Un'indagine tra la vita e la morte per protagonista sedicenne di Wulf Dorn

Presenza oscura
di Wulf Dorn
Corbaccio, 29 agosto 2019

Traduzione di A. Petrelli

pp. 432
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Un thriller inquietante, con risvolti horror che piegano verso il paranormale; la storia di un'amicizia forte e assoluta come può essere solo nell'adolescenza; un'indagine tutta dal basso, che mette in dubbio il concetto di giustizia e la legittimità di tenere un segreto. Cos'è esattamente questo Presenza oscura, il nuovo atteso romanzo di Wulf Dorn, amato dal successo della Psichiatra
Lo scrittore, anche per questo suo libro, mette in campo più generi, li ibrida a sottolineare come ormai non ci si possa più bastare un'indagine tradizionale e scontata. Anzi... Ma vediamo la trama. La protagonista sedicenne, Nikka, si risveglia dopo ben ventuno minuti di morte: il suo cervello è rimasto miracolosamente indenne grazie all'intervento provvidenziale soccorritore sulla pista della discoteca. Anzi, il cervello di Nikka ha un'attività superiore alla norma e in terapia intensiva si fatica a trovare una spiegazione plausibile. Forse, chissà, c'è il fatto che Nikka non può mai riposare, la sua mente vuole ricostruire gli ultimi eventi perché deve assolutamente capire dove sia finita la sua migliore amica Zoe, scomparsa dal locale, proprio mentre lei giaceva a terra. Ma non solo: nella quotidianità della protagonista si affacciano ombre inquietanti, degne di un horror, che sembrano materializzarsi davanti a lei quando nessuno è presente. Per il medico si tratta di semplici allucinazioni, che presto svaniranno, ma la ragazza capisce che non è così semplice: in quei ventuno minuti di morte, lei ha percorso un lungo tunnel e in fondo ha visto una luce accecante che sembrava chiamare proprio lei. Sono state queste strane presenze a trattenerla, ma che cosa vogliono ora da lei?

#CritiCOMICS: "I doni di Edo", slices of life del periodo Tokugawa

I doni di Edo
di Koichi Masahara
Bao Publishing, 2019

Traduzione di Prisco Oliva

pp. 208
€ 7,90



Continua la nostra scoperta del crescente catalogo Aiken di Bao Publishing. Con I doni di Edo di Koichi Masahara la linea editoriale scelta per le pubblicazioni di manga da parte della casa editrice milanese viene confermata nella sua volontà di pubblicare perle narrative lontane dal classico gusto mainstream dei lettori di opere giapponesi, prediligendo storie di vita quotidiana e di vita così come questa si presenta ai nostri occhi. E anche il volume autoconclusivo di Masahara rientra perfettamente in questo filone, con l’unica differenza di proporre slice of life in epoca Edo, appunto, nell’antichità del Giappone cioè tra 1603 e 1868 quando gli shogun Tokugawa detenevano il potere esautorando, di fatto, la figura dell’imperatore.

"Il mio arrivo a Praga era inscritto sotto il segno dell'Apocalisse": Patriza Runfola racconta Alfons Mucha, "pictor bohemus" che fu (anche, ma non solo) maestro dell'Art Nouveau

Vita di Alfons Mucha.
Nel cuore dell’Art Nouveau
di Patrizia Runfola
prefazione di Claudio Magris
con un saggio di Gérard-Georges Lemaire
Lindau, 2019

pp. 266
€ 24,00 (cartaceo)
€ 16,99 (ebook)



Primato della figura femminile e sua assimilazione alla flora, celebrazione della natura specialmente nel rigoglio delle sue infiorescenze, senso di grazia e malizia, vitalità e mitezza, chiome fluttuanti con ciocche “a liana”, trionfo di linee ondulate “a colpo di frusta”, asimmetria, bidimensionalità e dinamismo della composizione, tenui colori pastello: tutto questo è Art Nouveau (perlomeno nella sua declinazione squisitamente figurativa) e tutto questo è Alfons Mucha (1860-1939), ovvero l’artista ceco che come pochi altri ha contribuito al successo dell’epocale movimento estetico variamente denominato “Jugendstil” (Germania), “modern style” (Inghilterra), Sezessionstil (Austria), “style sapin” (Svizzera), “arte jóven” (Spagna) e “Liberty” (Italia). Quale scelta migliore della sua Rêverie (1897), dunque, per illustrare la copertina del volume biografico a lui dedicato da Patrizia Runfola e appena pubblicato da Lindau? La soave fanciulla immersa in un’atmosfera di sogno, circondata da un’aureola di boccioli variopinti che sembrano germogliare direttamente dalla sua acconciatura, ricambia lo sguardo dell’osservatore e lo invita a sfogliare le pagine, dove troverà un ritratto ammirato del suo autore accompagnato da quello – indiretto ma non meno intenso – della sua studiosa.

"Nel silenzio delle nostre parole": incontro con Simona Sparaco


Simona Sparaco e Debora Lambruschini
durante la presentazione a "Scrittori d'estate" (Sestri Levante)

«Quante parole ci diciamo che sono solo silenzio? Perché vorremmo dirne altre ma non abbiamo il coraggio di dargli voce. [...] E qualche volta il silenzio delle nostre parole si fa così assordante che ho bisogno di una via di fuga»

Di parole difficili da pronunciare, solitudini, conflitti, pregiudizi. Di vita. Di rinascita. Leggere Simona Sparaco è sempre emotivamente coinvolgente: attraverso le sue storie porta il lettore tra le pieghe dell’animo umano, in quelle zone buie da cui non è facile uscire, spingendoci a mettere in discussione certezze e risposte che crediamo di conoscere. Ricordo ancora perfettamente le sensazioni suscitate dalla lettura di Nessuno sa di noi, il romanzo pubblicato nel 2013 per il quale era stata anche candidata al Premio Strega, una storia di dolore e rabbia in cui le parole bruciavano sulla pagina in tutta la loro crudezza, per raccontare il calvario di una coppia di fronte alla scelta più difficile. Sono passati diversi anni e diversi libri da allora per la Sparaco, ma tornare a leggerla con Nel silenzio delle nostre parole (qui la lettura di Gloria Ghioni) è stato anche ritrovare la sua voce, più matura e consapevole, certo, ma con la stessa urgenza di indagare fragilità, pregiudizi, ombre e solitudini dell’animo.
Ho avuto il piacere di dialogare con lei pochi giorni fa a Sestri Levante in occasione della rassegna letteraria “Scrittori d’estate”, organizzata dalla Libreria Mondadori del luogo: confrontandomi su questo romanzo corale vincitore del premio Dea Planeta 2019, la sensazione, ancora una volta, è quella di una donna sensibile, attenta osservatrice del mondo e soprattutto delle persone, per la quale il mestiere di scrivere resta oggi come dieci anni fa un’urgenza e soprattutto un mezzo per esorcizzare le proprie paure, come ha rivelato lei stessa nel corso della presentazione.

