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Una ninna nanna per il Sud: musica, letteratura e ancestralità nel nuovo romanzo di Alessio Arena, “Ninna nanna delle mosche”

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Ninna nanna delle mosche
di Alessio Arena
Fandango libri, settembre 2021

pp. 256
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Come nasce un libro? Questa è la domanda che, forse, la maggior parte dei lettori si fa quando sfoglia le prime pagine di quell’oggetto-mondo dalle proprietà misteriose (magiche?) di trascendere lo spazio-tempo e di aprire confini altrimenti non valicabili. Contesto e paratesto legati a esperienze personali sono i primi elementi a cui, spesso, si riconduce la nascita di una storia. Ma se una narrazione nascesse da una canzone, da una ninna nanna mormorata a bassa voce tra i fumi d’incenso di una chiesa in un angolo remoto di mondo? La straordinarietà del nuovo romanzo di Alessio Arena, Ninna nanna delle mosche (Fandango libri), inizia ancora prima del libro stesso. Inizia, infatti, da “Il paese che non c’era”, una canzone che incontra il folklore dell’Italia meridionale e il ritmo dell’altro paese in cui sprofondano le radici di Arena: la Spagna.


“Il paese che non c’era” parla di utopie e di sogni, della necessità umana di trasmigrare, dell’abbattimento di barriere, perché «nessuno ci può obbligare a rinchiudere la vita in frontiere della fame». È negli interstizi tra musica e testo che nasce la letteratura di Alessio Arena; due mondi che, sin dall’alba dei tempi, comunicano osmoticamente e che, alle volte, cancellano l’una i confini dell’altra diventando una cosa sola. D’altronde, musica e letteratura sono complementari: entrambe rappresentano l’esigenza umana di raccontar(si) una storia. Per passaggio osmotico i bambini scalzi, i profughi dalle diverse nazionalità e i pellegrini che vanno a messa nel deserto dell’Atacama protagonisti de “Il paese che non c’era” diventano lo sfondo corale di Ninna nanna delle mosche, romanzo lacerato in due, come lacerato è l’amore tra Gregorio Zafarone e Berto Macaluso, i due protagonisti.

Tutto comincia, negli anni venti del Novecento, con una lettera che Don Silvano, il parroco della cittadina lucana di Palmira, consegna a Berto, il fornaio di paese. Nella busta, una mosca che vibra su parole d’inchiostro che provengono dal Cile e su un passato da riscoprire: un amore ostacolato da sempre, una dignità umana non riconosciuta, una storia che non meritava di essere raccontata, due vite che non potevano diventare una sola. Gregorio, strappato da Berto, viene esiliato a Porvenir, in quella parte degradante del Cile in cui i minatori si spaccano la schiena nelle raffinerie di salnitro. Tutto comincia, quindi, con l’ennesima lettera di Gregorio - mai consegnata a Berto – in cui comunica all’amato di voler farla finita. E così il mondo di Ninna nanna delle mosche si sdoppia in due realtà parallele, il viaggio di Berto – che si unirà a un circo ambulante, diventando un diavolo che sa ballare la musica dell’origine del mondo – attraverso l’Oceano per andare a recuperare il suo amore perduto, e quello di Gregorio e Dorotea - affascinante pianista ligure che sonorizza i film nel cinematografo di Porvenir -, in fuga per cercare una vita migliore. A queste peregrinazioni si aggiunge quella di Serafina Canaria - moglie di Berto e ninnanannara dai poteri magici – che comincia proprio a Palmira, infestata da uno sciame di mosche che toglie l’appetito sessuale agli uomini della città. Caricando con sé sua figlia Rosa che dorme un sonno perpetuo e il suo chitarrino grazie al quale canta ninne nanne che racchiudono la storia di questa antica terra, Serafina si mette sulle tracce del marito. A unire le strade dei quattro personaggi è un non-luogo che, come una calamita, attrae i loro destini: è il deserto dell’Atacama e la città di Iquique, dove la statua della Vergine della Tirana aspetta con occhi misericordiosi i suoi figli.

Unendo folklore italiano, realismo magico sudamericano e racconti arcaici di un’umanità che solo la musica ancestrale dei popoli autoctoni conosce, Ninna nanna delle mosche è un romanzo che strutturalmente ricorda le epopee dei cavalieri ariosteschi, braccati in percorsi circolari in cui i protagonisti si inseguono, le sorti si sfiorano e i destini si incrociano, portando il tutto ad un unico momento culminante in cui il futuro sembra finalmente realizzarsi. Un sogno ad occhi aperti in cui appaiono streghe locali, fenomeni da baraccone, divinità sudamericane, santi e madonne, diavoli danzanti, prostitute arroganti, cafoni, vecchie sagge e bambini sfacciati. Un fiume di umanità che sgorga dalle pagine, un maremoto che travolge i quattro protagonisti e che li spinge verso il loro destino fatto di sabbia scritto nelle coordinate delle stelle. Un romanzo la cui lingua è allo stesso tempo canzone popolare, profezia e maledizione, trascrizione di un sogno (o di un incubo?), letteratura del Sud del mondo, musica ancestrale vecchia come i granelli di sabbia del deserto dell’Atacama. Ninna nanna delle mosche imprime nella pagina quello che nella canzone “Il paese che non c’era” Arena chiama «eterno movimento, il sogno di infinite migrazioni». E a ritmo di questo eterno movimento Gregorio, Berto, Serafina e Dorotea danzano sulle note più antiche del mondo.

Nicola Biasio