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#CriticaLibera - Le profonde stanze dei giocatori di ruolo (parte 1)

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Giulia e Marco ci hanno preso gusto. Dopo aver dibattuto sul calcio inglese per risolvere i dubbi per avevano colto Giulia con la lettura di "Febbre a 90" di Nick Hornby (qui trovate la parte 1 e la parte 2), oggi è il turno di Marco di trovarsi in un terreno sconosciuto: quello dei giochi di ruolo. Ha letto "La stanza profonda" di Vanni Santoni e si è reso conto di non avere le giuste basi. E si è rivolto a chi ha una carriera decennale di gioco di ruolo.



Marco: Quando ho aperto “La stanza profonda” di Vanni Santoni, anzi quando l’ho ingigantito sul Kobo per rendere agevole la lettura, devo ammettere che si è aperto un mondo. Avevo affrontato libri in cui la trama si dipanava, o attorcigliava, prendendo spunto da un gioco. Gira gira, gli scacchi. “Le città invisibili” di Calvino e “Teoria delle ombre” di Paolo Maurensig. Anche il cinema ha proposto una partita epica alla scacchiera, con quel cavaliere che torna dalle crociate e gioca contro la morte ne “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman. Come chi vince? Secondo voi, la morte può perdere? Ma anche Albertone e Silvana Mangano fanno coppia ne “Lo scopone scientifico” oppure al BarLume ci sono la briscola e la carta più alta. Roba veramente artigianale. Da sfigati. In Vanni Santoni, toscano piacevolissimo, perché fa sempre piacere trovare frasi ed espressioni dell’intercalare o sapere che il protagonista transita perfino dalla mia Arezzo, in Vanni Santoni, dicevo, ho trovato spunti buoni per i Lannister e i Targaryen del “Trono di spade”. E chissà perché mi viene da pensare alla fiction di Sky quando sento parlare di giochi di ruolo. O al limite alla Terra di Mezzo. Credo che un aiuto dalla redazione sia opportuno. Una tipa da orgoglio nerd è Giulia Pretta e allora le chiedo: spiegami perché, appurato che nulla c’entrano i gironi a carte col Campari in palio, altrettanto estranei ai giochi di ruolo sono i Risiko o i Trivial Pursuit.


Giulia: Sei già impaziente e parti da metà pensando subito ai giochi da tavolo. Dobbiamo fare qualche passo indietro e sprofondare nell’infanzia per prendere coscienza di una grossa verità. Quando da bambini giocavamo a “facciamo finta che io sono un cavaliere e tu una principessa” abbiamo vestito i panni di un personaggio con determinate caratteristiche, magari anche molto
diverse dalle nostre e vissuto avventure in un luogo che non è quello reale. Quindi, tutti siamo già stati giocatori di ruolo e siamo predisposti a ridiventarlo. Detta così suona minacciosa. Ma restiamo al mondo dell’infanzia, che fa meno paura: se hai letto Topolino con una certa assiduità, sarai incappato in uno di quei racconti a bivi dove scegliere la strada da far prendere ai protagonisti: ogni bivio portava a linee narrative e finali diversi.

Marco: Ma… senti, io di Topolini ne ho ancora una collezione invidiabile e ne ho letti a sfinimento ma di storie così… boh…

Giulia: Se in Topolino non hai trovato questi racconti, attaccati a Netflix e guarda “Bandersnatch” per farti un’idea.

Marco: Sì, però, adesso allontaniamoci dall’età scolare e supponiamo di avere superato la doppia cifra, con un 3 o un 4 davanti. Mi verrebbe da alzare il sopracciglio con una certa sufficienza.

Giulia: Alla domanda “Cos’è che fai?” che è una di quelle che più spesso ti senti rivolgere durante una vita da giocatore, in tanti reagiscono come te. Ma vedrai che a fine dibattito smetterai di farlo.

Marco: Sì, ma te che rispondi?

Giulia: In principio…

Marco: Biblica.

Giulia: Impaziente e interrompi anche! In principio, dicevo, c’erano i librogame. Una buona percentuale di giocatori di ruolo che conosco ha iniziato con loro. Per citarne uno, “Tunnel e Troll” aveva ambientazione fantasy. In pratica si trattava di avventure a bivi in cui potevi giocare senza bisogno di un master.

Marco: Di un che?

Giulia: Un master.

Marco: Oh! Finalmente è chiaro cosa sono i giochi di ruolo… fate sesso sadomaso.

