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"La vita sconosciuta" di Crocifisso Dentello

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La vita sconosciuta
di Crocifisso Dentello
La Nave di Teseo, 2017

Pp. 120
16 €

La nostra parabola si poteva spiegare con la celebre affermazione di Čechov , quella che dice all'incirca che se una pistola è appesa al muro al primo atto, nel terzo finirà per forza con lo sparare.
Un libro doloroso, un libro che fa male all'anima e che scava, anzi sventra nei nostri plurimi ventri molli. Ecco La vita sconosciuta di Crofisso Dentello, pubblicato da La Nave di Teseo, un volume scomodo da tenere sopra il comodino come scomodo è celare un segreto (od anche più di un segreto) e nel proprio cuore e, soprattutto, al cuore degli altri. Crofisso Dentello, giovane scrittore brianzolo, costruisce una vicenda affilata, per certi versi squallida come lo può essere solo la vita vera, ponendo al centro di tutto un protagonista, Ernesto, un uomo di mezz'età che, attanagliato per l'appunto da plurimi segreti, arranca nella quotidianità. Come soffocato tra il lavoro venuto a mancare, la moglie Agata, percepita ormai soltanto come icona del focolare domestico e le nottate passate nella Milano più nascosta e degradata, alla ricerca di sesso mercenario a basso prezzo. Questo romanzo non è il romanzo degli scheletri nell'armadio o almeno non solo: questa è la storia dello squallore della vita, del lento macerarsi dei corpi, del progressivo sbiadirsi delle ideologie e del logorio del tempo. Per questo fa tanto male.
Dentello utilizza un linguaggio semplice ed immediato, non celando dettagli, termini o situazioni anche molto crude al lettore, in special modo per quanto concerne il sesso mercenario con giovani che Ernesto, febbrilmente, cerca nelle sue degradanti notti milanesi. La vicenda si apre dolorosamente un poco, quando, una notte Ernesto, appena rientrato da queste fughe nella Milano proibita, trova la moglie, lasciata qualche ora prima sul divano davanti al televisore, senza vita: un corpo floscio, "come una bambola" che getta l'uomo in un vortice, ancora più acuto, di disperazione.

La vita sconosciuta è un gorgo che sprofonda sempre più, in un moto verso il baratro in cui è completamente avviluppato. Un devasto che è soprattutto psichico ma anche fisico, in cui vediamo il protagonista colto, senza alcun tipo di ritrosia, per come, esattamente, si presenta: un uomo flaccido, sovrappeso, senza alcun tipo di desiderio o di spinta, che non sia, ancora una volta, quella verso il basso, quella verso una depravazione, verso quei pochi minuti di piacere intenso e proibito, seguito dal sempiterno senso di rimpianto, di rimorso e di constatazione di tutta la propria abnegazione. Egli infatti, come cantava Giovanni Lindo Lindo Ferretti, "non studia, non lavora, non va al cinema e non fa sport". Consuma le sue giornate, specie dopo il lutto, senza alcun tipo di orario, come spiaggiato, anzi arenato sul proprio divano, mangiando male e come capita e annientandosi davanti ad ore ed ore di televisione demenziale.

Dentello, lo abbiamo detto prima, non nasconde nulla. In questo senso la scrittura può apparire, in alcune occasioni, eccessivamente piatta, soprattutto quando reitera la descrizione dell'abbruttimento fisico e morale di Ernesto. Più smalto e maggiore chiarezza espressiva la ha quando, in momenti molto densi del romanzo, si ripercorre a ritroso la parabola biografica del protagonista, il suo passato da operaio in una fabbrica di vernici, i primi moti politici e la conoscenza con Agata.

L'educazione sentimentale e l'educazione politica in Ernesto viaggiano di pari di passo, in un moto proprio che non lascia soluzione di continuità, proprio come una vernice che copre tutto, anche le macchie più pervicaci, rendendo omogenea la vita, la politica, la lotta armata, i sentimenti e i moti dell'animo. La Milano degli anni Settanta, raccontata per sprazzi da Dentello (evidentemente molto interessato all'argomento), è viva e palpante e lascia il lettore come agganciato a queste pagine.

Questo binomio si spezza letteralmente nel sangue. Tramontata la stagione della lotta e della contestazione politica, l'orizzonte per Ernesto diventa soltanto quello famigliare. E lì, da una notte e da un mattino il più fatale possibile, che la sua vita prende la china che, la scomparsa della moglie, non farà altro che spingere alla sua micidiale precipitazione. Agata allora, da compagna di lotta, diventa, soltanto, la compagna di vita, di una vita sempre più squallida, sempre più piccola, sempre più abietta.
Nel tempo della sua maturità era come se Agata non solo avesse rimosso la sua giovinezza di slogan incendiari e progetti di palingenesi ma come se quella vita non ci fosse mai stata, guardata a distanza tutt'al più come una testimone accidentale. Una parte lontana della sua vita, come un pianeta che gira per conto suo in qualche punto remoto dell'universo. Sopravvivenza soltanto, depurata tutta in una contesa coniugale, l'energia conflittuale di quel periodo, la capacità dialettica di sferzare l'interlocutore, la temerarietà di una mano che si leva anche per aggredire a freddo. (...) Ora la rivoluzione la faceva dentro casa, tra i fornelli da sgrassare e i panni da stendere. Il mondo che voleva cambiare si era ridotto alle stanze che attraversava con le sue pantofole sdrucite.
Così la lotta politica viene sostituita alla lotta matrimoniale, la dialettica diventa sbraitare a cena davanti al televisore e la tensione di cambiare il mondo in un mondo migliore si riduce al piccolo, e squallido, universo di casa. Non soltanto la fine delle illusioni ma anche la fine della vita sociale, con tutte le sfaccettare che questo bellissimo ha, in questo romanzo di Dentello. Un libro doloroso, un libro non per tutti: di sicuro non per chi non ha mai fatto i conti con quello strano individuo che, ogni mattina, ci guarda con aria stupita dallo specchio del nostro bagno. Una specie di "Vicenzina e la fabbrica" al tempo in cui le fabbriche chiudono, le Vincenzine hanno perso il loro animo romantico e la vita dal forte bianco&nero è scivolata in uno slavatissimo technicolor. 


Mattia Nesto