"La parata": quando bisogna solo eseguire il proprio compito, senza fare e farsi domande

La parata
di Dave Eggers
Feltrinelli, 29 agosto 2019

Traduzione di Francesco Pacifico

pp. 144
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Si alzò in piedi e si godette il silenzio assoluto. Non vedeva accampamenti e non sentiva voci umane. Questa era serenità: stare soli con la strada e l'asfaltatrice. Il lavoro nella sua essenza: tutto il resto non era necessario. (p. 30)
Nel mondo immaginato da Dave Eggers nel suo nuovo romanzo, La parata, non ci sono tante domande da farsi: bisogna lavorare, un po' come il protagonista Quattro, che ha lasciato la sua famiglia lontano per andare ad asfaltare 230 chilometri di strada a due corsie per unire il Nord (più avanzato) al più arretrato Sud. Quattro sapeva già prima di partire che l'impresa sarebbe stata tutt'altro che semplice: avrebbe dovuto preparare e verniciare l'asfalto entro la data stabilita per l''importante parata che sancirà finalmente la fine delle ostilità tra le due parti del paese. Ad aiutare il protagonista nella sua impresa, è stato mandato lì Nove, un uomo che deve precedere Quattro e la poderosa macchina asfaltatrice RS-80 cercando e appianando ostacoli, rimuovendo sassi e allontanando animali e persone lungo il percorso. In realtà, fin da subito Quattro scopre che il suo compagno di lavoro è tutt'altro che motivato: Nove sul suo quad fa tutto ciò che è vietato, dallo stringere rapporti con i locali al mangiare il loro cibo e corteggiare le loro ragazze. Dopo la guerra a cui più volte si allude nel romanzo, infatti, il Sud rurale è particolarmente ostile ai nuovi arrivati e ci sono vari gruppi rivoluzionari che hanno preso il potere con la forza e che gestiscono una sorta di mafia locale.

#CriticaLibera: il decimo numero di "effe – Periodico di Altre Narratività". L'istantanea del fervore letterario italiano non può prescindere dall'attività delle riviste

effe, Periodico di Altre Narratività - numero dieci
AA.VV.

pp. 96
€ 10


Da molti anni (quasi) tutte le case editrici italiane partecipano alla corsa per arrivare prime nella scoperta dell’esordiente di talento e, ovviamente, di successo. Dopo i casi degli inizi del Duemila di Paolo Giordano, Roberto Saviano et similia, il mercato editoriale ha trasformato la vocazione di scoperta nell’unica e sola modalità di sostentamento e crescita della propria economia. Non è questa la sede per discutere di come questo abbia viziato e fatto marcire dall’interno il mondo letterario italiano, oggi in uno dei suoi momenti di maggior crisi: quante case editrici indipendenti si affacciano ai lettori per la prima volta nel 2019? Rapportato agli anni d’oro della piccola e media editoria italiana che vide, tra gli altri, la nascita di Fazi, minimum fax e Fandango, il numero dei nuovi editori oggi sembra ridicolo.

Nelle viscere dell'Islam sconosciuto: i racconti dall'Indonesia di Feby Indirani

Non è mica la vergine Maria
di Feby Indirani
traduzione di Antonia Soriente
illustrazioni di Marie Cécile
Add editore, 2019

pp. 192
€ 18 (cartaceo)

Avvio questa recensione con una nota personale.
Alcuni libri arrivano nel momento giusto: ho avuto modo di leggere Non è mica la vergine Maria poco prima di partire per un breve soggiorno in Giordania, nazione che, come l’Indonesia di Indirani, è a maggioranza musulmana. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di poter visitare più di un Paese dell’est asiatico, e di osservare da vicino culture condizionate da religioni imponenti quanto il (o più del) cristianesimo. A Kathmandu, per fare un solo esempio, è impressionante notare come la città possa cambiare nelle vicinanze di un tempio buddista o di uno induista: in termini di colori, odori, comportamenti, vestiario, bastano un paio di giorni per riuscire a riconoscere da lontano le differenze, capire in che modo la spiritualità ha pervaso la quotidianità, letteralmente fin dentro la terra.

Che cosa fanno tre serbi e due musulmani? Cinque amici per la pelle

Tre serbi, due musulmani, un lupo
di Luca Leone e Daniele Zanon
Infinito Edizioni, 2019



pp. 296

€ 15,00 (cartaceo)
€ 4,89 (ebook)




Non è semplice raccontare di un conflitto come quello che ha insanguinato la ex Jugoslavia non molti anni fa. Innanzitutto perché il tempo trascorso è ancora breve e le ferite inferte non si sono ancora rimarginate. E poi perché si tratta di una guerra che l'Europa ha colpevolmente rimosso, prima (non dando importanza ai fermenti nazionalistici che sotto traccia infettavano i territori), durante (volgendo lo sguardo altrove, mentre accadevano atti di una ferocia inenarrabile) e dopo (cercando di chiudere velocemente i conti con la Storia). Il risultato è che non tutti hanno chiara contezza di che cosa sia avvenuto a un braccio di mare dalle nostre spiagge, poco più di 20 anni fa.
La generazione che nulla ne sa in assoluto è quella dei ragazzi, all'epoca o neppure nati o troppo piccoli per interessarsi a fatti raccontati nei telegiornali e adesso non aiutati dai programmi scolastici di storia che al Novecento già faticano ad arrivare, figuriamoci agli anni Novanta. Eppure basterebbe fare qualche nome, solo per limitarsi allo sport: Novak Djokovic, classe 1987, serbo (madre croata e padre montenegrino), che da ragazzino si allenava nelle zone bombardate dalla Nato; Edin Dzeko, classe 1986, bosniaco, che ha passato l'infanzia a nascondersi per trovare riparo da spari e bombe; Miralem Pjanic, classe 1990, bosniaco, costretto a lasciare la sua patria per il Lussemburgo, come, d'altra parte, Mario Mandzukic, 1986, croato, costretto a riparare in Germania. Per non parlare del Pallone d'oro, Luka Modric, 1985, croato, il cui nonno fu assassinato dai serbi, e che imparò a tirare i primi calci nel parcheggio di un ex albergo adibito a rifugio di fortuna per i profughi croati. I giovani che scandiscono il loro nome negli stadi spesso non immaginano nemmeno quanto l'infanzia di questi campioni sia stata difficile, cresciuti come furono nella guerra e nell'odio razziale.

«Ogni uomo è, sempre, un po' attore. E non solo l'attore, ma ogni essere umano deve, qualche volta, per sentirsi vivo, potersi immaginare un po'»

L'attore
di Mario Soldati
Bompiani, 2017

1^ edizione: 1970

pp. 238
€ 11 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


«Ascoltando Enzo, istintivamente, mi sostituivo a lui. Non sono neanche sicuro, scrivendo, oggi, a distanza dagli avvenimenti, due anni e più dopo la sua morte, di non trasformarlo un po' in me stesso: di non imprestargli, senza volerlo, la mia voce, il mio modo di pensare e di parlare. L'inconveniente accade, fatalmente, a chi scrive, con ogni personaggio. Ma è questione di misura: con qualcuno accade di meno, e con qualcuno di più» (p. 185) 
L'attore, romanzo che valse a Mario Soldati il Campiello del 1970, si apre a Linate, con l'io-narrante in attesa del suo volo per Roma. Come spesso accade, gli occhi corrono sulle persone altrettanto affannate o annoiate dall'attesa, e tra gli altri lo sguardo cade su una figura nota, con quella sua ben riconoscibile «camminata dell'uomo vanesio e pieno di zuppa: dell'uomo che si crede intelligente, affascinante, importante» (p. 173).  Ci vuole qualche momento prima che il narratore riconosca in lui Enzo Melchiorri, caratterista che era stato un tempo famoso e ora quasi dimenticato, nonostante il suo talento. Nel rivedersi, scatta il classico elemento-nostalgia, seguito però da una richiesta: Enzo è in serie difficoltà economiche, a causa del vizio della moglie di giocare continuamente al casinò, e chiede al narratore un aiuto. L'idea è semplice: il narratore, noto regista in viaggio di lavoro a Roma, proverà a raccomandare Enzo in nome delle loro vecchie collaborazioni e di un'amicizia congelata dagli impegni ma non certo intaccata dal tempo. Sarà che il narratore - lo scopriremo via via - si immedesimerà spesso nella vita dell'amico, con cui condivide ben più di un tratto caratteriale. 

