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Annie Vivanti e la parabola dei vinti e dei vincitori

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Vae victis!
di Annie Vivanti
Edizioni Croce, 2018

pp. 248 
€ 16,00  (cartaceo)


Ancora una volta la casa editrice di Fabio Croce ha il merito di aver riportato in vita un romanzo di una scrittrice dimenticata, Annie Vivanti,  brillante penna di inizio Novecento. Anna Emilia Vivanti, conosciuta come Annie, nacque a Londra nel 1866 e morì a Torino nel 1942; era figlia di un patriota italiano e una scrittrice tedesca, entrambi ebrei; come per altre donne del suo tempo, quali ad esempio Maria Messina con Verga, il rapporto che lega la giovane Annie ad un grande scrittore del suo tempo, Giosuè Carducci, fu un’arma a doppio taglio. Sul legame nacquero molte illazioni e questo finì per metterla in ombra. 

Dopo il suo esordio, la Vivanti scriverà racconti in lingua inglese, vivendo per quasi venti anni tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Durante la prima guerra mondiale si impegnò a difendere la causa italiana sui giornali inglesi; trasferitasi a Torino si avvicinò a Mussolini e alla sua ideologia. Nel ’41 il regime la confina ad Arezzo, ed è grazie a Mussolini che riesce a tornare a Torino, dove nell’autunno dello stesso anno si era spenta la figlia. Questo grave lutto ne compromette la già provata salute, e il 20 febbraio del 1942 muore a Torino.

Vae Victis! (Guai ai vinti),  è tratto dallo spettacolo teatrale nel 1915, L’invasore, e viene pubblicato per la prima volta nel 1917. Le protagoniste sono tre donne, Chérie, Mirella e Luisa, di tre età diverse e legate da una parentela. Luisa è la madre della piccola Mirella, e la giovane Chérie, non ancora maggiorenne, è la cognata, sorella del marito di Luisa. La famiglia sta trascorrendo le vacanze al mare quando il 4 agosto del 1914 la Germania dichiara guerra al Belgio.

In guerra entrano diversi mondi, che si intrecciano e ribaltano i piani dell’esistenza: la famiglia borghese che farà i conti con i servitori, una donna tedesca e un uomo del posto, che apriranno le porte ai profanatori, l’arrivo tremendo degli invasori tedeschi. Dopo l’annuncio del conflitto, le ragazze lasciano l’amata spiaggia di Westende per far ritorno a Liegi, dove tutto avverrà troppo in fretta. La partenza del padre e marito di Mirella per il fronte, insieme al fratello, renderà le donne deboli e vulnerabili, fin dentro la loro casa, visitata dai soldati tedeschi, che violeranno anche i loro corpi. 

Nel bel saggio introduttivo, la studiosa Maria Antonietta Garullo, spiega come alcuni elementi del romanzo siano già tratti distintivi dell’autrice, come l’internazionalità, che si evince anche dal plurilinguismo presente tra le pagine: francese, tedesco e fiammingo si alternano; ma racconta anche dell’intima amicizia che legò la Vivanti al maestro Carducci, e della fortuna dell’opera, che fu grandissima negli anni della pubblicazione, fino a diventare, oggi, a parte qualche riferimento in chiave cinematografica negli anni Cinquanta, una tra le meno conosciute e apprezzate dell’autrice.

I temi sono diversi, e furono utilizzati in chiave propagandistica, in particolare il tema della partenza al fronte degli uomini, che rende le donne, da una parte più emancipate, dall’altra parte vittime delle violenze e degli stupri. La rivalsa dei deboli sui borghesi; la sconfitta degli ideali. Il capovolgimento della dimensione eroica, che fa sì che l’uomo, pur coraggioso di fronte alla morte, sia impreparato di fronte alla vita. La crudezza dei conflitti, che rende tutti vittime. I vinti non sono coloro che subiscono le avverse circostanze, ma coloro che non riescono a reagire di fronte ad esse.

I frutti della violenza cresceranno in una doppia direzione, approfondita nella seconda parte del romanzo, in cui si vedranno le conseguenze delle azioni subite dalle tre donne, che sono ormai vittime e vengono trattate come tali e accolte in Inghilterra. In un continuo alternarsi di orrore e speranza, di perdizione e redenzione, la vicenda porterà una delle due donne a liberarsi del frutto dell’orrore e l’altra ad accoglierlo come un dono. 

Sarà proprio l’accettazione del martirio a redimere da ogni colpa e da ogni sofferenza le tre protagoniste, in un finale che si avvicina molto alla visione religiosa della vita e in cui anche il linguaggio si innalza e diventa trasfigurato, così da rendere gli oggetti segni, la tenda rossa della camera in cui si era consumata la violenza, un simbolo del martirio, l’innocenza di una fanciullezza spezzata, la via verso il perdono e la salvezza. Il messaggio finale è di speranza, perché anche dall’odio e dal dolore può nascere, in chi accoglie la propria sorte, la consapevolezza che la vita è mutevole, conduce verso inaspettati sentieri, e ci riporta, infine, verso casa.

Samantha Viva