"Ossigeno" di Sacha Naspini, o della luna nera della nostra società

Ossigeno
di Sacha Naspini
edizioni e/o, 2019

pp. 211
€ 16 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Dico: «Ci sono voluti quasi tre lustri per chiudere quella ferita. Non ero pronta. Devo ricominciare tutto da capo». Nel sottofondo sconcio di me c’è una matta che strepita giorno e notte: quella figlia non doveva tornare. La sua ricomparsa è uno schiaffo al lavoro fatto per salvarmi. (p. 147)
Non è solo affrontare il tema dello sconosciuto della porta accanto, quell’uomo distinto e intelligente, sempre così educato e che salutava sempre, che insegna antropologia all’università e nessuno sospetterebbe mai essere dietro al rapimento di (almeno) una bambina di otto anni: Ossigeno non indaga solo questo delicatissimo tema – il tema della doppia personalità, di una società dell’apparenza, di una mente criminale che solo il caso fortuito porta alla condanna – quanto piuttosto si ritrova ad analizzare il tema del ritorno e dello spaesamento.
La domanda che sembra percorrere tutto il romanzo, infatti, è una: in che modo ci si può reinserire in società dopo un evento traumatico, nel caso specifico un rapimento durato quattordici anni e che dunque ha coinvolto tutta la fase della formazione? Si badi bene: quando scrivo in che modo non intendo chiedere come sia possibile, ché alla fine lo vediamo ogni giorno come le persone (alcune almeno, si spera la maggior parte) riescono a riprendersi la propria vita dopo un’esperienza di morte in senso lato; intendo piuttosto con quali modalità una persona è in grado, affrontando il trauma o fuggendo da esso, di tornare.

Fabio Mauri su Fabio Mauri: cinquant'anni di scritture di un maestro dell'avanguardia italiana

Scritti in mostra.
L’avanguardia come zona. 1958-2008

di Fabio Mauri
a cura di Francesca Alfano Miglietti
Il Saggiatore, 2019 (prima edizione 2008)

pp. 402
€ 35,00 (cartaceo)
€ 15,99 (ebook)



C’è chi pensa che bisognerebbe fare a meno della critica, o al limite farvi ricorso tanto quanto basta: secondo questa scuola di pensiero, romanzieri, poeti, filosofi e musicisti andrebbero conosciuti nel confronto diretto con le opere, facendo a meno di mediatori più o meno illuminanti (quando non fuorvianti). Lo stesso, secondo logica, sarebbe valido anche per l’arte, con una fruizione senza filtri di pitture, sculture, performance e installazioni di vario genere. Ma che fare, soprattutto in quest’ultimo caso, se è proprio l’artista a produrre testi che lo riguardano? Che fare, cioè, quando la parola – di commento, di chiosa, di corredo – viene esibita alla pari di un progetto estetico e si pone quale parte integrante e non scindibile rispetto al tutto? Non sono mancati i casi, nelle varie epoche, di creativi che furono anche dicitori di se stessi: basti pensare, per limitarsi al solo Novecento, alla produzione programmatica di manifesti nei primi decenni del secolo e, per ampliare ulteriormente il campo, all’importanza assunta dalla componente linguistica e verbale in ciò che a lungo era stato ritenuto dominio esclusivo di valori retinici, formali e plastici. Tra gli artisti che in qualche modo si fecero esegeti e filologi del proprio operato ci fu anche Fabio Mauri (1926-2009), uno dei massimi esponenti dell’avanguardia italiana di cui Il Saggiatore ha appena ripubblicato una raccolta di scritti – curata ancora una volta da Francesca Alfano Miglietti – che rende conto di cinquant’anni di intensa attività.

"Non viaggiava: descriveva una circonferenza": il giro del mondo di Phileas Fogg

Il giro del mondo in ottanta giorni
di Jules Verne
Grandi Classici Bur, 2017

Traduzione di Augusto Donaudy

pp. 360
€ 9,00 (cartaceo)
€ 0,99 (ebook)



"Gli inglesi sono stracciati perché sono turisti da almeno cinque o sei secoli. Lanciano i piedi avanti, tengono la testa indietro sette/otto metri perché, because, soltanto chi ha perso un impero da qualche anno e Hong Kong da pochi giorni può apprezzare fino in fondo la decadenza di Venezia." Così Marco Paolini, nel 1998, descriveva il turista inglese nel suo spettacolo Il Milione. Pensando alla grande tradizione di viaggi, scoperte e conquiste del popolo britannico saltano in mente vari nomi: Cavendish, Drake, Raleigh, figure che hanno contribuito a riempire i punti vuoti sulla mappa, sostituito i draghi e i leoni con corsi d'acqua e rilievi montuosi. 
Ma un "viaggiatore" manca, un uomo di tempra morale d'acciaio, perfetta organizzazione e nessuna curiosità: Phileas Flogg, esquire, colui in grado di compiere il giro del mondo in ottanta giorni.

Oui, chef!: "La mia seconda vita tra zucchero e cannella" di Verena Lugert

La mia seconda vita tra zucchero e cannella
di Verena Lugert
Astoria edizioni, 2019

Traduzione di Sonia Folin

pp. 272
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Come i grandi risparmiatori, mettono da parte sangue, sudore e lacrime sperando di poter contare un giorno su una rendita ridistribuita in titoli: demi chef, chef de partie, junior sous chef, sous chef, chef. Chef! Per essere chef mettono in campo tutto. Dedizione. Ustioni. Umiliazioni. E, naturalmente, l'ingresso in un mondo parallelo, leggi della fisica proprie ("No che non scotta, deficiente, è solo ACQUA. Puoi parlare di liquidi che scottano solo quando ti riferisci all'olio dai centottanta in su. Quindi piantala di frignare e senti il punto di cottura degli asparagi, con le DITA, maledizione, se no è impossibile) [...] (pp. 33-34)
Se nel leggere il titolo del volume La mia seconda vita tra zucchero e cannella di Verena Lugert in testa ha iniziato a risuonarvi il motivetto de Il fantastico mondo di Amélie oppure di Chocolat, è bene informarvi che siete sintonizzati sulla radio errata. Perché non c'è niente di zuccheroso o profumato di cannella nelle cucine dei ristoranti stellati. Ci sono urla, isterici "oui, chef!", reciproci insulti e una maniacale devozione alla causa. Tanto da spingere Verena a domandarsi perché abbia abbandonato la carriera di giornalista per lanciarsi nell'avventura dell'alta cucina una volta scavallata ampiamente la trentina.