"Non posso dire quanto durerà la tua missione, ma sarà questa: cantare per guarire"

Il guaritore
di Renzo Brollo
Diastema Editrice, 2019

pp. 378
€ 16,00 (cartaceo)



Direste mai che la figura sulla copertina di Il guaritore, circondata com’è da piume di pavone bianco e con indosso una maschera argentata dal lungo becco, abbia poteri, per così dire, taumaturgici? Potrebbe sembrarvi, tutt’al più, un modello, un attore, magari un danzatore, un cantore, più genericamente un artista: tutto fuorché qualcuno capace di sanare mali fisici o spirituali. Eppure le cose stanno proprio così: Carlo, il protagonista dell’ultimo romanzo di Renzo Brollo appena pubblicato da Diastema Editrice, possiede una vocazione naturale per la musica e il canto, una dote rara che opportunamente educata sarà capace di ridurre i suoi ascoltatori in uno stato prossimo all’estasi. Con tutta la fatalità che spetta ai predestinati, Carlo lavorerà per diventare un meraviglioso “filtro” e ripulire così le anime di coloro che lo ascolteranno, accettando suo malgrado le implicazioni innaturali e mostruose del suo compito. 

#CritiCOMICS: "Dosei Mansion 2" è esattamente quello che aspettavamo

Dosei Mansion Volume 2
di Hisae Iwaoka
Bao Publishing, 2019

Traduzione di Christine Minutoli

pp. 192
€ 7,90 (cartaceo)



Mi capita, a volte, con i fumetti a uscite cadenzate nel tempo (e i miei preferiti ne hanno di distanziate l’una dall’altra) di dimenticare cosa sia successo negli episodi precedenti. Non mi è successo con Dosei Mansion di Hisae Iwaoka e la motivazione è già di per sé un valore del manga. Già il primo volume (di cui vi invito a leggere la recensione prima di procedere con questo articolo per avere più chiara la trama della storia) aveva chiarito senza fraintendimenti che l’obiettivo di Mitsu era quello di calcare le orme del padre scomparso, eguagliarne la caratura professionale e, se possibile, raggiungerlo sulla Terra.

Dall'amore al disamore (o forse no): "Due" di Irène Némirovsky

Due
di Irène Némirovsky
Mondadori, 2017

1^ edizione originale: 1939
Traduzione di G. Mezzanotte

pp. 236
€ 11 (cartaceo, Oscar Mondadori)
€ 3,99 (ebook)



«Si baciavano. Erano giovani. I baci nascono sulle labbra in modo così naturale quando una ragazza ha vent'anni! Non è l'amore, ma un gioco; non si cerca la felicità, ma un attimo di piacere. Il cuore ancora non desidera nulla: è stato colmato d'amore, saziato di tenerezza durante l'infanzia. Taccia ora. Dorma! Si lasci dimenticare» (p. 3).
Si apre all'insegna dei primi moti di passione Due, romanzo tra i più famosi di Irène Némirovsky, pubblicato nel 1939 e ambientato alla fine della Prima guerra mondiale. Facciamo conoscenza dei suoi personaggi in una notte di divertimento, a pochi chilometri da Parigi, in una pensione dove stanno amoreggiando: da un lato ci sono Antoine e Marianne, dall'altro l'amico di lui, Dominique, con la bella Solange; seduto a terra, che finge di dormire, Gilbert, fratello di Antoine, da sempre innamorato di Solange ma incapace di darle ciò che lei vuole. 

La teoria dei rapporti umani? Si studia in biologia

La botanica delle bugie
di Elisa Casseri
Fandango libri, 2019

pp. 301
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 



Elisa Casseri torna in libreria con La botanica delle bugie a cinque anni dall’esordio con Teoria idraulica delle famiglie (Elliot) e a quattro dalla vittoria del premio Riccione per il Teatro con L’orizzonte degli eventi. La giovane scrittrice del Basso Lazio rappresenta senza dubbio una tra le migliori promesse della sua generazione e lo dimostra con un libro che racconta, con uno stile tra il diario, il flusso di coscienza, il trattato scientifico e la narrativa letteraria, la sua teoria alla base dei rapporti umani. Che siano legami d’amicizia, d’amore o interni a una famiglia, secondo la Casseri esiste un processo botanico che accumuna le persone alle piante. La germinazione, la fioritura, la maturazione dei frutti e la senescenza riguardano tanto un albero di limoni quanto i fili che intrecciamo con quelli di cui decidiamo di circondarci.

“Cacciateli!” Quando i migranti eravamo noi, di Concetto Vecchio


Cacciateli! 
Quando i migranti eravamo noi
di Concetto Vecchio
Feltrinelli, 2019

pp. 192
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)




«Mi colpisce la regolarità della Storia, la circolarità delle cose, il fatto che tutto torni prima o poi, o si riproponga, con altre facce, ma con i medesimi destini». 
Non c’è momento migliore per leggere Cacciateli! di Concetto Vecchio, perché è la testimonianza di come certe dinamiche sociali e politiche si ripropongano in modo diverso, seppur con lo stesso esito. E mentre il nostro presente è intriso di storie di migranti che fuggono dal proprio paese, scontrandosi spesso con la xenofobia e con trincee per fini propagandistici, il libro racconta di quando eravamo noi a cercare fortuna in altri paesi e subivamo ostilità, discriminazione e condizioni lavorative improponibili. «Dal 1946 al 1968 espatriarono in Svizzera due milioni di italiani» (pag. 29) scrive l’autore, che analizza cause e conseguenze di numeri così importanti, descrivendo con grande accuratezza il contesto sociale, economico e politico dell’epoca insieme ai risvolti umani, e quella circolarità delle cose all’origine delle riflessioni dell’autore. 

Anna Édes di Dezső Kosztolányi: la metafora di un mondo che cambia per non cambiare davvero

Anna Édes
di Dezső Kosztolányi
Edizioni Anfora, 2018

Traduzione di Andrea Rényi e di Mónika Szilágyi
A cura di Mónika Szilágyi
Postfazione di Antonella Cilento

pp. 272
€ 17,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


“Ho già detto tante volte che di questi tempi solo le serve se la passano bene”. Le signore emisero un sospiro come se fossero tutte donne che avevano sbagliato carriera e dispiaciute perché in quel mondo crudele in nessuna circostanza era loro possibile fare la cameriera. (p. 107)
Premessa. Per capire i fatti accaduti nel libro è indispensabile conoscere il contesto storico-politico ungherese in cui la storia è ambientata. Gli eventi del romanzo si svolgono tra il 1919 e il 1922, più precisamente durante la caduta del Consiglio della Repubblica ungherese e l’adesione dell’Ungheria alla Società delle Nazioni: Dezső Kosztolányi immerge il lettore nei primi anni del consolidamento del potere di Miklós Horty. Il regime di Béla Kun, capo dei soviet ungheresi, è saltato, lasciando il Paese nel caos della rappresaglia, in cui i ferventi comunisti che hanno attaccato le classi borghesi e ricche temono per la propria vita. Si è sull’orlo di una guerra civile all’inizio di Anna Édes: il primo capitolo racconta proprio della fuga di Béla Kun in aereo, carico di beni e gioielli arraffati prima di lasciare l’Ungheria.

