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"Non ho molto tempo": il toccante ricordo di Ezio Bosso

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Non ho molto tempo
di Grazia Verasani
Marsilio, giugno 2021

pp. 127
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



 

Aveva vissuto molte vite in una sola, chi può dire lo stesso? Aveva pianto e riso davanti a platee affollate, scombussolate. Aveva combattuto i giudizi ottusi, unilaterali sulla musica, il suo cervello non si era mai inceppato, la sua passione bruciante l'aveva pienamente condivisa, ma c'era qualcosa di segreto che si portava via, ovunque stesse andando, per eludere la nostra sorveglianza. Crediamo di sapere di qualcuno molto o quanto basta, ma non è mai vero (p. 121).
Lo ricordo bene il giorno in cui morì Ezio Bosso: era il 14 maggio del 2020, e il lockdown nazionale si apprestava a finire. Dopo tutti quei giorni di clausura forzata la notizia della prematura scomparsa di questo grande artista mi turbò moltissimo.

Da allora ho cercato di documentarmi su questo direttore d'orchestra che conoscevo solo per la splendida musica che aveva composto ed eseguito, e così non ho potuto fare a meno di leggere Non ho molto tempo (Marsilio, 2021), il bel libro che l'autrice Grazia Verasani ha scritto per celebrare l'amicizia che l'ha unita ad Ezio.

La "conoscenza" tra Grazia ed Ezio avviene in maniera alquanto peculiare nel 2005, è stato lui, infatti, ad aver riarrangiato la versione strumentale della bellissima Impressioni di settembre, che farà da colonna sonora al film di Gabriele Salvatores Quo vadis, baby?, tratto da un libro della Verasani stessa:
Stamattina ho riguardato il videoclip della cover di Impressioni di settembre. C'è lui al mixer, o mentre suona il contrabbasso. Nel 2005 era sano come un pesce (...). Avrei dovuto conoscerlo allora, alla prima di un film - tratto da un mio romanzo - di cui aveva composto la colonna sonora, ma lui era all'estero, impegnato in altri progetti. Il regista del film mi disse che Ezio era un genio, ma per me era solo un nome nei titoli di coda, un musicista che forse non avrei mai conosciuto di persona, e a dirla tutta neanche ci tenevo. Non potevo prevedere che nove anni più tardi sarebbe cominciato uno dei legami più intensi e decisivi di tutta la mia vita (p. 8).
Dal momento in cui Ezio e Grazia si conoscono inizia un rapporto fatto di fiducia, stima e reciproca ammirazione, ma anche di scontri istintivi e liti furibonde (seguite sempre da sincere quanto rapide riconciliazioni).

L'episodio del libro che più mi ha colpita è stato quello della partecipazione al Festival di Sanremo 2016, perché ricordo benissimo la serata nella quale Ezio fu ospite, ricordo che disse una frase che mi piacque e che percepii come molto vera: "La musica (come la vita) si può fare solo in un modo: insieme".
È stato bello leggere i retroscena di quell'esibizione:
Mi fu evidente che aveva fatto il botto già la mattina dopo, quando, dal parrucchiere, le signore sotto il casco parlavano di lui con gridolini eccitati e ammirazione per un uomo malato eppure così straordinario. Non so se si era preparato a tavolino a sedurre un intero paese, ma è quello che più o meno capitò (...). Aveva travolto il pubblico italiano e ne era stato travolto (pp. 48-49).
Su ogni avvenimento raccontato nel libro, però, aleggia come uno spettro la malattia neurodegenerativa che colpisce Ezio giovanissimo e che lo condurrà alla decisione sofferta di abbandonare l'attività di pianista nel 2019.
Sarà proprio a causa di questa dolorosa quanto inesorabile malattia che Grazia sceglierà di dare al suo libro il titolo Non ho molto tempo, a motivo di una sorta di "mantra" che Ezio non fa altro che ripetere in ogni forma:
Quando avevo osato difendermi, mi aveva paralizzata dicendo: «Cosa vuoi che mi importi, io sto morendo» (p. 45).
Non ho molto tempo non è propriamente una biografia, ma piuttosto una sorta di diario, grazie al quale noi lettori facciamo la conoscenza non solo di un apprezzato artista, ma anche di un uomo sensibile, appassionato e vitale.

Questo libro piccolo ma commovente e profondo è perfetto non solo per coloro che hanno conosciuto ed amato la musica di Ezio Bosso, ma anche per tutte quelle persone che vogliono avere un'idea di quanto studio, fatica e dedizione si celino dietro un'opera d'arte.

A un anno dalla prematura scomparsa di questo grande, geniale e folle artista Non ho molto tempo mi pare il modo migliore per rendergli omaggio, insieme a una sua frase che lessi sui giornali quando morì:
A mio padre operaio fu detto: "I figli degli operai fanno gli operai, i figli dei musicisti fanno i musicisti". Immaginavano per me un istituto industriale. Questo è stato il dolore più grande; forse le parole più violente sentite nella vita. Ma da lì è iniziata la mia lotta per esautorare quella frase così idiota. La ribellione, per me, l'ha fatta la musica.

Ilaria Pocaforza