"Due donne alla Casa Bianca": l'amore segreto di Eleanor Roosevelt

Due donne alla Casa Bianca
di Amy Bloom
Fazi, 2019

Traduzione di Giacomo Cuva

pp. 252
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Non c'è amore come il vecchio amore.
Dopo Beate noi, la scrittrice americana Amy Bloom torna in libreria con Due donne alla Casa Bianca (Fazi, 2019), ambientato negli anni Trenta e Quaranta e dedicato all'amore tra la First Lady Eleanor Roosevelt e la giornalista Lorena Hickok.
All'inizio del romanzo, la relazione è già finita da un pezzo: tutto il libro è segnato da una profonda nostalgia, dall'amarezza per un tempo - quello del corteggiamento, della passione, dei viaggi romantici e delle fughe precipitose alle prime luci dell'alba - che non ritornerà più.

#CritiMUSICA - David Bowie vive, e Ian Castello-Cortes ci racconta dove: un itinerario nei luoghi di Ziggy Stardust, Aladdin Sane e Thin White Duke, al secolo David Robert Jones

Cercasi Bowie disperatamente
di Ian Castello-Cortes
L’ippocampo, 2019

Traduzione di Paolo Bassotti

pp. 136
€ 12,00 (cartaceo)



Chi non conosce quella particolare forma di disperazione che deriva dalla scomparsa del proprio artista preferito? Se è vero che ci si può sentire in lutto per la morte di un personaggio di finzione che si ha tanto amato tra le pagine di un libro o al di qua di uno schermo, quando la perdita riguarda un musicista in carne e ossa (e note) si vorrebbe addirittura abolire il pentagramma pur di non consentire nessuna nenia funebre. Lo sanno bene i seguaci di David Bowie, che di certo non si aspettavano il decesso del loro idolo  proprio il 10 gennaio 2016, a due giorni dal suo sessantanovesimo compleanno e del contemporaneo lancio dell’ultimo album Blackstar, per giunta con il profetico musical Lazarus ancora in lavorazione. Eppure andò proprio così: l’ultima uscita di scena del Duca Bianco fu un vero colpo da maestro, l’apice della trasformazione del proprio progressivo decadimento fisico (a causa di un tumore al fegato diagnosticato nel 2014) in un’opera d’arte. Ma quale migliore antidoto dell’arte stessa per superare il trauma della sua mancanza? Immediatamente, contemporaneamente, i fan di ogni parte del mondo si radunarono in memoria del fu (al secolo) David Robert Jones per omaggiarlo con i suoi stessi brani, scegliendo i luoghi simbolo del suo incedere su questa terra: Heddon Street a Londra, la strada che figura sulla cover dell’album Ziggy Stardust del 1972; la sua stella sulla Walk of Fame di Hollywood a Los Angeles; il numero 155 della Hauptstrasse a Berlino. E soprattutto il graffito di Bowie nei panni di Aladdin Sane creato nel 2013 dall’artista australiano Jimmy C. di fronte alla metropolitana di Brixton, dove era nato nel 1947. Tutti luoghi che, insieme a molti altri, ovvero tutti quelli di un’esistenza unica nel panorama artistico mondiale, si ritrovano in Cercasi Bowie disperatamente, lavoro di Ian Castello-Cortes pubblicato in Italia da L’ippocampo.

#CritiCOMICS - Silenzio in sala! Le recensioni dissacranti di Leo Ortolani

CineMAH presenta –
Il buio colpisce ancora
di Leo Ortolani
BAO Publishing, 2019

pp. 200
€ 17,00



Ecco che le luci si spengono in sala e il giocatore di basket con la pettinatura alla Lucchetta arriva trafelato e si siede proprio davanti a voi. Sappiate che Dio non c’entra” (p. 180). Chi si riconosce in questa descrizione, chi si è trovato almeno una volta in questa situazione, si metta comodo e si gusti questa nuova, scoppiettante uscita di BAO. Si astengano invece i sensibili, i permalosi, i difensori della pubblica moralità, i pudibondi, i timidi, i ritrosi. Quelli per cui i divi del cinema sono divinità intoccabili; quelli che hanno tutti i poster della DC attaccati in camera, chi ha amato Aquaman e odiato La la land. Tutti quelli per cui il solo fatto che un film riguardi Star Wars lo rende meritevole di Oscar, gli amanti del cinema italiano e di Walt Disney, quelli che inorridiscono davanti allo splatter, che plaudono al buon gusto a tutti i costi, che si scandalizzano per tutte quelle battute che le categorie deboli “le toccano pianissimo”. Per chi, dopo aver visto Ghost, ha maturato una vera e propria idolatria per Whoopi Goldberg.

Date queste premesse, sembra che CineMAH presenta – Il buio colpisce ancora non debba piacere a nessuno. E invece, quasi sicuramente, lo adorerete.

"Il movimento delle foglie": aridità e dolcezza nel Midwest




Il movimento delle foglie
di Tom Drury
NN, settembre 2019

Traduzione di Gianni Pannofino

pp. 181
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Torna Tom Drury, l’autore della Trilogia di Grouse Country, con un nuovo romanzo, che lui stesso definisce “uno dei romanzi più d’azione che ho scritto”.
Il protagonista è Pierre Hunter un barista che, al termine del college e dopo la morte di entrami i genitori, torna nella sua cittadina di origine: un'aspra regione del Midwest denominata Drifless Area.
La storia  prende avvio dopo l’incontro di Pierre con una donna che «disse di chiamarsi Stella Rosmarin» (p. 40) e che gli salva la vita dopo una sua caduta in un lago ghiacciato.
Difficile definire Il movimento delle foglie: non è né una storia d’amore, né un thriller o un noir e nemmeno una favola, tuttavia integra in sé tutti gli elementi tipici di tali generi.

Did dada die? Forse che sì, forse che no: Valerio Magrelli traccia il profilo dell'avanguardia più radicale del primo Novecento

Profilo del dada
di Valerio Magrelli
Laterza, 2019

pp. 133
€ 15,00 (cartaceo)



Did dada die? Che fine ha fatto il dada? Non sarà mica morto per davvero! Non è affatto facile dare una risposta immediata a una domanda evidentemente un po’ macabra e che per giunta, nella sua versione inglese, gode di una musicalità subdolamente allitterante che la fa somigliare a uno scioglilingua se non direttamente a un non-sense. Eppure bisogna pur provare, avvicinarsi al presunto cadavere (oh, squisitissimo, avrebbe detto qualche cugino surrealista!) della penultima avanguardia storica del Novecento e valutare il da farsi: compilare l’ennesimo coccodrillo di circostanza o constatare che il realtà le cose non stanno affatto così, che il suo corpo (più che mai plurale) eppur (e ancor) si muove, e che il suo cuore non ha mai smesso di battere anche in tanta arte successiva al suo presunto decesso? A leggere Profilo del dada, lavoro di Valerio Magrelli pubblicato nei primi anni Duemila da Laterza e oggi ristampato dalla stessa casa editrice con qualche aggiunta e modifica, il dardo della verità punta dritto verso il bersaglio della seconda opzione. Eppure chi può dire l’ultima parola, quando proprio di dadaismo si tratta? Meglio sarà, in ogni caso, cimentarsi in qualcosa di preliminare rispetto a un’eventuale e vera e propria autopsia, frugando senza pudore nelle tasche del più riottoso fenomeno estetico del secolo scorso alla ricerca di quelle tracce e quegli indizi che permettano di compilarne una biografia: una storia che sarà programmaticamente non-casuale ma contraddittoria, sintetica eppure dettagliata, e che la marca stilistica autoriale riuscirà a rendere gradevole come un lungo e dotto pettegolezzo.