#CriticaNera - La follia Mazzarino: i gialli di Michel Bussi non deludono

La Follia Mazzarino
di Michel Bussi
Traduzione di Alberto Bracci Testasecca
edizioni e/o, 2019 (collana Dal Mondo)

pp. 478
€ 17 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

Una sola parola mi aveva colpito al cuore. Inevitabile. Mornesey! Il mio passato. La mia storia. La mia storia incompiuta (p. 29).
Lo ammetto: ho conosciuto l'autore francese Michel Bussi solo lo scorso anno con La doppia madre (e/o, 2018), del quale Critica Letteraria si è occupata qui, ma poi ho proseguito con la lettura del suo stupefacente romanzo d'esordio, Ninfee nere (e/o, 2016), della quale Critica Letteraria ha scritto qui, e da allora le sue trame piene di colpi di scena, bellissime atmosfere e personaggi realistici mi hanno conquistata.
Così, quando ho saputo dell'uscita de La Follia Mazzarino (e/o, 2019), la curiosità ha preso il sopravvento e non ho potuto fare a meno di immergermi in questo nuovo ed entusiasmante giallo.

La storia, che nella prefazione l'autore confessa essere stata probabilmente la prima che ha ideato, si svolge sull'immaginaria isola anglo-normanna di Mornesey durante il mese di agosto del 2000 e si apre con l'evasione di due pericolosi criminali. 
Al centro della narrazione troviamo vari personaggi, tra i quali Colin Remy, orfano di entrambi i genitori ma convinto non solo che il padre sia ancora vivo e si trovi proprio sull'isola, ma anche che egli, prima di scomparire, fosse sulle tracce di un leggendario tesoro. Con l'aiuto della sedicenne Madi e dell'intelligentissimo Armand, cercherà di far luce su questo mistero.

La mente nasce negli oceani: i polpi nel secondo volume di Animalia

Altre menti. Il polpo, il mare e le remote origini della coscienza
di Peter Godfrey-Smith
Adelphi, 2019

Titolo originale: Other Minds. The Octopus, the Sea, and the Deep Origins of Consciousness
Traduzione di Isabella C. Blum

pp. 303 
€ 22,00 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)


Cose che mi è sempre piaciuto leggere: narrativa italiana e straniera; poesia; saggi su storia (del Risorgimento e contemporanea in particolare), microstoria, arte, antropologia, linguistica, critica letteraria. Cosa non ho mai pensato mi potesse interessare: scienza, biologia, etologia animale. 
Per questo l’incontro con la collana Animalia di Adelphi è stato folgorante e del tutto imprevisto: con Al di là delle parole, straordinario scritto di Carl Safina (qui la recensione), mi si è spalancato davanti un universo di senso, una realtà avvincente che parla direttamente al nostro presente, ma da una prospettiva altra, da un punto di vista inusuale. Per capire se il mio colpo di fulmine potesse evolvere in una vera storia d’amore, ho voluto proseguire il mio esperimento con il secondo volume della serie, Altre menti, che parte da uno studio puntuale e approfondito della classe dei cefalopodi (cui appartengono polpi, seppie e calamari) per porsi domande più profonde circa l’origine della coscienza. 
Noi siamo infatti abituati a considerare “intelligenti” diversi animali che in qualche modo sentiamo vicini a noi: mammiferi, come scimpanzé, cani e gatti; studi recenti permettono di inserire nel gruppo anche alcuni uccelli, come corvi e pappagalli, che pure rientrano nella macrocategoria dei vertebrati a cui appartiene anche l’essere umano. Come possiamo spiegare allora l’intelligenza dei polpi, che si sono evoluti lungo una linea completamente diversa da quella degli uomini?

La Wunderkammer letteraria di "Perché ci ostiniamo" di Fredrik Sjöberg

Perché ci ostiniamo
di Fredrik Sjöberg
Iperborea, 2018

Traduzione di Andrea Berardini e Fulvio Ferrari

pp. 192
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Io però sono alla ricerca di qualcos'altro, di un'intuizione più audace per il futuro delle pietre preistoriche e delle capanne di legno con il tetto di torba. Quello che cerco è una nuova - almeno in parte - estetica, il che ovviamente può anche dipendere dal fatto che, personalmente, sto abbandonando lo stadio del collezionista, il trafficare con animali e piante, ovvero i singoli vocaboli, per cercare di afferrare il racconto nella sua totalità. (p. 145)
Non è semplice inquadrare Perché ci ostiniamo di Fredrik Sjöberg. L'autore svedese edito da Iperborea è viaggiatore, entomologo e saggista: una figura caleidoscopica che, partendo da un punto, è in grado di farti arrivare a distanze mai percorse o immaginate. Distanze che ti fanno guardare indietro, scorrere le pagine e ti fanno domandare: "Ma come siamo arrivati a parlare di questo?". 

#PilloledAutore - "L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello" di Oliver Sacks

Con un po' di (colpevole, lo ammetto) ritardo, a trent'anni mi sono avvicinata ai libri di Oliver Sacks. Ho cominciato da uno dei suoi must, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello.
Fidati, mi dicevano, Sacks cambierà la tua percezione del mondo. Lo ha fatto. E definitivamente.

Medico figlio di medici, è cresciuto in una casa che ha definito "permeata da storie di medicina".
La scienza si è accostata sin da subito all'immaginario di un bambino che nel tempo della medicina avrebbe fatto non solo un oggetto di analisi accurata, ma una sorgente di immaginazione. 
Da qui il legame con la scrittura, inscindibile nel lavoro di Sacks, quasi a voler testimoniare che non ci può essere cura senza scrittura, non c'è scrittura che non si leghi a un bisogno di cura.

Di chi scrive Oliver Sacks?
Dei malati incontrati durante le sue esperienze cliniche di neurologo, pazienti con lesioni encefaliche di vario tipo che hanno prodotto in loro nel tempo una serie di comportamenti  singolari. Uomini e donne di ogni età che soffrono di perdite, di eccessi, di acute reminiscenze, di insufficienze mentali.

La classe operaia non va in Paradiso: "Come si fanno le cose" di Angelo G. Bortoluzzi

Come si fanno le cose
di Antonio G. Bortoluzzi
Marsilio, 2019

pp. 214
€ 16,00 (cartaceo)
€  9,99 (e-book)




"Vale, te l'immagini alzarti la mattina presto e fare la polenta da boscaioli invece che timbrare quel maledetto cartellino?" (p. 153)
Valentino e Massimo, amici da una vita, condividono anche le ore di lavoro: sono entrambi addetti alla manutenzione alla Filati Dolomiti, una delle tante fabbriche che costellano di capannoni la pianura veneta, dove le montagne sono soltanto un ricordo d'infanzia e un filo all'orizzonte. Dove le fabbriche di cemento o in prefabbricato illuminano, con le loro insegne al neon, le strade statali e provinciali e sanno di fatica, di sudore, di turni. Tanto scombinanti che non sai mai se è l'ora della brioche per colazione o della bistecca per cena.
Vale, separato, vive con Gea, cagnolina affettuosa in perenne attesa, Massimo, donnaiolo impenitente, è solo. Insieme hanno la passione del camminare tra i boschi, specialmente per arrivare a un certo agriturismo, Monteparadiso, dove si attavolano davanti a piatti epici. Monteparadiso rappresenta per loro la fuga, la lontananza dalla fabbrica succhiatempo e succhiasangue, il ritorno alla natura. Quando scoprono che il vecchio oste è stanco di mandare avanti la baracca e cerca compratori, Vale e Massimo si lasciano conquistare dal sogno di rilevare l'agriturismo per tornare a dar vita a quei gesti che non esistono più: mungere una mucca, coltivare l'orto, rimestare la polenta nel paiolo. Gesti che sono legati al loro mondo infantile, quando da bambini, abitavano in montagna, là dove ogni azione aveva un valore, una conseguenza concreta.

