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"Leggere possedere vendere bruciare": un piccolo viaggio (non solo narrativo) nel mondo dell'editoria

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Leggere possedere vendere bruciare
di Antonio Franchini
Marsilio (collana: racconti), marzo 2022

pp. 128
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

In libreria avevo il conto aperto. Andavo, sceglievo e facevo segnare. Passavi tu, sceglievi e una volta al mese pagavi. Successe più di una volta che prendessimo gli stessi libri. Passavo le mattinate in libreria invece che all'università (p. 11).
Da vera appassionata di letteratura sono sempre alla ricerca di testi che spieghino ciò che si cela dietro alla loro creazione.
Quando ho visto che la Marsilio aveva appunto pubblicato un'opera che raccoglieva cinque racconti sul mondo dell'editoria e dei libri in generale, non ho potuto fare altro che leggerla con curiosità e divertimento. E quest'ultimo è stato il sentimento che mi ha guidata durante tutto il tempo che ho dedicato a Leggere possedere vendere bruciare (Marsilio, 2022), dell'autore napoletano Antonio Franchini.

Lo scrittore è uno che di libri, delle loro vendite, di classifiche e di editing se ne intende: attuale direttore editoriale del gruppo Giunti-Bompiani, ha lavorato per circa trent'anni come curatore per la narrativa italiana in Mondadori.
Dalla pluriennale esperienza dell'autore napoletano è nato questo piccolo volume che racchiude dei racconti ove vengono condensate vicissitudini, aneddoti e incontri occorsi durante la sua vita di lettore, ma soprattutto negli anni della sua professione di curatore editoriale.

La parte più interessante della narrazione risiede senza dubbio nell'analisi fatta da un appassionato di libri che lavora nell'editoria, che trascorre le sue giornate a leggere testi inediti alla ricerca di belle storie da pubblicare:
Leggere dattiloscritti alla lunga stanca. Certo, leggere dattiloscritti riserva anche l'eventuale, rara, impagabile ricompensa della scoperta, e questo miraggio o speranza è una sensazione che, quando si è provata, ti può far andare avanti per anni, o addirittura per sempre, però stanca (...). Leggere per piacere e basta non stanca, perché nel momento in cui il piacere cessa uno può smettere di leggere. Leggere per pubblicare invece logora, infastidisce, rende antipatici, tranchant, che non è una cosa bella quando si ha a che fare con l'intimità, con le ambizioni di chi scrive, sempre legittime, anche se sono ambizioni sbagliate (pp. 52-54).
Oltre alla descrizione tragicomica della sua professione, Franchini riesce a catturare l'attenzione del lettore ripercorrendo le fasi della sua esistenza: dal culto giovanile per i libri, al desiderio di raccontare con orgoglio le proprie gesta da lettore fino all'avversione per le montagne di carta da rivedere e correggere che invadono la sua casa.
E ancora: i libri nel nostro Paese si vendono ancora? Ci sono ancora persone che li comprano? A tal proposito spicca l'aneddoto racchiuso nella descrizione di un incontro a Vienna di funzionari editoriali, venditori di libri (coloro che devono convincere il libraio a mettere in vetrina i libri dell'editore per il quale lavorano), autori e redattori: protagonista è Procolo Falanga, il venditore campano che ebbe l'onestà di dire all'orami anziano Arnoldo Mondadori che gli chiedeva se la gloriosa Medusa, celebre collana di narrativa, si vendeva:
«'A gloriosa Medusa! E quando mai s'è venduta 'a gloriosa Medusa! Perché, vuie ata capi'...'e libri, nun è che nun se vendono mo'. 'E libri nun se so' venduti maie» (p. 109)
Leggere possedere vendere bruciare costituisce un agile manuale utile a comprendere cosa si celi dietro un mondo che spesso noi "profani" idealizziamo senza comprenderne appieno i meccanismi. 
Quale è lo scopo che si prefigge Franchini? Sicuramente quello di rimuovere quell'aura di sacralità che troppo spesso ammanta l'editoria agli occhi di noi semplici lettori, ma anche preservare la dignità di un lavoro tutt'altro che semplice.

Grazie allo stile sicuro e all'ironia racchiusa nelle sue pagine, questo libro ci cattura e ci trasporta all'interno di un mondo nel quale vivono figure diversissime e più o meno leggendarie, tra le quali spicca proprio quella di Franchini, curatore editoriale che si trova a considerare:
Ero a disagio, lo ero perché pensavo di sapere molto della scrittura, ma quello che in quegli anni di lavoro in casa editrice stavo imparando è che la scrittura è un mercato. Non necessariamente un turpe mercato, ma un onesto, decoroso, sofferto mercato. Che la scrittura sia invece soprattutto un chiuso bisogno, una necessità istintiva, dolorosa, irriflessa, che sia un atto necessario che non porta a niente se non a sciogliere un'oppressione, a sfibrare una pena, questa verità elementare me l'ero dimenticata (p. 33).

In questa ultima frase risiede forse il senso più profondo del testo, poiché in essa risiede la differenza tra un libro visto dal punto di vista di un autore o di un editore. Sì, perché come scrive Franchini un libro non si vende perché è bello, ma è compito dell'editore destreggiarsi tra classifiche, rese (gli invenduti restituiti dai librai), premi e macero.

Da questi cinque racconti emerge tutta la sensibilità di un "addetto ai lavori" dell'editoria, tutto l'ironico disincanto (condito con un pizzico di cinismo) nutrito per autori e venditori, ma anche la passione per un mondo in costante evoluzione e in grado di offrire sempre nuove sfide a coloro che hanno la ventura di lavorarvi.

A noi lettori, ora un po' più consapevoli di quali meccanismi vi siano dietro la pubblicazione di un successo editoriale, non rimane che osservare da fuori questo magico universo e sperare che vi siano tanti che come Franchini sono in grado di scovare bei libri e di permetterci di sognare ancora tra le pagine delle loro storie.

Per la prima volta provo un'angoscia sconosciuta: ho pochi amici, sono un bambino che ha cominciato da non molto a leggere tanto. Un bambino con gli occhiali (p. 121).


Ilaria Pocaforza