Le ricette della signora Tokue

Le ricette della signora Tokue
di Durian Sukegawa
Einaudi, 2018

Traduzione di Laura Testaverde

pp. 192
€ 12 (cartaceo, copertina flessibile)
€ 9,99 (ebook)




Un piccolo gioiello per lirismo, grazia e bellezza. Le ricette della signora Tokue è un romanzo piuttosto breve, pubblicato da Einaudi lo scorso anno e che personalmente ho riscoperto solo di recente: cercavo una lettura piacevole, forse neanche particolarmente impegnativa, da gustarmi in un weekend di relax e ho trovato una storia delicata e toccante, molto più ricca di quello che poteva apparire. Una storia infatti che dietro l’apparente semplicità rivela qualcosa mi ben più complesso, si apre a spunti e riflessioni con cui siamo chiamati a confrontarci, e che è anche racconto di una pagina probabilmente poco nota della storia giapponese recente. Un piccolo gioiello che mi è subito sembrato perfetto anche per il gruppo di lettura che guido, a cui sicuramente lo proporrò, certa se non di incontrare il gusto di tutti i partecipanti ma di suscitare senza dubbio un buon dibattito per i numerosi spunti di discussione che offre questa lettura.
Ambientato nei sobborghi di Tokyo, che Sukegawa evoca sulla pagina in maniera così nitida da riuscire quasi ad avvertirne odori, suoni, colori, è, in primo luogo, una storia di amicizia, di solitudini che si incontrano per il bisogno di non essere più tali: tra il pasticcere Sentarō, che di malavoglia gestisce una bottega di dorayaki (dolce tradizionale giapponese), e l’anziana signora Tokue che giorno dopo giorno si presenta alla sua porta chiedendo di diventarne l’aiutante. Conquistato dal gusto dello straordinario an, la confettura di fagioli con cui si farciscono i dorayaki, Sentarō pur con una certa ritrosia assume la donna e da lei, lentamente, apprende molto più della ricetta dell’an perfetto. Mentre scorrono le stagioni – scandite dalla deliziosa immagine del ciliegio davanti alla vetrina del negozio – il rapporto tra i due improbabili collaboratori assume sempre più i contorni dell’amicizia, i clienti affollano il locale deliziati da quel nuovo sapore e lo stesso Sentarō pare trovare inaspettata motivazione nel proprio lavoro alla pasticceria.

A chi appartengono le storie? Etica ed editoria nel nuovo romanzo di Janne Teller

È la mia storia
di Janne Teller
Feltrinelli, 2019

Titolo originale: Kom
Traduzione di Maria Valeria D'Avino

pp. 130  
€ 14,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



In una notte di tregenda, in cui la neve cade incessante e confonde i piani del reale, negli uffici di una casa editrice ha luogo un incontro risolutore (fino all’ultimo non si capirà se con un’alterità, o solo con la propria coscienza). 
Il protagonista di questo nuovo romanzo di Janne Teller, già conosciuta per Niente, un durissimo apologo sull’insensatezza del vivere giovanile, è un uomo dalla moralità quantomeno vacillante: ha scelto un matrimonio di convenienza, grazie al quale si è trovato a guidare la casa editrice del suocero ("è sposato con il nome giusto", p. 71); ha avuto molte amanti e ha respinto una di queste, seppur desiderata, non reputandola alla sua altezza; si trova prigioniero di "una campana di vetro" in cui però ha "scelto di essere rinchiuso" (p. 43). È cinico, amareggiato, un uomo che subisce la propria stessa vita:
L'amore è terribilmente sopravvalutato. Perché in sostanza e verità si riduce tutto alla struttura sociale. E al sesso, naturalmente. Ma il sesso è come il cibo: una cosa di cui si ha bisogno una volta ogni tanto. Né più né meno. (p. 51)
Quest’uomo, sgradevole per il lettore come per se stesso, si trova ad affrontare un delicato dilemma etico proprio nel momento in cui deve preparare per un importante congresso un discorso sull'"etica nel mondo dell'editoria e della letteratura" (p. 18).

#CritiCOMICS - Una rosa non sarebbe una rosa senza la sua violenza: Cristina Portolano illustra la vita di Francis Bacon

Francis Bacon. Graphic biography.
La violenza di una rosa

di Cristina Portolano
Centauria, 2019

pp. 126
€ 19,90 (cartaceo)



Può una rosa essere violenta? A prendere in considerazione la sua natura, fatta di petali ma anche di spine, il fiore per eccellenza testimonia l’essenza perfetta della realtà, la stessa che Francis Bacon (1909-1992) cercava di riprodurre sulla tela andando oltre il semplice dato reale e saggiando la violenza delle suggestioni interne all’immagine, quelle che potevano essere espresse soltanto per il tramite della (sua) pittura. Tanto più che per lui, esempio di genio e sregolatezza quant’altri mai, vita e arte andarono sempre di pari passo, in ossequio a una personalissima contro-estetica del vivere e del creare. A ricordarcelo oggi ancora una volta è una graphic biography di Cristina Portolano appena pubblicata da Centauria, casa editrice che, dopo quelli su Egon Schiele e Jean-Michel Basquiat, porta a tre il numero dei volumi illustrati dedicati ad artisti le cui esistenze e le cui opere lasciarono il segno per originalità e maledettismo. Un segno che l’uomo inquieto e vagabondo nato a Dublino e morto a Madrid avrebbe volentieri assimilato a una bava di lumaca.

Segni particolari: trent'anni, vergine. La nuova sbadata protagonista di Chiara Moscardelli

Extravergine. Vergini si nasce o si diventa? 
di Chiara Moscardelli
Solferino, 19 settembre 2019

pp. 252
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 



Pensate ad avere come madre un'attrice molto famosa negli anni Ottanta, sex symbol ancor più esplosiva di Edvige Fenech, naturista, che pertanto gira per casa senza vestiti: come sareste cresciuti? Dafne Amoroso, la protagonista del nuovo romanzo di Chiara Moscardelli, ha deciso di non mettersi in competizione con la madre e di dichiararsi vinta fin dal principio: ecco perché si nasconde in vestiti informi e fatica a relazionarsi con l'altro sesso. Fino ad arrivare a quasi trent'anni ancora vergine: questo dato, di per sé ininfluente, in una ragazza piena di complessi rischia di diventare un vero e proprio problema sociale. E tutto peggiora ulteriormente, visto che la madre non fa che ricordare a Dafne, come uno spiacevole ritornello, il suo "problema", e così fa la sua coinquilina Ginevra. Se a questo tarlo costante aggiungiamo che da sempre la ragazza ha una sua personale quête, ovvero scoprire chi sia suo padre, capiamo bene come per Dafne i rapporti con l'altro sesso siano un cruccio.