«Chissà se la vita è un fiume che porta distesi ad abbracciar chi incontri, o a indossar pantofole, attento a dove metti i piedi».

Cos'hai da guardare
di Bobo Rondelli
Mondadori, luglio 2019

pp. 180
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Quanti modi conoscete per parlare della vita? Bobo Rondelli sceglie quello più scanzonato e informale, tipico suo, senza veli, per raccontarsi in brevi episodi, a tratti fulminanti: 
Sono qui a ripercorrere le strade maestre dell'infanzia, dove sembra che il tempo non sia mai passato, dove sono sempre io a vivere nello stesso posto. (p. 25)
Non sono tanto i primissimi anni ad interessare all'autore, ma più che altro l'adolescenza, periodo disgraziato per vari grilli per la testa, acne e classici complessi dell'età, mentre il rapporto coi genitori e in particolare col padre si fa complesso. La delusione del genitore per la caduta nelle dipendenze e l'incapacità di tenersi un lavoro è però controbilanciata dalle riprese, dai successi, nuovamente riequilibrati dagli spettacoli dove sono arrivati fischi e insulti:
Sono stato un fricchettone viziato che sputava sempre nel piatto. Chissà quanto hai sofferto a sentirti arrivare in faccia questa sassata di ingratitudine.
Peccato non ci sia venuta la forza di litigare e sputare fuori i rospi.
Bello sarebbe poterlo fare adesso, affrontarci a muso duro e sentire come siamo forti. (pp. 84-85)

Buon Ferragosto con il nostro #RileggiamoConVoi!

Buon Ferragosto! 
Se l'anno scorso vi abbiamo portato... a tavola nella nostra grigliata consigliandovi ottimi libri come ingredienti (potete leggere qui l'articolo), quest'anno vi invitiamo a fare un cin-cin con noi: al mare, in montagna o anche semplicemente a casa c'è sempre spazio per dissetarsi con una lettura in grado di portarci lontano! 

Buona giornata e buone letture,
La Redazione

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Carolina fa cin-cin con
"Paradiso e inferno" di Jón Kalman Stefánsson (Iperborea)
Perché: anche il Ferragosto può essere coronato con una lettura seria, che esplora i recessi dell'animo umano e lascia, una volta ultimata, un senso di totale appagamento; perché in ogni suo scritto questo autore straordinario riesce a coniugare poesia e concretezza, e a parlare di temi universali con immagini efficaci e indimenticabili. Paradiso e inferno è una grande storia di amicizia, di perdita, di formazione, ambientata in un'Islanda aspra, eppure sempre sapientemente illuminata grazie alla penna acuta, precisa, di Stefánsson.
A chi ama i panorami nordici, i romanzi complessi e strutturati su più livelli, la metaletteratura; a chi si lascia affascinare dalle parole e che crede che la letteratura possa salvare - o perdere - l'uomo. A chi già ancora non conosce Stefánsson e vuole trovare un nuovo scrittore del cuore.

A cosa sareste disposti a rinunciare pur di vivere qualche giorno in più?

Se i gatti scomparissero dal mondo
di Kawamura Genki
Einaudi, giugno 2019

Traduzione di Anna Specchio

pp. 184
€ 14 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


Se siete gattofili, sicuramente il nuovo romanzo di Kawamura Genki avrà già attirato la vostra attenzione in libreria: un po' per la copertina bellissima e tuttavia vagamente inquietante, con questi gatti senza occhi che sembrano spettri in dissolvenza, un po' per il titolo, che contempla un'ipotesi terribile. Ma c'è di più: anche la sinossi è certamente curiosa. Possiamo leggere la storia come una riscrittura moderna (non letterariamente pretenziosa e anzi giocosa) del Faust di Goethe
Il protagonista è un trentenne giapponese, quasi disinteressato al trascorrere delle sue giornate sempre sostanzialmente uguali, finché scopre all'improvviso che è un tumore al cervello a provocargli i suoi frequenti mal di testa. Stando ai medici, gli restano pochissimi giorni di vita; mentre il ragazzo si dispera e non sa cosa fare, nel suo appartamento si materializza il diavolo, con una proposta allettante. È disposto a prolungare la vita del protagonista, se lui ogni giorno accetta di far scomparire dal mondo qualcosa. All'inizio il ragazzo elenca tutte le cose che odia e gli sembra che il patto sia molto vantaggioso per lui, ma il diavolo è furbo e precisa che invece deve trattarsi sempre di una rinuncia. E la domanda che dunque scatta nel protagonista ma, inevitabilmente, anche nel lettore è: a cosa sareste disposti a rinunciare pur di vivere qualche giorno in più? 

#CriticaNera - Ai confini tra thriller e horror: "Chi ha rubato Annie Thorne?" di C.J. Tudor

Chi ha rubato Annie Thorne?
di C.J. Tudor
Rizzoli, 2019

Traduzione italiana di Sandro Ristori

pp. 352
€ 20,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



L'incipit è una scena raccapricciante: il sergente Gary trova il corpo di una donna, con la testa deturpata dal colpo di fucile che si è autoinferta e le mosche che le ronzano attorno, ma non è questo il peggio; in quel cottage nel paesino di Arnhill c'è un altro cadavere, quello di un bambino che è stato ucciso barbaramente e ora giace in avanzato stato di decomposizione sotto una scritta tracciata col sangue: NON È MIO FIGLIO.
Inizia così il secondo romanzo di C.J. Tudor, della quale avevo già molto apprezzato l'esordio, L'uomo di gesso. Questo nuovo libro riprende alcuni temi e topos, a partire dall'avere come protagonisti dei ragazzini e dal giocare su più piani temporali. Apprendiamo infatti che Joseph Thorne, che da bambino ha vissuto ad Arnhill, torna da quarantenne per insegnare nella sua vecchia scuola dopo il grave fatto di cronaca che ha turbato l'istituto, ovvero la morte di una insegnante e di un allievo (la donna e il figlio ritrovati nel prologo). Subito l'autrice, attraverso delle allusioni, brevi frasi sibilline che sono una delle caratteristiche più intriganti della prosa, ci fa capire non solo che nel passato di Joseph di cela un evento traumatico legato a sua sorella, ma anche che il protagonista nasconde più di un segreto.

