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"Il villaggio di Stepancikovo e i suoi abitanti" di Fedor Dostevskij: divertimento e ironia che svelano la critica alla società russa del tempo

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Il villaggio di Stepanĉikovo e i suoi abitanti
di Fëdor Dostoevskij
Castelvecchi, novembre 2021

Traduzione di Miriam Capaldo

pp. 250
€ 17,50 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)


In un piccolo villaggio russo del XIX secolo, nella tenuta del colonnello Egòr Il'iĉ Rostanev, vive alle spese del colonnello stesso, una corte di strampalati personaggi, guidati, in maniera dispotica e tiranna, da Fomà Fomìĉ, un ometto piccolo, sedicente letterato, intellettuale (sempre sedicente), lettore, interprete di sogni, parziale indovino del futuro, moralista e, di professione, fustigatore di chi ha la ventura di condividere un pezzo di vita con lui. Inspiegabilmente questo piccolo ometto, partito come ex buffone, riesce ad acquisire, soprattutto presso la madre del colonnello, la generalessa, un potere immenso. L'anziana donna non consente che si muova foglia senza che Fomà Fomìĉ non voglia.
E il piccolo parassita, in men che non si dica, diventa un "dittatore", pronto a regnare, umilmente come dirà lui, su quella strana congerie di personaggi: anziane signorine di compagnia, benestanti zitelle pronte a cadere nella rete del primo cascamorto di passaggio, cicisbei, bellimbusti, trafficoni di ogni risma. Tutti a vivere beatamente mantenuti dal colonnello. E accuditi e riveriti da servitori furbi e astuti o grossolanamente ingenui. In questa tenuta di campagna capita di passaggio, per qualche giorno, il nipote del colonnello, personaggio che, nel romanzo, ha la funzione di narratore. Sarà proprio il nipote, osservatore esterno, a raccontare, esterrefatto, al divertito lettore quel che accade nelle stanze della tenuta dello zio, tanto buono quanto un poco pusillanime, e della vecchia madre dalla quale il colonnello è assolutamente soggiogato.
L'autore è il grande Fëdor Dostoevskij e Il villaggio di Stepanĉikovo e i suoi abitanti, pubblicato nel 1859, è il romanzo che vede il suo ritorno alla scena letteraria dopo dieci anni di lavori forzati. Pur non essendo tra le opere più note del grande scrittore russo, è dotato di una verve letteraria straordinaria.
Grazie alla traduzione di Miriam Capaldo, nella recente ripubblicazione di Castelvecchi, il romanzo acquisisce nuova freschezza e vitalità in quanto la traduttrice riesce a restituirci il testo in una versione più moderna, mantenendo comunque l'aulicità voluta da Dostoevskij, in particolar modo nei dialoghi e nel parlato di Fomà Fomìĉ che supplisce alla sua pochezza personale con un'oratoria altisonante e roboante. 
Ho parlato di dialoghi non a caso perché leggere Il villaggio di Stepanĉikovo e i suoi abitanti è esattamente come sedersi sulla poltrona di velluto rosso in un teatro e godere pienamente delle battute di un gruppo di attori riuniti sul palcoscenico. Scritto proprio in vista di una rappresentazione, il romanzo trae la sua forza principale dalla teatralità del testo. Immaginate un'ambientazione scenica interna, con porte da cui entrano ed escono personaggi che, dotati ognuno di una cifra oratoria particolare, coinvolgono lo spettatore in una divertentissima scena tragicomica. dagli sproloqui filosofici del millantatore agli svenimenti calcolati della generalessa, dagli appuntamenti proibiti in giardino agli inganni orditi da personaggi di seconda fila. Il romanzo diventa così uno specchio della società russa del tempo, dei suoi vezzi (biascicare malamente qualche parola di francese era segno indiscutibile di eleganza e raffinatezza), e dei personaggi che l'attraversavano.
Dostoevskij stesso, in una lettera al fratello, scriverà: "In esso vi sono due grossissimi caratteri tipici (...), elaborati (secondo me) alla perfezione, caratteri russi in tutto e per tutto e mai rappresentati finora nella letteratura russa". E come non richiamare alla mente, nel personaggio di Fomà Fomìĉ, il grande manipolatore per eccellenza, come se vedono in tutti i tempi e in tutte le società. Una figura che in Russia troverà una sua istituzionalizzazione con Rasputin, il "monaco pazzo" che, come in un curioso gioco degli specchi a ritroso, prenderà su di sé, portandoli all'eccesso, tutti gli aspetti negativi del personaggio disegnato da  Dostoevskij. Quello stesso Rasputin che, un secolo dopo, avrà un influsso magnetico e assoluto sulla zarina Alessandra Romanova, che ne diverrà succube (proprio come la generalessa, madre del colonnello), così come tutti coloro che gravitavano intorno alla corte degli Zar erano portati alle stelle o cadevano in disgrazia a seconda dei capricci del monaco. Ecco che Fëdor Dostoevskij, un secolo prima, dipinge a tutto tondo un personaggio davvero tipico della società russa, utilizzando il registro comico, strappando sorrisi e  risate, al lettore-spettatore. 
Personaggio insopportabile, odioso, da prendere a schiaffi Fomà Fomìĉ, ma quanto divertimento, tramite la sua figura, per il lettore, sapientemente guidato dai lampi di ironia della scrittura di Dostoevskij. Al goffo tentativo, da parte del colonnello, di allontanare Fomà da casa propria con una congrua offerta di denaro, l'ometto grida di voler strappare quelle banconote, pestarle, sputarci sopra:
E Fomà sparpagliò per la stanza l'intero mazzo di biglietti. È degno di nota che non strappò e non profanò nemmeno un biglietto, come si era vantato di fare, li spiegazzò solo un po', ma anche questo lo fece con sufficiente cautela (p. 128)
Tutti i personaggi vengono tratteggiati a mo' di macchiette, ognuno con le proprie debolezze umane, ma, e qui sta la grandezza dell'autore, a ognuno verrà infine concessa la possibilità di un riscatto, più o meno plateale. Dostoevskij non infierisce, ci diverte e regala anche a Fomà Fomìĉ un'ultima possibilità. Che egli interpreterà da par suo, alla maniera di un grande attore. 
Il villaggio di Stepanĉikovo diventa così il microcosmo che rappresenta la società, con le sue ingiustizie, con le sue stravaganze, le sue follie, le sue insensatezze, le sue insicurezze. Grazie all'ironia, all'umorismo, alla comicità e, mettendo in scena il suo "teatro delle marionette", Dostoevskij disegna una critica sapida pungente alla Russia del suo tempo.
E alla fine tutto si compone, l'amore trionfa, tutto è bene quel che finisce bene, come nella più classica delle commedie. Quanto mi piacerebbe che una compagnia teatrale portasse sulle scene questo capolavoro ... Chi potrebbe interpretare il terribile Fomà?

Sabrina Miglio