Paolo Zardi e il superamento del XXI secolo: uno sguardo sul futuro che ci aspetta e sulle domande che dovremo porci

L’invenzione degli animali
di Paolo Zardi
Chiarelettere, 2019

pp. 256
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Gli orsetti di peluche con cui giocavamo da piccoli – te li ricordi? – avevano occhi grandi per risvegliare il nostro senso di tenerezza: li scambiavamo per bambini, e per questo ci prendevamo cura di loro. Si trattava di una finzione basata su un fraintendimento, un inganno che sfruttava la nostra tendenza innata a vedere esseri umani ovunque. C’è gente che adora delle montagne con gli occhi o che si inginocchia quando vede comparire nuvole a forma di faccia. È più forte di noi. (p. 110)
È curioso come il discorso che Hans Bauer fa a Lucia – al centro la nostra tendenza innata a vedere esseri umani ovunque: uno dei fondamenti, insieme alla paura insuperabile della morte, della nascita delle religioni secondo più di una teoria – sia complementare a un altro discorso che scorre come un fil rouge lungo tutta la trama dell’ultimo libro di Zardi: la nostra tendenza altrettanto innata a deumanizzare tutto ciò che noi non siamo, tutto ciò che non rientra in quel “noi” da intendersi in senso lato (la famiglia, il nostro gruppo sociale, la comunità in cui viviamo, la nostra nazione, il nostro gruppo etnico o religioso ecc.), così da rivedere al ribasso i diritti di tutto quanto quel che viene percepito come “altro” (per questo argomento consiglio almeno la lettura del bel libro Razzismo e noismo. Le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro di Luigi Luca Cavalli-Sforza e Daniela Padoan).
Zardi non lascia nulla al caso e affronta di petto, sia narrativamente che filosoficamente, entrambe le questioni: semplificando (perché ci vorrebbero centinaia di pagine per essere esaustivi al riguardo), da un lato troviamo l’estremizzazione di una visione antropocentrica del cosmo, resa più complessa dal fatto che il futuro prossimo del romanzo – il 2036 o il 2064, a giudicare da alcuni precisi riferimenti temporali – è tanto vicino al nostro presente quanto risulta essere già estraneo per gli sviluppi tecnologici e politici che lo vedono coinvolto, primo fra tutti le missioni spaziali; dall’altro una critica aspra alla retorica disumanizzante, che nel corso della storia è stata alla base delle guerre di religione, della schiavitù e, in epoca più recente, della follia nazista e dei vari genocidi che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano l’umanità.

L'ascesa di una famiglia tedesca nella "Palermo felicissima"

La luce è là
di Agata Bazzi
Mondadori, 2019


pp. 359

€ 19,00 (cartaceo)
€  10,99 (ebook)



Questo è l'anno delle biografie romanzate dei coraggiosi imprenditori che fecero grande la "Palermo felicissima" tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi del Novecento. Contemporaneamente (e curiosamente) insieme a I leoni di Sicilia, il romanzo di Stefania Auci, uscito per Editrice Nord (da noi recensito qui), che ripercorre le origini della famiglia Florio, Mondadori ha dato alle stampe La luce è là, di Agata Bazzi. La quale, a sua volta, fa rivivere l'epopea di un'altra grande famiglia di Palermo, gli Ahrens, di cui l'autrice stessa è discendente. Tutto prende le mosse dal diario del capostipite, Albert, conservato con cura di generazione in generazione e ora nelle mani della Bazzi che ha deciso di far rivivere in un romanzo quelle note scritte più di un secolo fa.

Un'ossessione chiamata Fuji: il monte sacro del Giappone nelle celebri vedute di Hokusai in un nuovo cofanetto da collezione

Hokusai.
Le trentasei vedute del monte Fuji
a cura di Amélie Balcou
traduzione dal francese di Margherita Botto
L’ippocampo, 2019

Cofanetto con:
pp. 48 (opuscolo)
pp. 228 (stampe)

€ 29,00 (cartaceo)




Ci si dimentica sempre, nell’ammirare La grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai (1760-1849), di come l’elemento protagonista della celebre stampa ottocentesca non sia, in fin dei conti, quello acquatico. Perché a dispetto del titolo autografo e dell’occupazione pressoché totale della superficie da parte dei flutti increspati, ciò che l’artista intendeva omaggiare era il rilievo vulcanico all’orizzonte, il veneratissimo monte Fuji, esaltandone l’imperturbabile quiescenza rispetto alla dinamica potenzialmente mortale del mare in tempesta. Apparentemente piccolo perché lontano e tuttavia maestoso – mentre effettivamente e anche empaticamente piccoli sono gli uomini sulle imbarcazioni in primo piano, in balia del maltempo – il vulcano innevato sarebbe stato al centro di una numerosa serie di incisioni con cui il maestro giapponese, ormai settantenne, fu in grado di rivoluzionare l’arte del suo Paese e di condizionare quella del continente europeo, con un’eco estetica che ancora oggi non ha cessato di esercitare la sua influenza. L’ippocampo ha appena reso omaggio proprio a Le trentasei vedute del monte Fuji pubblicando un cofanetto celebrativo completo di tutte le incisioni e di un catalogo esplicativo con i testi di Amélie Balcou. E si tratta, neanche a dirlo, dell’ennesima squisitezza editoriale, stavolta carica di quelle suggestioni che più di un secolo fa furono in grado di ammaliare l'Occidente in modo irreversibile.

L’immaginario fosco di Barbara Comyns: “La ragazza che levita”


La ragazza che levita
di Barbara Comyns
Safarà, 2019

Traduzione di Cristina Pascotto

pp. 156
€ 16 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)

«Mi sono mancate così tanto in questi anni, le colline e le montagne. Il sole vi scompariva dietro così improvvisamente, e le nuvole si ingarbugliavano con le loro vette. [...] Muschio di colore marrone scuro cresceva vicino alla fattoria; e una volta ho visto una bambina galleggiarvi sulla superficie. Era morta, ma non avevo paura perché aveva un aspetto così pure mentre galleggiava lassù, con gli occhi aperti e il grembiule blu che si muoveva con delicatezza. Era Flora, una bambina che era dispersa da tre giorni…» (p. 29). 
Non ebbe un’istruzione convenzionale quest’autrice inglese nata nel 1907 da una famiglia povera; questo non le impedì di scrivere undici romanzi considerati eccellenti esempi di letteratura gotica. De La ragazza che levita, romanzo del 1959 pubblicato da Safarà nella traduzione di Cristina Pascotto, anche Graham Greene si compiacque. 
The Vet’s daughter, questo il titolo originale, racconta la storia di Alice Rowlands, una giovane cresciuta nella periferia londinese nei primi anni del Novecento all’ombra di una che, più che una famiglia, è uno squarcio; la sua vita, cadenzata da piccoli gesti quotidiani in un ambiente sgradevole, subisce vari cambiamenti: nuovi scenari, nuovi strambi personaggi scuotono la sua esistenza e la sinistra capacità di levitare la sorprende una notte.

