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Quando la poesia esonda e diventa prosa: "Con passi giapponesi" di Patrizia Cavalli

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Con passi giapponesi
di Patrizia Cavalli
Einaudi, luglio 2019


pp. 168
€ 16,62 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Con passi giapponesi è il primo libro in prosa di Patrizia Cavalli – uno dei più grandi poeti del secondo Novecento italiano –, pubblicato da Einaudi per la collana dei Supercoralli. Una raccolta di prose brevi che ha molto il sapore di una silloge. La maggior parte dei testi sono inediti, accumulati negli anni, a cui si aggiungono alcune prose già apparse su quotidiani e riviste. Un libro eccentrico (in senso letterale e quindi lontano da un centro preciso), come eccentrici sono i libri dei poeti: liminare, carico, a tratti spigoloso, spesso estremo, ma quasi sempre ammaliante.
Mette insieme racconti dal tema e dall’ambientazione diversa, ma che insieme formano una sorta di diario o di dialogo omogenei, un pensare a voce alta, mentre la vita scorre davanti, i pensieri si accavallano, e con loro le paure, le ansie, le insoddisfazioni, gli amori e le gioie. In essi si dispiega un io femminile, che occupa la scena con leggerezza, ma che allo stesso tempo declina con decisione tutto ciò con cui entra a contatto.

Il lettore si trova di fronte un testo pulviscolare, che non segue un sentiero preciso ma che scivola in direzioni diverse. A volte sono brani aneddotici, in cui un piccolo gesto quotidiano, un incontro, una storiella bastano ad innescare la miccia del racconto. A suggerire un significato che va oltre l’apparente banalità delle cose:
“Qualcuno mi ha raccontato di un uomo che portava via le lenzuola dall’albergo: sempre, ed era uno che girava molto; alla fine aveva mucchi di biancheria semisporca che stavano lì senza essere né usati né venduti, e a un certo punto dovette cambiare casa perché non aveva più posto per muoversi e tutta quella biancheria l’aveva lasciata lì”; 
“Di solito se sono belle non sono comode. E come dovrebbe essere una sedia comoda? Comoda per me, si intende”.
Altre volte si assiste invece a una sorta di messa a nudo, a un profondo bisogno di confessione; senza che venga mai dichiarato esplicitamente quanto quest'ultima sia personale e soggettiva e quanto invece collettiva, riferita alla nostra dimensione tutta umana. Che la voce narrante parli in prima o in terza persona fa poca differenza: l’impressione è sempre quella di una conversazione aperta con sé stessi e con gli altri.
“A me piaceva molto guardare mia madre quando si vestiva e si truccava, e quindi spesso vedevo quello sguardo, anzi insistevo perché lo facesse appositamente per me. E lei non più diretta verso lo specchio, ma verso di me, lo rifaceva”.
Il rapporto con la madre ritorna in più di un’occasione. Ed è un rapporto molto tormentato e difficile, fatto di amore disperato e odio ceco. Molte pagine sono dedicate poi all’amore, sempre totale e senza scorta, senza limitazioni di genere, travolgente e complicato:
“Nei suoi amori era molto indecisa. Non sapeva bene chi dovesse amare, se donne, se uomini, e quali donne, quali uomini, ma costretta tuttavia a orientarsi su qualche esempio di una specie o dell’altra, ne prendeva possibilmente uno per sorta, così che la sua indecisione si innalzava alla vastità del genere”.
Se si è preferito fin qui, come avrà notato il lettore attento, far parlare il testo più che parlarne per riflesso è per dare risalto all’elemento di maggior rilievo del libro: la sontuosa letterarietà della sua autrice. Esibita attraverso una prosa sempre estrema, che non di rado flirta con la poesia. Non a caso, sia nei casi il lavoro di lima è concentrato sulla sintassi, su periodi lunghissimi che sforzano la lingua fino ai limiti della sua sopportazione, sia quando il fraseggio si fa più corto e sincopato, emerge un andamento poetico, una sorta di versificare fluido e ammaliante:
“Scrivo poesie perché nella poesia c’è più ambiguità che nella prosa (NON È VERO), ma nella poesia resta sempre un mistero grande o piccolo, resta cioè una zona oscura che si sottrae al giudizio logico”.
E quindi il banale suggerimento di chi scrive è proprio questo: di leggere il libro come un rincorrersi di versi che, per troppa foga, finiscono per esondare e straripare sulla pagina. E poi di aspettarsi di tutto, come tutto può contenere e tutto può raggiungere la poesia (o la grande prosa):
“Qui in una contemporaneità impossibile convergono le lontananze dello spazio e del tempo, creando mostruosi intrecci; qui si mischiano insieme il passato remoto dell’altro ieri, Asie mai viste e il cortile di casa”.

Emiliano Zappalà 




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