Giulia: Ma smettila! E sulla questione del master prenditi un appunto mentale perché ci ritorneremo. Per chiudere sui librogame, sebbene più recenti del gioco di ruolo per eccellenza, Dungeons&Dragons detto D&D nato nel 1974, sono stati loro il punto di contatto per i futuri giocatori di ruolo arrabbiati. Anche Santoni ne parla: “lungi dal placare la tua voglia di gioco di ruolo, la alimentano”.

Marco: Va be’, peccato.

Giulia: Peccato cosa?

Marco: No, nulla, il master, quella roba là… quindi cambiando discorso che è meglio: quando e dove nasce il gioco di ruolo?

Giulia: Questione lunga e complessa. Se ti dicessi che il primo è la Commedia dell’Arte come la prenderesti?

Marco: La prenderei bene, visto che nel libro di Vanni a un certo punto c’è un attraversamento di secoli al limite della vertigine, come in “Stargate”, e si passa dalle versioni potenziate degli scacchi, vedi che da qualche parte sbucano fuori, e si arriva a un qualcosa di sanscrito di cui non ricordo il nome e al Senet egiziano, un giochetto simpatico per capire il destino dell’anima nell’aldilà. Roba da infanzia del mondo, altro che Arlecchino.

Giulia: Non facciamoci prendere dall’entusiasmo e restiamo a questa forma teatrale. In fondo, gli attori dovevano recitare provvisti solo di un canovaccio, di una bozza di trama e poi sbizzarrirsi in avventure e colpi di scena. Proprio quello che succede a tutti i giocatori a inizio della loro campagna. Ma tralasciando tali suggestioni, sappi che il D&D nasce dai soldatini. I creatori Gary Gygax e Dave Arneson hanno immaginato come sarebbe stato giocare con i soldatini, ciascuno con determinate caratteristiche, armature, tipi di attacco. Questo, due etti di fantasy, gli orientamenti dati da Elric di Melniboné e D&D è nato. Capostipite di una lunga genia e svariate versioni e aggiornamenti di gioco che continuano tutt’ora.

Marco: Elric di Melniboné, più che al personaggio di un romanzo fantasy, mi fa pensare a un maestro templare che ha fissato la Regola in una preziosa pergamena conservata negli archivi vaticani.

Giulia: Anche se si recita a soggetto, il sistema di regole nei giochi di ruolo è importante: si esemplifica nell’utilizzo dello strumento che determina gli snodi narrativi: il dado. Per esempio D&D si basa sul D20, dado da 20. Non è che possiamo sempre stare a dire dado quando c’è un troll da uccidere! I preziosi secondi possono determinare la tua morte. Call of Cthulhu, basato sull’universo lovecraftiano, sul D100, Vampire e Demon sul D10. Le azioni che un giocatore vuole intraprendere durante il gioco sono portate al successo o al fallimento in base al tiro di dado riuscito o meno.

Marco: Sì, è una cosa che ho letto nel libro. Solo che a me questi dadi a 20 facce, a 10… mi hanno ricordato più le figure geometriche del “De divina proportione”, di uno nato non lontano da casa mia. E neanche da casa di Santoni che è dal Valdarno. Parlo di Luca Pacioli, matematico di Borgo San Sepolcro, la città non a caso di Piero della Francesca. Pacioli scrisse questo libro sull’armonia delle forme e delle proporzioni, su queste figure geometriche perfette in forma di solidi. Una roba quasi pitagorica. E sai chi glielo illustrò? Leonardo da Vinci. La summa del Rinascimento.

Giulia: I tuoi riferimenti sono di un colto e di un elevato che mi mandano in brodo di giuggiole. Io a casa ho un D20 da 4 chili e in metallo, ma senza illustrazioni famose.

Marco: Non è un dado è un’arma impropria.

Giulia: Per chi non sta attento alle spiegazioni. Devo smontare la tua immaginazione: sulle facce dei dadi ci sono dei numeri. In alcuni casi e alcuni giochi il 10 è rappresentato da un teschio.

Marco: In ogni caso i miei riferimenti servono a sdoganarvi come prodotto di rango e non farvi inabissare nel maelstrom della sottocultura. Senti come sono magnanimo.

Giulia: E io ti ringrazio, ma aggiungo, con orgoglio, che non ce n’è bisogno. E aggiungo che non si usano solo i dadi. Alcuni giochi, come Sine Requie, zombie post-apocalittico, funzionano con i tarocchi. Altri invece sono più narrativi, ovvero l’interpretazione può anche sopperire al tiro di dado.

Marco: E l’ambientazione?

Giulia: Non si possono colmare decenni di ignoranza in una sola volta. Medita, studia e tieni a bada la curiosità.
Marco Caneschi e Giulia Pretta
continua il prossimo sabato...