#CriticaLibera - Le persone normali di Sally Rooney

Parlarne tra amici
di Sally Rooney
Einaudi, 2018

Traduzione di Maurizia Balmelli

pp. 304
€ 20 (cartaceo edizione Supercoralli)
€ 12 (cartaceo, ed. tascabili)
9,99 (ebook)



Persone normali
di Sally Rooney
Einaudi, 2019

Traduzione di Maurizia Balmelli

pp. 248
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)





“Scrittrice dei Millennial”: è questa l’etichetta appiccicata addosso a Sally Rooney, la giovane autrice irlandese di cui tutti parlano da un anno a questa parte. Premi, riconoscimenti da parte della critica internazionale, un numero crescente di lettori affezionati, due romanzi pubblicati entrambi considerati casi editoriali. Sono tante le etichette (o gli hashtag), quindi, che possono definirla dall’esterno. Eppure proprio questa, la più ripresa, è quella che a mio avviso meno si addice alla scrittura di Rooney, perché Persone normali e Parlarne tra amici sono due romanzi per certi versi fuori dal tempo e dallo spazio, complessi, lontanissimi da quasi tutto ciò che distingue la generazione Millenial. Ad avvicinarla ai Millennial - oltre, ovviamente al dato anagrafico - è, casomai, quel senso di precarietà e insicurezza che contraddistingue i suoi personaggi e storie, le nevrosi e i timori con cui fa i conti questa generazione. E, cosa ben più importante delle etichette che vi si possano o meno attribuire, sono due opere notevoli, non prive di difetti è chiaro, ma così potenti per scrittura, tematiche affrontate e spunti, da insinuarsi sottopelle pagina dopo pagina e lasciare del tutto in secondo piano qualche debolezza narrativa. In entrambi i casi c’è molto di più di quello che all’apparenza potrebbe sembrare: Parlarne tra amici, il romanzo d’esordio, è qualcosa di più complesso del racconto della relazione fra una giovane donna e un uomo sposato, così come Persone normali è una storia d’amore e pregiudizi che si apre a numerosi altri spunti di riflessione e tematiche. I sentimenti, le relazioni e le connessioni fra esseri umani, sono sempre al centro della narrazione, prive di sentimentalismi: è nelle pieghe dell’animo, nelle zone grigie dei rapporti che la penna di Rooney indugia, nelle dinamiche di amore e potere che talvolta si creano in una coppia, negli squilibri, nelle distanze e incomprensioni.

"Artisti in galera" di Roberto Manfredi: un percorso in epoche diverse all'interno del carcere

Artisti in galera
di Roberto Manfredi
Ed. Skira, 2018

Postfazione di Ezio Guaitamacchi
Illustrazioni di Tom Porta

pp. 208
€ 17,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


La stampa contemporanea si colora spesso dell'ombra oscura che alberga in ogni essere umano, con un pizzico di umorismo cupo. Nel corso degli anni ci siamo abituati a convivere con rotocalchi al limite del grottesco. Roberto Manfredi consegna un libro che è destinato a restare accanto al proprio lettore per lungo tempo, forse custodito nel comodino, in attesa di essere riletto più volte. 
Una lunga serie di brevi racconti ritrae personaggi più o meno noti dello star system, alle prese con il lato più oscuro di un sé, che a tratti è scivolato a latere, lontano dalla percezione contemporanea del pubblico, quasi cancellato, come nel caso di R. Downey Jr dal successo ottenuto con il proprio lavoro. Manfredi non giudica, non applica nessuna forma di critica, si concentra sulla narrazione dei fatti nudi e crudi, talvolta citando le fonti. 
Può accadere durante la lettura, conoscendone la genesi, di demistificare un personaggio assolutamente controverso come Marilyn Manson, così come risulta del tutto impossibile non restare scioccati di fronte allo sconvolgente ritratto di Charlie Sheen o di altri ancora.

"La figlia del re ragno": un buon esordio in potenza di una giovane scrittrice nigeriana trapiantata in Inghilterra

La figlia del re ragno
di Chibundu Onuzo
Fandango Libri, 2019

Traduzione di Chiara Brovelli

pp. 298

€ 20,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 


Tenete d’occhio Chibundu Onuzo. Nata in Nigeria nel 1991, si trasferisce in Inghilterra a 14 anni per frequentare una scuola femminile, per poi proseguire gli studi al King’s College di Londra, conseguendo una laurea in storia e una specializzazione in politica pubblica. E se oggi sta studiando per un dottorato di ricerca, il suo romanzo di esordio, La figlia del re ragno, ha vinto un Betty Trask Award, è stato selezionato per il Dylan Thomas Prize, il Commonwealth Book Prize, il Desmond Elliott Prize e l'Etisalat Prize for Literature. E non è tutto. Come l'autrice stessa dichiara in questa intervista. ha iniziato a scrivere il romanzo a diciassette anni, ha avuto un agente a diciotto, ha firmato un contratto con Faber & Faber (per intenderci l’editore inglese che pubblica Sally Rooney) a diciannove anni ed è arrivata alla pubblicazione a soli ventun anni. Onuzo ha quindi tutte le carte in regola per diventare la nuova voce dell’Africa subsahariana in Europa. In Italia la conosciamo sette anni dopo la pubblicazione del suo primo titolo, quando all’estero il suo secondo romanzo, Welcome to Lagos, ha già incontrato il gusto della critica. Fandango ha deciso di pubblicarla, investendo in una scrittrice che, sono certa, farà ancora parlare di sé.

#PagineCritiche - "Homo premium", sul modello sociale della tecnologia

Homo premium. Come la tecnologia ci divide
di Massimo Gaggi
Laterza, 2018

pp. 192
€ 15 (cartaceo)
€ 9,49 (ebook)



La rivoluzione tecnologica in corso ci migliorerà l’esistenza o creerà cambiamenti che distruggeranno lavoro e società? Esiste un modo per guidare e non farci sommergere dalle mutazioni che avverranno? Cosa pensano gli esperti e cosa rivelano i dati sul percorso già effettuato? Massimo Gaggi prova a dare delle risposte a questi quesiti senza eccedere né nell’ottimismo né nel luddismo. Un equilibrio difficile perché richiede una grande capacità di estraniarsi dagli stimoli dei nostri nuovi modi di vivere e dalla possibile nostalgia dei tempi passati.

