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#IlSalotto - Sara Rattaro e il suo nuovo libro

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Uomini che restano
di Sara Rattaro
Sperling & Kupfer, 2018

pp. 250

€ 16,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Quali sono gli uomini che restano? Perché e come decidono di restare? Queste le domande che possiamo farci dopo aver letto l’ultima pubblicazione di Sara Rattaro “Uomini che restano”, appunto.
Come in molti libri precedenti, le protagoniste sono donne: Fosca e Valeria si incontrano per caso sul tetto di un edificio. Entrambe, per motivi e in modi diversi, sono state lasciate e si trovano a dover rivedere le proprie scelte di vita, ma soprattutto i sentimenti verso i compagni che hanno deciso di percorrere strade diverse.
A Genova si svolge la maggior parte delle scene, e la città diventa una terza protagonista come una voce fuori campo che conduce il lettore ad ulteriori riflessioni oltre a quelle che suggeriscono i personaggi della storia.
Fosca e Valeria vivono in un momento nel quale tutto sembra precipitare: amore, famiglia, salute, e si trovano a fare i conti con se stesse e soprattutto con la propria capacità di reagire. Diverse sono le modalità  e gli approcci, ma entrambe sono donne forti che, alla fine, riescono a guardare con serenità oltre il presente, anche perché «nella vita non servono risposte».
I temi che si intrecciano sono numerosi: si parla d’amore, di malattia, di omosessualità,di genitorialità, di rapporti con gli altri e di ideali. Sara Rattaro, con grande precisione, ci fa sentire i personaggi, ce li fa vedere, quasi come se fossimo lì con loro, nelle varie scene narrate. Le storie sono raccontate in prima persona e questo permette  di entrare nella pelle di Fosca e Valeria e degli uomini che le circondano, anche grazie alle domande che continuamente i protagonisti rivolgono al proprio io.
Un tema che indirettamente emerge nel libro è quello della incomunicabilità, dei non detti che nel tempo può davvero portare a una voragine nei rapporti, non solo di coppia.
E gli uomini? Non ne escono molto vincenti. Tuttavia “imparano” con il tempo e l’esperienza a prendere per mano la loro vita e le loro compagne.
Lo stile di Sara Rattaro è in questo libro ancor più incisivo rispetto ai precedenti. Le frasi sono essenziali, taglienti, dirette, di una precisione chirurgica, le metafore suggeriscono l’immagine in modo limpido, inequivocabile.
La conclusione è la perfetta sintesi dei contenuti «Non esiste una sola verità, ne esistono tante versioni. Dipende da cosa sappiamo, da quello che riusciamo a vedere e da quello che abbiamo voglia di ascoltare».

Abbiamo incontrato Sara che è diventata anche una amica e le abbiamo posto alcune domande.

Fosca e Valeria le protagoniste di questo libro. A  parte il fatto che tu sei donna, perché scegli sempre donne come voci principali dei tuoi romanzi?
“Sicuramente il mondo femminile è quello che mi offre tanti spunti per raccontare il nostro mondo. In Non volare via e Niente come te però ho dato voce a due meravigliosi padri”.

In Uomini che restano il racconto è in prima persona. Ci spieghi il perché di questa scelta stilistica?
“È la mia voce preferita, quella del cuore. Sono un’autrice che da grande risalto alla trama e ai sentimenti. La prima persona mi permette di guardare negli occhi il lettore, uno a uno, sempre”.

Un’altra curiosità stilistica: la voce fuori campo che caratterizza i tuoi libri, la ritroviamo ancora una volta. Che valore aggiunto, a tuo avviso, dà questa voce?
“Non so se dà un valore aggiunto, ma permette a me di riprendermi il mio ruolo di narratrice, di padrona della storia. Sono io e vi dico cosa penso”.

Genova fa da sfondo ma anche da voce della coscienza. Che ruolo ha Genova nella tua scrittura?
“È la grande novità di questo romanzo. Finalmente c’è la mia Genova. Ho atteso otto romanzi ma a lei va bene così, aveva bisogno di tempo, non ama essere buttata sul palco senza essere preparata e neanche che si parli troppo di lei”.

Tra i vari temi trattati vi è anche quello del rapporto con i genitori. Tu che figlia sei stata e sei tuttora?
“Nei limiti di questa definizione mi definirei una figlia modello, nel senso che ho dato vita a contestazioni molto “normali” per le varie età che ho attraversato. Dall’altra parte, sono sempre stata molto indipendente e posso dire di essermi conquistata tutto da sola”.

Se dovessi pensare ad un colonna sonora da accompagnare alla lettura di questo ultimo libro, quali autori/canzoni ti senti di suggerire?
Combattente di Fiorella Mannoia. È senza dubbio la canzone più adatta”.

I temi trattati sono molteplici, dall’abbandono alla malattia, dall’amore alla sofferenza, alla fine però si avverte una gran positività. Tu sei una persona da bicchiere mezzo pieno?
“Direi di sì. Credo sia carattere. Non sono una persona che si abbatte troppo o si strugge all’infinito. Ho grande rispetto per il dolore, ma non amo la sua teatralità se non dal punto di vista narrativo. Lì, è tutto concesso”.

Una parola chiave in questo romanzo è progettualità. Cosa è per te e quali sono i tuoi progetti futuri?
“Non potrei vivere senza fare progetti. Innanzitutto, arriverà un nuovo romanzo entro la fine dell’anno e poi c’è la mia nuova gioia che è la narrativa per ragazzi che è stata un’esperienza straordinaria e che spero continui. A breve partirà un corso di scrittura a Milano che porterà i partecipanti a pubblicare un proprio racconto con Morellini editore che è stato il mio primo editore e continua l’esperienza come docente di scrittura presso l’università di Genova”.

Come ti definiresti come madre? Cosa leggi con il tuo bambino?
“Spero di essere una mamma affettuosa e gioiosa. Leggo tante piccole storie adatte alla sua età e devo dire che sembra interessato!”

In questo periodo ci sono tante uscite, sia di autori famosi che di opere prime, a parte il tuo libro ci consigli un paio di titoli, spiegandoci il perché sarebbe interessante leggerli?
“Vi consiglio La cercatrice di corallo di Vanessa Roggeri, perché lei è molto brava e le sue non sono mai storie banali o già lette. Poi, Quello che mi manca per essere intera di Ilaria Scarioni, che è una esordiente interessante con una storia potente”.

Intervista a cura di Elena Sassi