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"Il faro in una stanza", il primo festival italiano dedicato a Virginia Woolf: intervista a Raffaella Musicò

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Dedicare un festival a Virginia Woolf, radunare i lettori per raccontare insieme l'incredibile sensibilità di una delle autrici più grandi del Novecento: perché nessuno ci aveva mai pensato? Raffaella Musicò, libraia di Virginia e Co. a Monza, ha voluto rimediare; con lei le studiose Elisa Bolchi e Liliana Rampello, che hanno pubblicato numerosi saggi e studi su Virginia Woolf. Tre donne accomunate dalla passione per una scrittrice che ha creato infiniti mondi con la sola forza delle parole. Insieme hanno dato vita al festival Il faro in una stanza, che si svolgerà a Monza dal 25 al 27 novembre con l'obiettivo di portare la letteratura di Virginia ovunque, soprattutto nei cuori di chi non la conosce ancora. 

Raffaella Musicò nella sua libreria "Virginia e Co."
Ci sono infinite ragioni per leggere e amare la Woolf. Da tutte le sue opere emerge il tentativo di catturare l’essenza della vita, quel qualcosa che sfugge alle concettualizzazioni e che si raggiunge mediante i sensi; ciò che nella scrittura si riflette in moments of being (momenti dell’essere). La sua scrittura è pura sensibilità, percorsa com’è dall’inquietudine e dal dubbio (“Ho il potere di arrivare a dire la realtà vera?”). È proprio questa tensione, questa continua domanda che molti hanno interpretato come chiusura nei confronti del mondo, che rappresenta invece la più grande forza della scrittura di Virginia. Una forma di ricerca e di vitalità inesauribile. Una gioia che acquista ancora più senso se viene condivisa. Abbiamo rivolto a Raffaella Musicò alcune domande sul festival e sulla sua libreria che porta uno dei nomi più belli che si possano immaginare, con quella "e" che suggerisce condivisione, dialogo, ponti di idee. Ci ha parlato di scrittura, passione, identità femminile, democrazia e naturalmente di Virginia Woolf come faro della sua piccola stanza piena di tesori. Un assaggio di tutto quello che si respirerà per le vie di Monza nell'ultimo weekend di Novembre.

“Virginia e Co.”, il nome della tua libreria a Monza, ma anche un po’ una missione, raccontare Virginia Woolf insieme agli altri: studiosi, lettori, appassionati. Tra le tante ragioni, qual è la più importante per fare conoscere e amare questa autrice?
Su tutte direi che è la precisa consapevolezza delle sue difficoltà nel relazionarsi con il mondo e la forza che ha messo nella scrittura per affrontarle, la sua profonda onestà. Una fonte preziosa cui abbeverarsi per trovare risposte e più spesso per farsi domande – un’attitudine che pare un po’ spenta, ultimamente.

Dare voce a una sensibilità come quella di Virginia Woolf è una sfida, ma quando succede è pura magia. Da quali elementi e incontri è nata l’organizzazione del festival?
Non avevo ancora aperto ufficialmente la libreria (non c'era ancora stata l’inaugurazione) che ricevo un messaggio che comincia con ‘Grazie! Per aver aperto una libreria dedicata a Virginia Woolf, nessuno lo ha mai fatto, in Italia!’. Quel messaggio era di Elisa Bolchi, che mi è venuta a trovare, mi ha spiegato il suo lavoro di ricercatrice proprio su Woolf e mi ha trasmesso tutta la sua emozione nel trovarsi di fronte a così tanti libri di e su questa scrittrice in un posto che non fosse la biblioteca dell’università. Poi è stata la volta di un bizzarro scambio di email: contatto Racconti edizioni per farmi mandare i loro libri, loro mi rispondono subito di sì, tutti contenti (devo essere stata la prima libreria a mandar loro questa richiesta!), e dopo mezzora mi scrivono di nuovo. ‘Raffaella scusaci, abbiamo capito solo adesso chi sei, sei la libraia di quella libreria dedicata a Virginia Woolf. Allora ti farà piacere sapere che in autunno ne pubblicheremo tutti i racconti, con la cura di Liliana Rampello. Ti interessa la cosa, crediamo!’ A questo punto ho pensato di essere di fronte a un chiaro segnale del destino e ho pensato: invece di una semplice presentazione, perché non organizzare un Festival di tre giorni? Elisa e Liliana ne sono state entusiaste... ed eccoci qua. 