Nel profondo: delle nostre paure, dei segreti del passato, dell'oscurità nell'animo umano

Nel profondo
di Daisy Johnson
Fazi, settembre 2019

Traduzione di Stefano Tummolini

pp. 276
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Non è stata per niente facile la lettura di Nel profondo, romanzo d’esordio della giovanissima Daisy Johnson e non è facile nemmeno cercare di scriverne.
Ho sentimenti e giudizi ambivalenti su quest’opera che da una parte affascina per la forza della scrittura, la ricchezza di tematiche e immagini, la scelta di confrontarsi con argomenti complessi alcuni dei quali considerati tabù e poco esplorati in letteratura, ma dall’altra risulta anche troppo intricato, strabordante di riferimenti e spunti, a tratti difficile da seguire. È un vero peccato, perché la storia ha davvero del potenziale e la scrittura di Johnson – la più giovane autrice a entrare nella short list del Man Booker Prize – ha qualcosa di miracoloso, perturbante: idea e scrittura ci sono, quindi, e la guida di un editor (a monte, nulla da dire sullo straordinario lavoro di traduzione di Stefano Tummolini per l’edizione italiana del romanzo) capace di incanalarle in modo appropriato avrebbe sicuramente fatto la differenza. Un romanzo complesso, in cui l’autrice sembra aver riversato tutto il proprio immaginario e sentire, con una sovrabbondanza di tematiche e spunti, salti temporali e personaggi, dai quali è facile restare sopraffatti perdendo di vista ciò che davvero è importante. Eppure.

L'esordio di Lia Piano: ciò che rende la propria infanzia indimenticabile


Planimetria di una famiglia felice
di Lia Piano
Bompiani, 2019

pp. 160
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Mio padre si sfilò il metro dalla tasca, e iniziò a misurare. Un mese dopo una mensola lunga 307 metri percorreva tutte le stanze, avvolgendo i muri come un nastro. Libri lungo il vano scale e in cucina, fughe di libri lungo corridoi, stanze vuote, gabinetti. La mensola si abbassava e alzava come un’onda: nei punti più bassi mia madre metteva quelli per me. Quando di notte la sentivo spostare le scatole di libri attraversavo tutta la casa in punta di piedi per andare a vedere. La maestra aveva spiegato che i libri erano stati un tempo alberi, che la cellulosa proviene dal legno. Anche questo non era del tutto vero, gli adulti la facevano sempre troppo semplice: i libri erano ancora alberi, e dove li posavi mettevano le radici. Se c’erano i libri significava che quella era casa. Finalmente ci eravamo fermati. (p. 48)
Chiunque abbia una passione per i libri, arrivato a questo punto della lettura, non può non fermarsi a immaginare. Immaginare questa mensola di legno che si snoda a perdita d’occhio lungo la casa, inoltrandosi nelle profondità, e sopra i libri di una famiglia che tutto ha di straordinario. Questo pezzo è così evocativo che, non a caso, le ultime righe vengono riportate anche nella quarta di copertina: per gli amanti della lettura casa è dove trovano spazio i propri libri.
Il testo d’esordio di Lia Piano è così: un colorato affresco di una famiglia fuori dal comune che, nonostante quanto riportato nella nota dell’autrice a pagina 6 – «le immagini sono tutte vere, ma fatti e personaggi sono frutto della fantasia» –, qualcosa deve aver preso da quella reale; e un dipinto ancor più vivace della casa di famiglia, «l’unico personaggio realmente esistito presente in queste pagine» (p. 6), un luogo già di per sé complesso e straordinario reso ancor più peculiare dagli occhi sognanti della protagonista, una bambina di sei anni appena.

"Settembre 1972" di Imre Oravecz: un'esperienza di lettura dolorosa e bellissima

Settembre 1972
di Imre Oravecz
Edizioni Anfora, 2019

Traduzione di Vera Gheno

pp. 132
€ 15,50 (cartaceo)
€ 3,99 (ebook) 



Sei divenuta totalmente astratta, come un pensiero malato o un’ossessione, di cui ne ho abbastanza, ma di cui non riesco a liberarmi. (p. 37)
Una donna e un uomo si conoscono, si amano di una folle passione, si lasciano e prendono, poi però si sposano, hanno un figlio e di fronte alla monotonia della vita coniugale e ai tradimenti reciproci, divorziano senza mai allontanarsi completamente. Sembra la trama di una comune storia d’amore quella di Settembre 1972 di Imre Oravecz. E così sarebbe se le novantadue «annotazioni improvvise» che compongono il mosaico di questo spaccato di vita si limitassero a raccontare in maniera canonica una relazione. Ma lo scrittore ungherese fa molto di più e con un singolo libro di centotrenta pagine compila il lemma della parola amore nel dizionario della vita e delle emozioni di ciascuno di noi.

Si possono riaccendere i sogni? "L'attimo prima", il romanzo d'esordio di Francesco Musolino

L'attimo prima
di Francesco Musolino
Rizzoli, 2019

pp. 272
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


“Ricordarsi di ricordare è così faticoso, Sameera. Mi sembra di svuotare il mare a sorsate. Ma se poi dimenticassi tutto, cosa resterebbe?”
“La vita. Rimane la vita, Lorenzo”. (p. 149)
Quanto si può essere nostalgici a venticinque anni e rimpiangere il passato? Tanto: basta leggere le prime pagine di L'attimo prima per capire che il protagonista Lorenzo è già rassegnato al suo destino, nonostante la sua giovane età. Il fatto è che le sue certezze si sono infrante all'improvviso, con la morte del padre, la chiusura del ristorante messinese dove lui e la sorella sono cresciuti e la partenza della madre per la loro casa di Lipari. Sotto il tavolo di quella cucina, lui e la sorella Elena hanno osservato le gambe di mamma correre a destra e a manca, infaticabili, hanno ascoltato le discussioni in famiglia, gli ordini dei clienti, che un po' capricciosamente venivano reinterpretati dalla madre rinnovando la tradizione e lasciandosi guidare dal gusto. Tant'è che, se Elena aveva sempre pensato a viaggiare, Lorenzo invece era totalmente intrappolato nella sua Messina, e in particolare nel sogno di diventare anche lui, un giorno, chef. 
Invece, davanti alla disgregazione del suo mondo, a Lorenzo non era rimasto che accettare un posto in un'agenzia di viaggi, proprio lui che, ironia della sorte, non aveva mai visto nulla al di fuori della Sicilia! E lo sappiamo bene, le agenzie di viaggi non se la stanno passando bene in questo periodo di offerte strepitose sul web. Dunque, l'ambiente è certamente asfittico e poco stimolante, con il capo Giorgio frustrato, che rimpiange i bei tempi che furono, dai guadagni ora impensabili, e che pretende dall'impiegata di ricevere ogni giorno la colazione. Grandi e piccole ingiustizie si consumano ogni giorno davanti agli occhi di Lorenzo, incantati davanti al display di un pc e annoiati dall'assenza di novità. 

#SpecialeSCUOLA - Grazie a tutti i nostri insegnanti indimenticabili!



