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"Occhi chiusi spalle al mare": un Cavallo di Troia mai accettato

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Occhi chiusi spalle al mare
di Donato Cutolo
Edizioni Spartaco, 2017


142 pp.
€ 13,00




Uno dei tratti fondamentali di un buon romanzo è il tempo: è essenziale saper dosare il numero di pagine da dedicare a descrizioni, dialoghi e narrazione; così come è essenziale saper riservare ai temi del libro – saggiamente sciolti all'interno dei tre elementi precedenti e mai da riportare in maniera diretta  – lo spazio necessario per esplorarli con la giusta intensità.
Ecco, Occhi chiusi spalle al mare soffre di un gravissimo problema di tempistiche. In 142 pagine si vogliono raccontare troppe storie e affrontare un tema, quello dell'immigrazione e della speculazione che vi gira intorno, molto complesso e non facilmente risolvibile all'interno di una trama, non per come viene trattata da Cutolo.
Ma andiamo con ordine. Partiamo dai personaggi, elemento essenziale di un romanzo e sulla cui immedesimazione/contrapposizione si fonda buona parte dell'attrattiva di un testo. Questi sono, per usare un'immagine, il Cavallo di Troia dell'autore: se l'autore è bravo e sa ingannare il lettore con dei personaggi credibili, approfonditi, realistici, allora noi lettori gli daremo fiducia e gli consentiremo l'accesso nelle nostre mura (per continuare l'immagine, ipotizzate che le mura siano la nostra propensione a non sospendere l'incredulità). A quel punto potrà saccheggiare la nostra città emotiva, facendoci a pezzi come meglio preferisce, se lo desidera. Ma quando i personaggi risultano poco realistici, piatti, senza un vero vissuto alle spalle, noi lettori non siamo disposti ad aprire le nostre porte, a lasciarci coinvolgere dalle loro motivazioni. La nostra incredulità rimane integra e, invece di essere con loro a soffrire e godere, siamo nella stanza a leggere un libro.
I personaggi di Cutolo, il protagonista Piero in primis ma anche Jasmine e Youssef in secundis, così come il padre/ingegner Mauro Righieri e la dolce madre Viola in terzis, non risultano persone ma, appunto, personaggi. Restano ancorati sempre al loro ruolo all'interno della storia: Piero il protagonista, Mauro Righieri l'antagonista, Viola l'aiutante (assente), Jasmine e Youssef l'obiettivo da perseguire. E a salvarli da questa loro bidimensionalità che mai per un istante diventa tridimensionalità non arrivano neanche i tentativi di approfondimento del loro passato; anzi i cambi di prospettiva, che passa da quella di Piero a un narratore onnisciente temporaneo, allontanano ancor di più, rendendo estranee le loro storie: non si empatizza con la malattia di Viola, non si arriva a odiare Mauro l'arrivista, e persino i destini dei due clandestini ci appaiono indifferenti. Il Cavallo di Troia di Cutolo rimane sulla spiaggia, un'offerta mai accettata.
Stessa cosa accade per la narrazione. Gli eventi proseguono rapidi, frenetici, e mai si ha il tempo di soffermarsi sui perché. E questa rapidità non è da intendere come capacità di sintesi, che è ben altra cosa: in 142 pagine scopriamo il passato della famiglia Righieri, abbiamo un accenno della vita attuale di Piero (ma che fine fanno i due compagni di scuola Mauro e Chiara, mere comparse senza un vero scopo nel libro?), veniamo a conoscenza (tramite articoli di giornale) delle storie di diversi migranti e addirittura delle violenze subite da Jasmine, raccontate in due righe e senza attrattiva alcuna. Il libro si conclude e noi ci chiediamo cosa abbiamo letto. Di che si parlava? Qual era lo scopo di questo romanzo?
In sintesi, per riprendere un'immagine usata in una precedente recensione, leggere questo testo è stato come tentare di conoscere i luoghi più curiosi e nascosti di Roma sorvolando la città con un aereo turistico. Niente resta di questa storia, né di un tema che personalmente tengo molto a cuore. Di tutto questo salverei solo la colonna sonora, scaricabile dal sito della Edizioni Spartaco e in grado, quella sì, di restare dentro e creare immagini forti e durature.

David Valentini