«La Sicilia è un distillato dell’Italia»: intervista a Stefania Auci


L’Ottocento è stato il secolo della Rivoluzione Industriale, della cieca fede nel progresso, del positivismo. Il mondo cambiò nel giro di pochi decenni in tutta Europa e in gran parte dell’America; vennero poste le fondamenta della modernità e del mondo che conosciamo oggi, da tutti i punti di vista: la politica, l’economia, l’organizzazione della società. Questa rivoluzione è stata possibile grazie a uomini e donne che hanno saputo interpretare lo spirito del loro tempo, che del loro tempo erano figli. Che fosse nella nebbiosa Londra o nella soleggiata Palermo, poco importava. Laddove c'era qualcuno con la giusta determinazione il seme della Rivoluzione Industriale attecchiva e dava i suoi frutti.
A Palermo l’Ottocento industriale porta il nome di una famiglia, i Florio. Emigrati dalla Calabria nel capoluogo siciliano alla fine del XVIII secolo, costruirono un impero da una semplice drogheria. Dal commercio di spezie allargarono la loro attività nei settori più svariati: dal rinomato Marsala fino alla cantieristica navale e la siderurgia. Furono portatori d’innovazione (inventarono la conservazione del tonno sott’olio), occupazione e benessere; furono, forse, i primi interpreti in Sicilia di un nuovo modo di stare al mondo, quello della modernità. La loro saga si allunga per tutto l’Ottocento e una parte del Novecento, generazione dopo generazione, ogni epoca ha visto un membro della famiglia Florio essere tra i protagonisti.
Quella dei Florio è una storia affascinante ed emblematica, per il periodo storico, per la Sicilia, per Palermo e per l’Italia intera. Finora nessuno si era azzardato a metterla nero su bianco nella forma che forse più di altre può darne l’esatta misura, la narrativa. Ci ha pensato Stefania Auci con I leoni di Sicilia (Editrice Nord), il primo volume di una saga che sta incontrando un enorme successo di pubblico e buona accoglienza critica. Oggi, su Critica Letteraria, l’abbiamo incontrata per voi.

Ricostruire dalle macerie: "Bella mia" è una delle testimonianze più toccanti sul terremoto dell'Aquila

Bella mia
di Donatella di Pietrantonio
Einaudi, 2018

con una postfazione dell'autrice

pp. 182
€ 12 (cartaceo tascabile)
€ 7,99 (ebook)


Non è mio figlio. Marco e io non ci apparteniamo. E se una gemella doveva morire, non ho voluto essere io la superstite. La lotteria del terremoto ha estratto a caso e li ha spaiati, Olivia e la sua creatura. Ha salvato me, e a volte ho nostalgia della fine che mi è stata negata. Non sono madre, lui non è frutto di questo ventre magro. È un altro, nato da un'altra quasi uguale a me. Io non lo amo, spesso non lo amo, quando rientro a casa e annuso la sua presenza sento subito un disagio nello stomaco e poi cado sotto gli spari dei suoi occhi. Mi spaventa, come l'enormità del mio compito. Dovrei essergli mamma di scorta. Invece sono ancora la supplente di prima nomina incapace di affrontare la classe turbolenta. (p. 100)
Capita: di essere la gemella meno appariscente, la numero due, quella che viene sempre messa in ombra dalla bravura e dalla bellezza dell'altra. Capita: di aver accantonato il sogno di diventare madre molto tempo prima e poi di dover rivedere i propri piani all'improvviso, quasi per forza. Capita: di sopravvivere alla terribile notte del 6 aprile 2009, mentre la sorella resta sepolta sotto le macerie di casa. E per la protagonista e io narrante del romanzo, Caterina, tutto cambia: la sua vita tranquilla da pittrice di ceramiche viene sconvolta dalla convivenza forzata con sua madre e con Marco, il suo nipote adolescente, in una delle c.a.s.e. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) offerte dallo stato agli sfollati. 

"Neve, cane, piede": cosa significa essere soli?

Neve, cane, piede
di Claudio Morandini
Exòrma Edizioni, 2015

pp. 144
€ 13,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)



Adelmo Farandola vive in montagna. Odia il contatto con gli altri esseri umani e confina i viaggi in paese a quelle volte in cui è costretto ad approvvigionarsi. Una, al massimo due nell’arco di trecentosessantacinque giorni di solitudine. Unica compagna del suo eremitaggio è la natura, declinata in tutte le sue splendide sfaccettature e che dà ad Adelmo il ritmo delle giornate. Fino a quando un cane randagio lo segue lungo un sentiero e non vuole lasciarlo per nessun motivo. Può tirargli cacci e sassi contro quanto vuole, Adelmo, ma quel cagnaccio è sempre lì, al suo fianco. Controvoglia lo ammette nel suo rifugio e divide con lui le provviste stipate nella stalla e la lotta al contatto umano, inclusa quella contro quel dannato guardacaccia che in estate viene a disturbarlo quotidianamente, chiedendogli conto e ragione della sua vita e dei suoi beni. Come si permette a invadere il suo territorio? Lì, fino a quelle cime lontane, il terreno e tutto ciò che gli cresce dentro è suo e può farne e disfarne ciò che vuole. Come comportarsi, però, di fronte a quel piede umano che l’ultima valanga ha portato giù fino a valle e che le prime temperature in risalita stanno svelando?

Chi ha rapito il gatto Teo? Un giallo umoristico per l'esordio letterario di Carlo Maria Paradiso

Che succede signor parroco? 
di Carlo Maria Paradiso
San Paolo, 2019

pp. 192
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Chi ha detto che la vita nei piccoli paesi scorre più tranquilla? A Sciurcanosta la quiete del parroco viene letteralmente distrutta dalla scomparsa del suo gatto siberiano Teo: un biglietto sgrammaticato conferma che si tratta di rapimento! E il prezzo per riavere l'inseparabile Teo è chiaro: rifiutare di ospitare in parrocchia un gruppo di immigrati. Il sospetto serpeggia per il paese e gli indiziati sono tanti, a cominciare dalla sindaca e da altri leghisti del paese, ma Don Giustino non ha tempo per fermarsi, deve partire per il torneo di calcio con le nazionali sacerdoti. Porta via con sé la sua indignazione, mista al desiderio di lasciare la parrocchia, e poi prova a concentrarsi per quel torneo che vale tutto il suo impegno, lui che è stato soprannominato il Gigi Riva di oggi (e non solo per le sue origini sarde). 

#Pillole d'autore – Un anno sull’altipiano, tra fango e cognac, ozio e sangue

Nasce a vent’anni dagli eventi narrati, e da una duplice istanza, questo scritto di Emilio Lussu. Nel 1936, Lussu era stato costretto da un delicato intervento chirurgico a una lunga convalescenza in un sanatorio svizzero. L’immobilità forzata non poteva che essere un tormento per un uomo come lui, votato all’attivismo, alla politica: fondatore del Partito Sardo d’Azione, era presto entrato in conflitto con il PNF e condannato al confino a Lipari, da cui era evaso rocambolescamente per trovare riparo in Francia, dove aveva portato avanti una militanza antifascista che sarebbe poi culminata nella partecipazione attiva alla Resistenza. Nel ’36 dunque, l’inquietudine e il dinamismo devono essere imbrigliate. Questo, e l’insistenza dell’amico Gaetano Salvemini, che gli reclamava “il libro” sulla guerra, lo portano finalmente a scrivere il suo racconto. Un racconto dagli intenti ben precisi, dalla delimitazione spaziale cronologica chiara e circoscritta: l’altipiano è quello di Asiago, l’anno quello che si estende tra il giugno 1916 e il luglio 1917. Non si può dire tutto, della guerra: si cerca allora di dire qualcosa, di mettere a fuoco un frammento, che però – come nelle poesie di Giuseppe Ungaretti – diviene specchio dell’universalità di un’esperienza tragica.

