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Alla (ri)scoperta dell'Antico Egitto con "I carnet degli egittologi" di Chris Naunton

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I carnet degli egittologi
di Chris Naunton
traduzione di Vera Verdiani
L'Ippocampo, 2021

pp. 263
€ 29,90 (cartaceo)


Una storia iconografica dell'egittologia. Può definirsi sinteticamente così il bellissimo volume di Chris Naunton edito da L'Ippocampo. Il libro documenta, attraverso foto e disegni d'epoca, la costruzione dell'immagine dell'Egitto in Occidente, attraverso i resoconti dei primi archeologi.
Ci fu un tempo in cui l'Egitto era così poco conosciuto in Occidente che l'unico mezzo per prepararsi a ciò che vi sarebbe potuto scoprire erano gli antichi scritti greci e romani. Significava immaginare le rive d'Alessandria dove Strabone prometteva «i più bei recinti e i più bei palazzi reali [...], costruzioni a perdita d'occhio» per poi trovarvi solo i resti della sua antica gloria - le rovine di favolosi monumenti - ancora ben visibile ovunque. (p. 9)

Le prime esperienze dei viaggiatori in Egitto furono caratterizzate dallo stupore per la maestosità delle vestigia, magnificamente stagliate su pendii rocciosi o in deserti. Privi di apparecchi fotografici, provarono a catturare  la bellezza di quanto scoprivano in disegni o dipinti, ma anche in descrizioni liriche e malinconiche su quel mondo perduto. Leggere I carnet degli egittologi significa rivivere attraverso i taccuini, le carte, le mappe, i disegni egli schizzi , ma anche i telegrammi e le lettere, le emozioni vorticose provate dai primi egittologi, che non sapevano ancora cosa avrebbero trovato continuando a camminare per paesaggi aridi e polverosi, in un caldo infernale. Il testo ci offre uno spaccato emozionante dei viaggi e della fame di conoscenza dei primi egittologi: da Athanasius Kircher a Ernesto Schiaparelli, passando per James Burton, Jean-Francois Champollion, Howard Carter e tantissimi altri. La storia dell'egittologia rivela anche la storia spirituale dell'Occidente, ossia il modo diverso in cui si è interrogato il mistero egizio dal '600 al '900, dal platonismo di Kircher, che sosteneva l'esistenza di una "teologia primitiva", ai Grand Tour dei giovani europei di alto lignaggio, fino ad un approccio decisamente più positivista e accademico. Ma è anche una storia politica, fatta di nazionalismi e colonialismo, corsa ad accaparrarsi il reperto più prezioso. 

Gli inglesi hanno già la stele di Rosetta [...]. Dobbiamo fare in modo che non si impadroniscano anche di questa. (p. 42).

scriveva Bernardino Drovetti a proposito di una pietra simile a quella di Rosetta, che recava un'iscrizione in tre lingue. Drovetti era il console generale che assisteva i visitatori francesi, dopo che Napoleone Bonaparte aveva creato in Egitto l'Institut d'Egypt, per favorire lo studio e la visita dei luoghi venuti alla luce durante la campagna d'Egitto del 1798. Ma anche gli inglesi avevano creato un consolato  per il medesimo scopo (il primo console fu Henry Salt). In tal modo i due consoli reclutarono agenti europei al fine di accaparrarsi manufatti antichi tramite acquisti e nuovi scavi. 



Particolarmente interessante, nel volume, è la parte "Tombe, mummie e tesori", che ci fa conoscere anche il contributo di tre donne alla storia dell'egittologia: Amelia Edwards, Marianne Brocklehurst e Nna de Garis Davies. La prima iniziò la sua avventura in Egitto nel 1873 e, dopo la pubblicazione del fortunato Mille miglia sul Nilo, creò l'Egypt Exploration Fund, allo scopo di arginare la distruzione degli antichi monumenti e preservarli a vantaggio delle nuove generazioni. Marianne Brocklehurst era una viaggiatrice, antiquaria e collezionista britannica, narra nel suo diario di viaggio le imprese per acquistare o recuperare personalmente i bottini di alcune tombe. Descrive così l'apertura di un sarcofago e la sbendatura della mummia: 

I tratti del viso erano così dolci, con un'espressione felice, e c'erano dei capelli sulla sua testolina indurita [...] non un ornamento, né un papiro, né uno scarabeo, neppure la statuetta di una divinità era stata posta sul suo corpicino. Probabilmente avevano pensato che bastasse la sua innocenza a proteggerlo nel viaggio nell'aldilà (p. 187).

Questo modo da avventurieri e spesso da profanatori di tombe di esplorare l'Egitto, venne a modificarsi nel '900, in cui iniziò ad emergere una consapevolezza differente. Scriveva George Reisner:

Gli scavi distruggono materiale storico: li si dovrebbe perciò consentire solo agli archeologi con le competenze necessarie a riconoscere e documentare tale patrimonio. Se da un punto di vista legale esso appartiene all'Egitto, da un punto di vista morale la sua tutela dovrebbe interessare l'intero mondo civile. (p. 222).

Una doverosa menzione va fatta a Ernesto Schiaparelli, che diresse per oltre trent'anni il Museo Egizio di Torino. Mentre ricopriva tale carica guidò, tra il 1903 e il 1920 dodici stagioni di scavi straordinariamente produttive.  Schiaparelli seguiva una metodologia rigorosa, documentando accuratamente ogni passaggio, in modo che i reperti fossero valutati in rapporto ai loro contesti archeologici. 

Il volume di Chris Naunton è una delizia non solo per i cultori dell'egittologia, ma la semplicità della scrittura, lo stile  "in presa diretta" della vita degli archeologi, lo rende una lettura avvincente anche per chi voglia avvicinarsi al mondo misterioso e magico dell'antico Egitto.


Deborah Donato