscirono e, ancora di più, quando lo Zar arriverà al Cremlino. Qui, Vadim capisce che per sfondare nella nuova società deve cambiare velocemente il suo modo di pensare; non può più aggrapparsi ai vecchi retaggi culturali e famigliari, perché, semplicemente, non esistono più e così deve, anche esso, diventare un “uomo nuovo” capace di orchestrare e gestire un potere che poi, però, gli scoppierà in mano.

Chi conosce la Russia sa che da noi il potere è soggetto a periodici movimenti tellurici. Prima che si producano, si può tentare di influenzarne il corso. Ma una volta avvenuti, tutti gli ingranaggi della società si riposizionano di conseguenza, in base a una logica tanto silenziosa quando implacabile (p. 104).

Il racconto di Giuliano da Empoli è un racconto dall’interno del sistema politico. È la storia della verticalizzazione del potere che ha portato all’apice quest’uomo. Non è un potere da spartire, quello che racconta Baranov, bensì da concentrare in sole due mani o poco più perché anche i famigerati oligarchi, se in un primo momento, hanno creduto di potersi servire del nuovo zar, si dovranno ricredere molto velocemente. Il disegno di potere, raccontato dall’autore, rivela una logica occulta e come regola di vita, la paranoia; se un giorno un oligarca può andare bene “alla causa”, altrettanto velocemente potrà cadere in disgrazia.

L’autore, grazie alla forma del romanzo, rende più accessibile una materia sicuramente complessa e intricata, mostrandoci anche come abbia fatto lo Zar di oggi a trasformare la Russia in un simmetrico meccanismo degli opposti: se all’interno, l’obiettivo primario è l’ordine, all’esterno è, frequentemente, la destabilizzazione degli equilibri geopolitici. Le parole di Baranov illuminano, in modo schietto e inquietante, come abbia fatto a diventare quello di cui oggi tutti non fanno a meno di parlare. È, dunque, un racconto che parte dal passato ma che arriva a chiarirci il presente.

Giada Marzocchi