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Disadorna: la profezia errata nella raccolta di Dario Franceschini

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Disadorna e altre storie
di Dario Franceschini
La nave di Teseo, 2017

pp. 91 
€ 15,00



"Disadorna" poteva essere, per la raccolta di racconti di Dario Franceschini, un titolo presagio. La copertina sicuramente non incoraggiava la lettura: l'erba rada e riarsa, la nebbia fitta e impenetrabile che solo chi abita la bassa Padana può riconoscere, un uomo di spalle che si allontana mesto, spalle incurvate e capo chino. Lo stesso ruolo pubblico dell'autore, attuale Ministro dei beni culturali e del turismo, non aumentava l'attrattiva del volume (in questa direzione, a sottolineare i pregi del libro nonostante Franceschini, si sono orientate molte recensioni all'opera uscite sulle principali testate nazionali). Di tutto ciò, invece, noi non ci occuperemo. Libereremo Disadorna e altre storie dal preconcetto e lo leggeremo come se ci fosse stato presentato in forma di manoscritto anonimo, privo di titolo e impostazione grafica. Perché senza titolo sono le storie che compongono la raccolta, e schiudono panorami che sono liberi da nebbie, a tratti anzi intensamente luminosi. 

Nei fulminei scorci narrativi che si susseguono senza soluzione di continuità - giusto il respiro di una pagina bianca -, il detto pesa quanto il non detto: è ciò che non è rappresentato a dare spessore alla storia, proiettando il lettore in avanti, obbligandolo a immaginare un seguito di cui non sarà mai certo. Nel decentramento della prospettiva, nel tentativo di cogliere una realtà che è sempre ai margini del campo visivo, si può riconoscere - anche se con una diversa levatura - il taglio acuto e poetico dei Sillabari di Goffredo Parise, ma anche il tocco di surreale che è proprio di alcuni dei racconti di Buzzati. Non sono testi leggeri, quelli di Franceschini: rendono omaggio, consapevolmente, a una precisa tradizione di narrativa breve, a cui si accostano senza arroganza. Fin dal primo brano, in cui il colombiano Paco Tovar arriva dalle terre del realismo magico per cercare ispirazione e storie al Delta del Po, si coglie la cifra straniante della raccolta. Che è semplice, a tratti forse eccessivamente sentimentale, ma non disadorna. Sono anzi incisivi alcuni dei ritratti che propone: il grande Andrea dagli inspiegabili svenimenti, i figli che si incontrano per la prima volta davanti al suo cadavere e inseguono l'uno negli occhi dell'altro la spiegazione a un misterioso sorriso; Udilio Cesario che ricerca ogni giorno le distese sconfinate delle pianure americane e un giorno viene drammaticamente accontentato; Salvatore Cossu, contadino di Usini, che per la prima volta vede il mare. 
La maggior parte dei racconti si sofferma sulle età più fragili e ricche dell'esistenza, l'infanzia e soprattutto la vecchiaia. È in alcune istantanee di anziani che l'opera si impenna, scivolando con sicurezza dalla tenerezza all'ironia. Si incontrano così figure buffe e memorabili: il Conte Armistizio Vitafinzi, che «il mattino del suo novantottesimo anno [...] si svegliò con l'assoluta certezza che presto avrebbe avuto un figlio. [...] Come e con chi farlo, era solo un problema di organizzazione»; o ancora il vecchio Malagù col suo rituale scollacciato, o il Presidente Rufo degli Esposti, che muore dopo tre ore di ininterrotto discorso di pensionamento, avvolto da una ragnatela intessuta nel frattempo da un animaletto alacre. 

Non è forse un'opera straordinaria, quella di Franceschini: del resto, cantare l'elemento magico e vitale dell'ordinarietà è il suo obiettivo primario. Si percepisce, tra le righe, un gusto sincero per il narrare, che fluisce con tonalità alterne ma uguale trasporto, a dipingere un affresco composito che sarebbe riduttivo relegare a uno specifico contesto spazio-temporale. C’è ben altro infatti, nell’opera, rispetto alla Pianura Padana a cui le impressioni iniziali sembrerebbero rimandare. E se non si esce dalla lettura segnati indelebilmente, se non se ne traggono messaggi profondi e duraturi, persiste tuttavia una certa impressione di onestà e trasparenza d'intenti che non è dote da poco nel panorama contemporaneo, che spesso punta troppo in alto e finisce per cadere rovinosamente.


Carolina Pernigo