#CritiCOMICS - Nuvole nere sul presente: l'econazismo nel romanzo a fumetti di Ruju-Cavaletto-Piccioni

Nuvole nere
Soggetto e sceneggiatura di Pasquale Ruju e Andrea Cavaletto
Disegni di Rossano Piccioni
Feltrinelli Comics, 2019

pp. 112
€ 16.00 (cartaceo)
€7,99 (ebook)



Dopo un'assolata vacanza a Positano, la famiglia Garver-Lellouche sta facendo ritorno a casa, nel paesino di Wolkendorf. Quella che viene rappresentata è la tipica famiglia moderna, complessa, composita: Bernhard, esperto di motori, ha sposato in seconde nozze Nadia, pittrice di origini algerine. Vivono con i rispettivi figli, Dennis e Jasmine, entrambi adolescenti, che passano il loro tempo tra cellulari, videogiochi, e le tipiche schermaglie tra fratelli. All'inizio del graphic novel viene mostrata, con disegni dai profili sottili e nervosi e tinte neutre, un quadro di assoluta normalità.

Alla scoperta della Roma di Pasolini con il dizionario urbano di Dario Pontuale


La Roma di Pasolini, Dizionario urbano
di Dario Pontuale
Introduzione di Simona Zecchi
Nuova Delphi, 2017

pp. 320

€ 15,00 (cartaceo)



Arrivammo a Roma,
aiutati da un mio dolce zio,
che mi ha dato un po’ del suo sangue:
io vivevo come può vivere un condannato a morte
sempre con quel pensiero come una cosa addosso,
– disonore, disoccupazione, miseria.
Mia madre si ridusse per qualche tempo a fare la serva.
E io non guarirò mai più di questo male.

La vita di Pasolini si divide in due grandi blocchi esistenziali. La prima comprende l’infanzia e la prima giovinezza vissute a Casarsa. La seconda prende il via attorno al 1950, anno che determina il trasferimento di Pasolini nella città eterna. Roma rappresenta per l’autore il cambiamento più rappresentativo, quello che caratterizzerà maggiormente una giovinezza volutamente vissuta a contatto con le periferie, con i sottoborghi, con i luoghi più inusuali. A Roma Pasolini conoscerà scrittori allacciando e  intensificando rapporti anche con altre persone determinati nella sua vita affettiva.   La biografia ci riporta un primo periodo romano difficile:  ambizioso e consapevole del proprio valore, l’autore 


“avverte la città immensa che si distende intorno a lui, ma non ne è angosciato, bensì consolato come da un senso di protezione. Si avvolge dei suoi rumori: vi apprende segreti di vita e di stile, il «suono stordente della realtà». Naufraga nel «gran corpo di Roma». È un’immersione multisensoriale nella realtà romana. Soprattutto gli odori lo colpiscono: di asfalti, pattume, pietre, erba, pisciatoi, carbone, stracci, gas, terra lurida, tabacco, cotiche, vomito, fango, immondizia, morte e vita mescolate”.

Chi ha paura dell'alchimia? Un omaggio alla brama di conoscenza nella sintesi storica di Stefano Valente

Breve storia dell’alchimia
Dagli albori al pensiero junghiano: una sintesi storica
di Stefano Valente
Graphofeel Edizioni, 2019

pp. 123
€ 17,00 (cartaceo)


Opus Magnum, Ars Regia, Ars metallica, Ars trasmutatoria, Arte Sacra, crisopea: che cosa vi fanno venire in mente questi termini, tra loro sinonimi di alchimia? La vostra risposta sarà probabilmente questa: tutto e il contrario di tutto. Perché sì, in effetti sull’alchimia vera e propria vige una certa generale confusione, e a meno che non si nutra un interesse un po’ dotto per l’argomento il suo significato è legato a un uso del termine sostanzialmente simbolico e metaforico, ovvero di alchimia intesa come amalgama imprecisata di circostanze/sensazioni/sentimenti che finisce col sortire un determinato effetto (in affari e politica come anche nelle relazioni interpersonali). Davvero riduttivo, non vi pare, per quell’antico insieme di teorie e pratiche sorte nell’Egitto del I secolo d. C. che si proponeva di manipolare i metalli per trasmutarli in oro o in rimedi che garantissero l’elisir di lunga vita e la panacea di tutti i mali? Ma non temete: se le vostre lacune in materia cominciano a sembrarvi imbarazzanti, la Breve storia dell’alchimia di Stefano Valente, appena pubblicata da Graphofeel, è il libro che fa per voi.

Un'ombra tra il lago e la Storia nel thriller di Galimberti

Un’ombra sul lago
di Dario Galimberti
Libromania, 2019

pp. 352
€ 9,90 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)


È l'autunno del 1934. Le ombre si addensano sull'Europa, dove Adolf Hitler, divenuto cancelliere, va accentrando il potere nelle sue mani, ma anche sul lago di Lugano, dove un caso complesso sconvolge la vita ordinaria del delegato di polizia Ezechiele Beretta. 
Alle soglie dei cinquanta, con una calvizie incipiente e una spiccata tendenza alla malinconia, Beretta è un uomo in preda a una perenne inquietudine, a cui ha sacrificato un grande amore giovanile e che lo porta spesso a muoversi sul limite delle regole. Quando lunedì 29 ottobre Mosè Guerreschi esce dal malfamato quartiere del Sassello accompagnato da una schiera di disperati per chiedere aiuto, Ezechiele non sa ancora cosa lo aspetta: pur senza prendere sottogamba il tentativo di rapimento del piccolo Agostino, non immagina che presto ombre ben più inquietanti si affolleranno sulle rive del lago. Il Ceresio infatti, ben prima della vicenda investigativa, è il protagonista del romanzo: le sue acque scure fanno affiorare i corpi e seppelliscono in profondità i segreti, tanto che la polizia faticherà non poco per arrivare a una fragile, e continuamente osteggiata, verità.

«Dopo tutta questa immediatezza, dopo tutta questa insta-quotidianità, si tornerà alle lettere»: intervista a Giorgio Biferali

Giorgio Biferali
Quanti modi esistono per raccontare l'amore di oggi? Giorgio Biferali, di cui ho recensito poco tempo fa "Il romanzo dell'anno" (clicca qui per la recensione)  ha scelto la via del dettaglio. I protagonisti del romanzo vivono del loro passato: un po' perché la ragazza è in coma in un letto d'ospedale, un po' perché quando una storia finisce ci sono quelli che potremmo chiamare "contemplatori di ciò che è stato". Niccolò fa proprio così: prende carta e penna e scrive a Livia tutto ciò che non è mai riuscito a dirle, condividendo anche spunti sul presente che lei non può vedere e preoccupazioni per il futuro senza di lei. 
Per approfondire alcune delle tante scelte narrative presenti nel libro, ho pensato di proporre un'intervista a Giorgio, che ha accettato con grande disponibilità e che ringrazio personalmente per la generosità e l'entusiasmo.  

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Nel tuo romanzo il protagonista scrive lunghe lettere d’amore a Livia, in coma in un letto d’ospedale. Dunque, il tempo delle lettere d’amore non è finito? 
Secondo me no, ho l’impressione che dopo tutta questa immediatezza, dopo tutta questa insta-quotidianità, dove ci si scrive anche quando non si sente davvero il bisogno di scriversi, si tornerà alla carta, a quel senso di attesa, di illusione, a quella cura che c’era dietro ogni parola quando si scrivevano le lettere. Io la vedo come Niccolò, forse sui muri delle città si possono trovare le tracce delle ultime lettere d’amore che la gente si scrive, delle tracce però esplicite, evidenti, spudorate, e per questo bellissime. Qualche giorno fa, in Sicilia, ho letto una frase sopra un muro accanto a un supermarket: “Ma tanto tutte queste cose le sai già”. Non c’era scritto altro. Ecco, per me quella frase rappresenta il senso più profondo di tutto quello che oggi ci stiamo perdendo. 

