di Sacha Naspini
edizioni e/o, 2019
pp. 211
€ 16 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Dico: «Ci sono voluti quasi tre lustri per chiudere quella ferita. Non ero pronta. Devo ricominciare tutto da capo». Nel sottofondo sconcio di me c’è una matta che strepita giorno e notte: quella figlia non doveva tornare. La sua ricomparsa è uno schiaffo al lavoro fatto per salvarmi. (p. 147)
Non è solo affrontare il tema dello sconosciuto della
porta accanto, quell’uomo distinto e intelligente, sempre così educato e che salutava sempre, che
insegna antropologia all’università e nessuno sospetterebbe mai essere dietro al rapimento di (almeno) una bambina di otto anni: Ossigeno non indaga solo
questo delicatissimo tema – il tema della doppia personalità, di una società
dell’apparenza, di una mente criminale che solo il caso fortuito porta
alla condanna – quanto piuttosto si ritrova ad analizzare il tema del ritorno e
dello spaesamento.
La domanda che sembra percorrere tutto il romanzo,
infatti, è una: in che modo ci si può reinserire in società dopo un evento
traumatico, nel caso specifico un rapimento durato quattordici anni e che
dunque ha coinvolto tutta la fase della formazione? Si badi bene: quando scrivo in che modo non intendo chiedere come sia possibile, ché alla fine lo
vediamo ogni giorno come le persone (alcune almeno, si spera la maggior
parte) riescono a riprendersi la propria vita dopo un’esperienza di morte in
senso lato; intendo piuttosto con quali modalità una persona è in grado, affrontando
il trauma o fuggendo da esso, di tornare.