Cari lettori,
siamo giunti alla fine di questo lungo percorso di #SpecialeSCUOLA, iniziato il 2 settembre, con approfondimenti, recensioni e interviste. Ora sappiamo di più sul mondo e sul modo di pensare dei nativi digitali con Giuseppe Riva e ci siamo fatti raccontare una storia sull'apporto della robotica nel futuro con la storia di Ada, Alan e i misteri dell'Iot, abbiamo esplorato le tante possibilità ludiche o meno per rendere la scuola un luogo di sperimentazione con Alex Corlazzoli, abbiamo trattato la sostenibilità attraverso le fotografie e i dati aggiornati del prezioso volume Un mondo sostenibile in 100 foto, ma anche attraverso la forza del nuovo libro di Safran Foer. Quindi, abbiamo letto del bisogno di rivoluzione della scuola dentro al pamphlet-lettera di Susanna Tamaro e all'appassionato saggio di chi la scuola l'ha vissuta dall'interno come insegnante e preside, Mariapia Veladiano. Se nel passato ci sono stati maestri e professori che hanno osato ribellarsi al regime, come ci ripropone Massimo Castoldi, oggigiorno le sfide sono diverse e bisogna ogni giorno misurarsi con la parola-chiave "integrazione", di cui abbiamo discusso con Vinicio Ongini, e abbattere i pregiudizi sulla "educazione di genere", come ci insegna Rossella Ghigi. Per non parlare del lavoro quotidiano per arricchire il lessico dei ragazzi, ridando, per dirla con Vera Gheno, "potere alle parole" e potenziando la padronanza linguistica, anche attraverso preziosi strumenti come le risposte della Crusca. E cosa dire della cultura, così a lungo bistrattata? La cultura, a dispetto di quanto sostengono alcuni, può decisamente salvare la vita, e lo abbiamo (ri)confermato grazie al nuovo libro di Enrico Castelli Gattinara.

A grande richiesta, visto il successo della rubrica, di tanto in tanto torneremo ad arricchire lo #SpecialeSCUOLA con altri contributi anche durante l'anno scolastico, in modo tale da continuare a suggerire nuove letture e strumenti d'aggiornamento per gli insegnanti e per tutti coloro che desiderano capire di più del mondo della scuola. 
È facile sentire parlare dei problemi della scuola attuale, ma vogliamo ricordare e ringraziare chi, nonostante le difficoltà e la remunerazione del tutto modesta, ha portato in noi ricordi indelebili. Perché, in fondo, per quanti anni possano passare, ci ricorderemo sempre del nostro insegnante preferito, che è stato in grado di rivelarci qualcosa del mondo e - perché no?! - a volte anche qualcosa di noi. Proprio con questo spirito oggi ricordiamo qui sotto i maestri e i professori indimenticabili. 

E grazie a tutti gli autori ed editori che hanno collaborato proponendoci i loro libri! 
La Redazione

***

«Voglio vedere dove comincia l'Italia, dove finisce, e tutto quello che c'è in mezzo»: "Gli psicoatleti" di Enrico Brizzi


Gli psicoatleti
di Enrico Brizzi
Oscar Mondadori, 2019

pp. 568
€ 14,50 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)


Pubblicato da Mondadori per la prima volta nel 2011 e uscito quest'anno negli Oscar, Gli psicoatleti è dedicato a Giuseppe e Anita, ovvero Garibaldi e consorte, e come poteva non esserlo, dato che il romanzo e il viaggio che racconta nascono dalla celebrazione dei centocinquant'anni dell'Unità d'Italia? 
Il libro inizia con l'autore e il suo amico Max in cammino lungo la costa della Calabria Ulteriore nel luglio 2010. Hanno paura, perché hanno offeso qualcuno, un uomo del quale nulla viene svelato, ed ora temono la sua vendetta da un momento all'altro. La coppia, come si dedurrà dai capitoli successivi, è reduce da un percorso lunghissimo. Per onorare l'imminente anniversario, Brizzi e compagni hanno deciso infatti di percorrere a piedi la nostra nazione dal suo punto più a Nord (Vetta d'Italia) sino a quello più meridionale, Capo Passero. Un tragitto verso il profondo Sud che, chiarisce subito lo scrittore, ha mandato in frantumi le sue certezze, facendogli scoprire cose delle quali non immaginava neanche l'esistenza.

#SpecialeSCUOLA - «Conoscere e sapere significa osare»: la cultura che salva la vita, secondo Enrico Castelli Gattinara

Come Dante può salvarti la vita. Conoscere fa sempre la differenza
di Enrico Castelli Gattinara
Giunti, settembre 2019

pp. 240
€ 16 (cartaceo, copertina rigida)
€ 9,99 (ebook)

«La cultura è come un vento capace di spirare ovunque e di prendere con sé chi gli serve, respiro di un mondo che non ammette barriere e coglie ogni occasione d'incontro» (p. 146)
Quante volte avete sentito ripetere: "con la cultura non si mangia"? Sono riusciti a convincervi? Qualunque sia la vostra risposta, si misura proprio con questo pregiudizio il nuovo libro di Enrico Castelli Gattinara, insegnante delle scuole medie e conferenziere in convegni internazionali. Potreste aver già visto Castelli Gattinara in tv, come protagonista della docu-fiction di Sky "Scuola di felicità", con la regia di Walter Veltroni. Nel risvolto di copertina, si legge che Castelli Gattinara è "il prof che ognuno di noi avrebbe voluto incrociare nel corso della propria formazione e la guida a cui anche da adulti vorremmo affidarci". Di primo acchito, provo sempre un po' di scetticismo davanti a certi incensamenti universalizzanti, ma una cosa è certa: l'autore manifesta in ogni pagina la propria passione per la cultura e per l'insegnamento. 

I "Racconti di Juarez del Sud" di Luca Mignola

Racconti di Juarez del Sud
di Luca Mignola
Wojtek Edizioni, 2019

pp. 98
€14,00



«Fratello Vasyl, come in ogni genesi, il primo gesto non appartiene al fondatore, ma al narratore». (p. 9) 
I Racconti di Juarez del Sud di Luca Mignola scorrono densi perché, mentre li si legge, si sente il bisogno di rispolverare la letteratura latina, la mitologia, la filosofia e la letteratura greca: sono come frammenti che ricostruiscono una dimensione; dunque può essere particolarmente piacevole posare il volume giusto il tempo di consultare altri libri che ci consentano di godere appieno dei riferimenti coltissimi di cui abbondano e di tornare subito a immergerci nella lettura; la stessa cosa non vale per la scrittura, ché si avverte subito quanto sia curata e limata e quanto ogni parola non viva solo del proprio senso letterale, ma del sostrato storico e letterario che porta con sé. È una lingua ricca, uno strumento che l’autore dimostra di padroneggiare
«Le istanze dei perché abbondano nei libri: malvagità della natura; paura dell’infinito e dell’indefinito; impossibilità di razionalizzare; sostituzione del sogno; confusione; incertezza; cerchio; labirinto; specchio; mostro; metafisica». (p. 8)

#SpecialeSCUOLA e #LectorInFabula - E se la tecnologia... vivesse con noi?