Ne hai scritte anche tu, con carta e penna? 
C’è qualche immagine vaga dentro di me, devo averlo fatto, sì, ma non ricordo bene quando e per chi. E spesso nei ricordi mi capita di confondere le lettere che (forse) ho scritto io con quelle che mi hanno scritto gli altri, è una cosa strana, che somiglia a quello che provo ogni tanto quando ripenso ai miei personaggi.

L'estate fortunata delle donne di Miriam Toews

La mia estate fortunata
di Miriam Toews
Marcos y Marcos, 2019

Traduzione di Claudia Tarolo

pp. 302
€ 18,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Torna in libreria Miriam Toews, in veste d'esordiente.
Marcos y Marcos, che ne è diventato negli anni editore italiano d'elezione, pubblica La mia estate fortunata, il primo romanzo della scrittrice canadese, uscito nel 1996 per l'editore Turnstone Press, inedito in Italia e tradotto ora da Claudia Tarolo.
Una storia che letta, per così dire, retrospettivamente, ha già in nuce tutta la miglior Miriam Toews.
E chi ha letto anche solo uno degli altri suoi libri, da I miei piccoli dispiaceri, caso editoriale che l'ha fatta definitivamente conoscere in Italia, al coraggioso Donne che parlano, fino ad arrivare al suo best seller internazionale Un complicato atto d'amore sa quanto la narratrice canadese sia brava nel raccontare le donne e il loro mix di contraddizioni e umoralità. Senza eccessivi sentimentalismi e sempre con uno sguardo ironico. Anche, e nel suo caso direi soprattutto, nei momenti peggiori.

A lezione di fisica... con un gatto quantico!

Il gatto quantico – racconti umoristici di fisica, scienza e universo.
di Fiorenzo Foglia e Luca Montemagno
Salerno, Virgilio Mago, 2018

pp. 122
€ 9,99 (cartaceo)
€ 1,99 (ebook)



Il gatto quantico è una breve raccolta di racconti che, come suggerisce il sottotitolo, hanno come focus narrativo nozioni riguardanti la scienza, la fisica e l'universo. La matematica ne è esclusa per ora, ma chissà che non possa esserci un seguito dedicato a questa disciplina, simile per impostazione a questo libro.
Quello che state per leggere è un libro di scienza e non lo è: è contemporaneamente un testo di racconti umoristici e un piacevole spunto per comprendere i misteri della fisica moderna. (dalla Prefazione, p. 3)

Gli anni Settanta, l'Italia e la pittura: una miscellanea di Claudio Cerritelli

Soglie analitiche.
Scritti sulla pittura italiana degli anni Settanta
di Claudio Cerritelli
Nomos Edizioni, 2019

pp. 207
€ 19,90 (cartaceo)



Essere pittore nell’Italia degli anni Settanta: più facile a dirsi che a farsi. Anzi: ad averlo fatto. Perché in effetti ci voleva una certa risoluta convinzione, dopo gli sconvolgimenti culturali del decennio precedente, a professarsi paghi del medium espressivo accademico per antonomasia, quello che, da qualunque angolazione lo si osservi, porta con sé il sospetto di un malcelato “ritorno all’ordine”. Certo: ci sono stati pittori e pittori. Eppure la vita – la carriera – non fu proprio una passerella di plausi e successi per coloro che scelsero di adottare soluzioni slegate dalla figurazione tradizionale o da un altrettanto facile neo-avanguardismo di maniera, dunque più autonome, originali, (auto)riflessive, incentrate sul processo e sul farsi pittorico vero e proprio e perciò principalmente attente alle dinamiche tra materia-forma-luce-colore,. Lo sa bene Claudio Cerritelli, che per più di trent’anni ha analizzato e studiato questo fenomeno attraverso la frequentazione diretta degli artisti, l’aggiornamento costante sul relativo dibattito e la pubblicazione di contributi in prima persona: quelli che oggi si ritrovano riuniti nel suo Soglie analitiche, edito da Nomos.

#IlSalotto - Esplorare l'inspiegabile: intervista a Silvio Raffo

Foto ripresa da SempioneNews
Di Silvio Raffo ci sono piaciute le ricorrenze e le variabili; una certa riconoscibilità nello stile, ma anche la disponibilità a spaziare tra i generi. I suoi romanzi hanno portato elementi di novità in una forma dall’eleganza classica, fuori dal tempo. Le vie scelte non sono sempre le più agevoli, nella narrativa come nella saggistica. Tutto, nella sua opera, parla di una personalità spiccata, autonoma, che rifugge alla consuetudine. Ne Il segreto di Marie-Belle (qui la recensione) e nel precedente La voce della pietra  (qui la recensione), la sua prosa tersa ci accompagna ad esplorare le ombre che si annidano nell’animo umano, rivelando gli effetti tragici delle buone intenzioni in coscienze troppo fragili. Le domande suscitate dalle sue storie, soprattutto nelle suggestive connessioni che creano con la sua vita e la sua più ampia produzione critica, non potevano trovare risposte adeguate se non nel confronto col diretto interessato, che si è prestato alla nostra curiosità con immediata e totale disponibilità.

Cominciamo da Il segreto di Marie-Belle, che mi ha detto essere un'opera a cui tiene particolarmente, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Aurelia. Vuole spiegarcene il motivo? 
Aurelia Raimondi era una signorina di sentimenti e modi squisiti, mia vicina di casa nel periodo (1990-2000) in cui vivevo a Brusino Arsizio, un irreale villaggio del Ticino subito dopo la frontiera. Nel corso della sua lunga vita sono certo che sia sempre rimasta fedele al suo credo: il servizio nei confronti dei soggetti bisognosi d'aiuto, fisico e psicologico. 
Con lei ho avuto un rapporto affettivo molto profondo; fra le altre cose mi raccontò della sua pupilla Rose-Marie, figlia di un avvocato svizzero, che aveva allevato lei essendoci dei problemi con la madre separatasi dal marito. Purtroppo Rose-Marie, pur essendosi laureata in medicina ed esercitando la professione con un certo successo, non era mai riuscita a guarire da una forma depressiva che l'aveva fatta precipitare nel tunnel della droga. All'ultima telefonata – poiché si sentivano spesso pur abitando lontane – Aurelia era corsa in suo aiuto, ma arrivando troppo tardi: Rose-Marie si era già tolta la vita. Questo dolore ha segnato il resto della sua esistenza come un marchio indelebile. Ebbene, prima di morire alla Casa di riposo che descrivo nel romanzo, Aurelia mi espresse un desiderio: sarebbe stata felice se io avessi scritto la loro storia. Potevo non esaudirla? 
Naturalmente nella realtà non ci sono stati delitti, solo il suicidio della pupilla. 
Nel romanzo ho fatto diventare Marie-Belle un'attrice, e Aurelia una morbosa persecutrice capace di uccidere chiunque minacciasse di sottrarle la sua "bambina". Ho inventato i personaggi dell'autista e di Max Cherubino, il padre e il fratellastro restano invece più o meno quelli di cui mi parlava Aurelia.