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Amore giovanile, rivolta politica e note autobiografiche: "Gli ospiti" di Marco Magini

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Gli ospiti
di Marco Magini
Solferino, 2022

pp. 127
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Il Parco Gezi, a dispetto del nome, è poco più che una piazza alberata nel trafficato quartiere di Tarlabaşi a Istanbul. Uno sfogo di verde su cui riposare l’occhio affaticato dal cemento a perdifiato della metropoli turca. Da area popolare e ritrovo per immigrati di fede non musulmana anche quest’area è lentamente diventata agglomerato di alberghi ed appartamenti di lusso. In un contesto di perenne espansione edilizia e gentrification cannibale, che malvede qualunque brandello urbano non redditizio, il fatto stesso che il (Non)Parco Gezi si trovi ancora oggi al suo posto, incastonato tra due enormi viali cittadini, non è affatto scontato. E infatti non lo è stato.
Ai lettori attenti e di buona memoria quel nome avrà di certo ispirato il ricordo degli scontri consumatesi proprio una decina di anni fa, quando il Parco Gezi, al pari di altri luoghi esotici e ormai simbolici (Piazza Mohamed Alì, Zuccotti Park, Piazza Tahir) riempiva le pagine estere dei giornali. Formalmente, gruppi di giovani di varie estrazioni sociali e culturali si erano, in quell’occasione, battuti a tutela di quel piccolo spazio verde, minacciato dal progetto di un ennesimo mega centro commerciale. In realtà, le ragioni della protesta scendevano molto più in basso, fino al nervo scoperto in una profonda trasformazione socio-culturale che da anni ormai stava deformando il paese e di cui oggi – potendo noi forwardare il corso degli eventi fino ai giorni nostri – vediamo molti degli esiti e delle conseguenze. 

Sulle conseguenze della violenza di quei giorni e di quegli scontri si apre Gli ospiti (Solferino, 2022), secondo romanzo di Marco Magini, uscito a 8 anni dall’esordio fragoroso di Come fossi solo (Giunti, 2014 – finalista allo Strega e al Premio Calvino). Un libro anche questo, a prima vista, “politico” – che con un po’ di convenzionalità, e con la solita faciloneria, si potrebbe accostare alla mai abbastanza abusata etichetta di “letteratura civile”. Ma se nel primo romanzo l’indignazione e la veemenza politica prendevano a tratti il sopravvento, con la realtà e la Storia recente che si ispessivano per segnare il solco in cui si muoveva la fiction, in questo secondo sforzo narrativo il rapporto tra reale e immaginario si fa più sottile, contorto e interessante. 

Gli ospiti è un romanzo ambizioso che cerca la complessità nel modo più arduo, ovvero per sottrazione; che non teme di rifugiarsi nella trovata facile, nel dialogo (forse) prevedibile, nel risvolto più leggero; che sacrifica il puro impeto etico a vantaggio del respiro dell’intreccio. Ne viene fuori un libro godibilissimo, eppure pugnace (e non che le due cose siano per loro natura in contrasto) che cattura il lettore con i suoi tanti “motivi” (per prendere in prestito un termine dall’ambito musicale). C’è la storia d’amore, vagamente autobiografica (Magini ha vissuto a Istanbul tra il 2012 e il 2013 ed è attualmente sposato con una donna turca) tra il protagonista e Ipek, laureata in economia datasi alla cucina per amore e passione verso il cibo. Ci sono le incomprensioni e le asincronie culturali tra due ragazzi che tanto hanno in comune nel mondo globale di oggi, ma che pure soffrono di una distanza che Magini maneggia nella sua veste di topos letterario, senza farne mai un cliché. Ci sono i tumulti politici di un paese in cui due fazioni (i cosiddetti “turchi bianchi”, aperti e globalizzati, da un lato; gli ortodossi e tradizionalisti dall’altro) sembrano ormai in guerra aperta l’uno con l’altro. C’è il senso di inappartenenza e dissidio di tanti expat che si muovono tra le metropoli del mondo, per scoprirsi poi a viverle sempre solo in superficie, senza afferrarle mai davvero.  

Tutto questo, sullo sfondo di un’Istanbul infinita, imponente, elegante, ammaliante, magica (una città che l’autore ha molto amato e sa trasmettere questo amore). Istanbul che però è anche emblema di un espansionismo iniquo e spesso ottuso, di un sistema economico che sotto il cerone dei suoi grattacieli, dei negozi e dei locali alla moda mostra tutte le crepe del suo fallimento di inclusione. Questa infinita serie di contraddizioni apre oggi tensioni globali che trovano poi la loro declinazione specifica a livello locale. Il Parco Gezi è stata una di queste: resistenza al nuovo sultano Recep Tayyip Erdoğan, ma anche a un iperliberismo ottuso e ipocrita che, all’occorrenza, pesca dal mazzo della tradizione per coronare il suo desiderio di accumulazione senza confini. 

In modo molto esplicito ma mai troppo, Magini dice Istanbul per dire Londra, New York, Parigi, Berlino, Dublino, San Paolo; dice loro per dire noi, dice Parco Gezi per dire rivoluzione e voglia di rivalsa, spartiacque epocale. In questo modo suggerisce, a quanti di noi colgano l’imbeccata, una via di lettura che decolla dalla pagina per impennarsi verso la cronaca politica, aprendo un percorso a doppio senso, che dal reale conduce all’immaginario e viceversa. Non a caso il racconto è costellato di personaggi realmente esistiti – alcuni presi in prestito dalle vicende personali dell’autore –come la stramba padrona di casa –, altri – come Lobna Allami – dai fatti di cronaca.

Gli ospiti di Magini è sì un libro politico, ma senza pretese risolutive. Esso pone molte più domande di quanto non siano le risposte possibili. A partire da quell’interrogativo irrisolto, proposto sin dalla copertina. Chi sono “gli ospiti” del titolo? A chi si riferisce quel sostantivo declinato al plurale? Sono i milioni di espatriati di tutto il mondo, sono i protagonisti che vivono il loro amore come atto di passaggio, sono i rivoltosi? O siamo tutti noi, ospiti di un tempo avvincente quanto inospitale?

Emiliano Zappalà