Ada, Alan e i misteri dell'IoT. Fra cobot, reti digitali, hacker e algoritmi
di S. De Santis, N. Intini, C. La Forgia, R. Miscioscia, P. Pontrandolfo
Guerini & Associati, giugno 2019

pp. 172
€ 16 (cartaceo)



Come saranno i mistery tra dieci, venti, trent'anni? Di sicuro la tecnologia sarà al centro delle indagini, con strumenti sempre più affinati per condurre ricerche ed esami veloci e precisi, ma forse non solo... Nell'avvincente Ada, Alan e i misteri dell'Iot, uscito in estate per Guerini, i due ragazzi menzionati nel titolo si trovano a dover fronteggiare un pericoloso hackeraggio: tutta la città viene avvolta dal buio del blackout e la mamma di Ada, Edith, ingegnera esperta, viene rapita durante la presentazione di un programma rivoluzionario. Cosa è successo? Per di più, anche le intelligenze artificiali della città, ormai imprescindibili per la vita dei cittadini, smettono di funzionare e tutto si fa molto più complicato. 
Ada e il suo amico Alan decidono di indagare anche loro: i robot della polizia non bastano a raccogliere prove; ci sono nodi che solo Ada può sciogliere, anche grazie a Grace, l'intelligenza artificiale che, appena terminato il blackout, torna più vispa di prima a rispondere e addirittura a prevedere i bisogni della sua padroncina di casa. 

#CriticARTe - Swiss Architectural Award 2018: catalogo a cura di Nicola Navone

Swiss Architectural Award 2018

Catalogo a cura di Nicola Navone

Ed. Silvana Editoriale, 
Mendrisio Academy Press

Formato: 24 x 24 cm,

pp. 192

Illustrazioni: 400 a colori, 77 in b/n

Lingua: Italiano/Inglese

€ 45,00 (cartaceo)




Curato da Nicola Navone, il Catalogo dell’edizione 2018 dello Swiss Architectural Award presenta la selezione dei progetti che hanno partecipato al premio, fino alla conclusione manifestatasi con l’incoronazione della vincitrice, Elisa Valero, votata all’unanimità da parte della Giuria presieduta dall’arch. Mario Botta. Il premio internazionale di architettura promosso dalla Fondazione Svizzera per l’Architettura, con la collaborazione dell’Università della Svizzera italiana – Accademia di architettura di Mendrisio e il sostegno della Fondazione Teatro dell’architettura e della Fondazione per le Facoltà di Lugano dell’Università della Svizzera italiana, è alla sua sesta edizione e si completa della mostra ospitata presso l’Auditorio del Teatro dell’Architettura.
Così Elisa Valero descrive la sua opera:
"In un momento della nostra cultura, quando il rumore è enormemente denso, ho scelto un'architettura che agisca in silenzio, serenamente e senza attirare l'attenzione su di sé. [...] Mi interessa vivere lo spazio, il paesaggio, la sostenibilità, la precisione e un'economia di risorse espressive. Non mi interessano gli stili. Sono più interessata ai libri che alle riviste, alla coerenza rispetto al genio ed alla composizione artistica. E considero l'originalità come riscoperta del vero significato delle cose. Mi interessa l'architettura radicata nella terra e nel suo tempo. Accetto le determinanti dell'architettura come regole di un gioco molto serio e divertente e cerco di giocarlo in modo coerente e rigoroso. Mentre non è più elegante parlare di servizio, credo che il lavoro di un architetto sia un servizio per eccellenza volto a rendere la vita delle persone più piacevole, una nobile vocazione che cerca di rendere il mondo più bello e più umano e di rendere la società più equa. L'architettura non è un posto per i nostalgici, è un lavoro per i ribelli".

#SpecialeSCUOLA - «La scuola può fare molto: ascoltare l'altro, tener conto del punto di vista altrui»: parliamo di integrazione, con Vinicio Ongini

Grammatica dell'integrazione.
Italiani e stranieri a scuola insieme

di Vinicio Ongini
Laterza, 2019

pp. 162
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Quando si parla di "integrazione" si pensa subito anche alla scuola, alle classi cosiddette "miste", di cui spesso si discute l'efficacia. Non sono rare le preoccupazioni delle famiglie quando scoprono che i loro figli avranno molti compagni stranieri, ma da dove arriva quest'ansia? È giustificata? E soprattutto, cosa si può fare per cambiare le cose, senza... cambiare classe? Nel nuovo saggio, Grammatica dell'integrazione, appena uscito per Laterza, Vinicio Ongini mostra quale sia la situazione e soprattutto come si possano unire le esigenze di tutti, in classe, se cominciamo a cambiare il nostro punto di vista: anziché fare "per" gli stranieri, fare "con", ovvero integrare le varie competenze e le esperienze di tutti, per un arricchimento globale. 
Il libro, che si presenta fresco nella veste dei singoli capitoli e altamente propositivo, racconta di progetti felici che dimostrano come non siano le barriere a giovare, ma come invece attività pratiche, sportive, musicali, artistiche siano un ponte perfetto, che consente di superare difficoltà linguistiche in nome di un obiettivo comune. 
Incuriositi dall'approccio molto pragmatico del testo e dalle tante esperienze raccontate, abbiamo pensato di rivolgere alcune domande a Vinicio Ongini, che dopo l'esperienza di maestro elementare è passato da anni a lavorare per il MIUR, occupandosi proprio di integrazione degli alunni stranieri. 

***

Quali pregiudizi sugli studenti stranieri sono ancora fortemente radicati nella nostra scuola? 
Un primo pregiudizio è quello di considerarli “stranieri”: su 850.000 alunni e studenti con cittadinanza non italiana (è la definizione del nostro sistema statistico), più del 63% sono nati in Italia e la percentuale nelle scuole dell’infanzia è dell’85%. Perché chiamarli e “pensarli” sempre indistintamente come “stranieri”?! Bisogna distinguere, distinguere è un verbo importante. C’è chi è appena arrivato, non conosce la lingua italiana, le regole della scuola, è disorientato, e c’è chi parla la lingua italiana, con le “nostre” inflessioni dialettali, e si sente italiano. 
Un altro pregiudizio o meglio una preoccupazione, che coinvolge anche le famiglie italiane, è di pensare che gli alunni e gli studenti stranieri siano, automaticamente, un peso per la classe, una presenza che rallenta il programma, una componente più debole quindi bisognosa d’aiuto. È vero: la scuola e la classe con alunni e studenti stranieri è più complessa, richiede più risorse. Ma è anche, se adeguatamente gestito, se con insegnanti competenti, un contesto più dinamico, più ricco di occasioni cognitive e di scambi. Un esempio: l’ultima indagine Invalsi, sui risultati degli studenti, ha evidenziato che gli studenti stranieri sono bravi quanto gli italiani e in alcune regioni più degli italiani nell’apprendimento della lingua inglese.