Da uno spettacolo teatrale (Freshwater) a momenti conviviali, da incontri sulla Virginia privata a passeggiate tra i suoi romanzi: ci racconti più nel dettaglio come avete concepito il programma del Festival?
Quello che volevamo era strutturare un percorso che potesse incuriosire soprattutto chi non conosce Virginia Woolf: proporre degli "assaggi" in maniera colloquiale, o, come nel caso di Freshwater, con un taglio artistico. Insomma, usare dei linguaggi alternativi alla modalità del convegno vero e proprio per cercare di arrivare a quante più persone possibile. Ma il calibro delle relatrici rende questo Festival fruibile anche dai più esperti studiosi del lavoro di questa scrittrice, proprio perché saranno, per così dire, "a portata di mano", disponibili a rispondere a domande e a cogliere ispirazioni e stimoli per spingersi oltre.

“Il faro in una stanza” è un titolo molto potente. Se dovessi scegliere l’opera di Virginia Woolf che più ti ha guidata e ispirata nel tuo percorso quale indicheresti? 
L’opera di Woolf è quanto di più grande io abbia incontrato nella mia vita di lettrice: ovunque ci sono bellezza di stile, forza di contenuti, ribaltamenti di sguardo e di prospettiva sul mondo, tenerezza umana, potenza del messaggio. Ma se devo proprio sceglierne uno, di libro, che mi abbia accompagnato nella costruzione della mia identità di donna, di certo è Una stanza tutta per sé, lucido e lirico al tempo stesso, pratico, diretto, deciso e bellissimo. Ogni donna dovrebbe leggerlo, e magari tenerselo sul comodino, per aprirlo a caso, ogni tanto, e trovarci il mondo.



Virginia Woolf tra i suoi contemporanei, diceva un libro a cura di Liliana Rampello. Parliamo anche dei nostri contemporanei: in cosa consiste la vera attualità di Virginia Woolf? Cosa può  ancora insegnarci sul nostro tempo?
La sua grandezza, il suo insegnamento forse più attuale è, secondo me, la dedizione a ciò in cui credeva. Con tutte le sue forze ha lavorato con la scrittura per mostrare una via alternativa a quella che la società che le stava intorno imponeva soprattutto alle donne. Penso a Orlando, ad esempio, o ad alcuni personaggi de Le onde: quanta coscienza di sé e dell’importanza del proprio posto nel mondo, come donna in primis! Quanto rigore e quanta precisione – e quanta fatica! – ha messo nella scelta delle parole per rendere autentici i suoi personaggi. Di questi tempi la fatica è un po’ fuori moda, mi pare, e ascoltando le persone ci si accorge che c’è anche rassegnazione, disfattismo, difficoltà a pensarsi come parte attiva di questa società. Ecco, lei può insegnarci come farlo, come essere pienamente motori di cambiamento, di evoluzione.

La libreria "Virginia e Co." a Monza
“Il faro in una stanza” è anche un momento per fare insieme il punto sul ruolo delle biblioteche e delle librerie come luoghi di democrazia. Ci racconti questi primi sei mesi della tua libreria? Le idee, l’entusiasmo, le paure di chi, come te cerca di cambiare le cose. 

Parto dalle paure, con la speranza di lasciarmele dietro una volta per tutte: la più grande? Che non sarebbe entrato nessuno. Che a nessuno sarebbe piaciuta la mia scelta di libri. Che avrei interessato una minuscola minoranza che non mi avrebbe permesso di sopravvivere. Che sarei risultata ‘straniera’ in una città che non conoscevo e non mi conosceva. Ma di entusiasmo ne avevo e ne ho a quintali. Non ho mai dubitato neanche per un secondo che Virginia Woolf fosse la stella giusta da cui farsi guidare. E allora, mi sono detta: devo osare, come ha fatto lei. La mia stanza ce l’ho (la mia libreria è di soli 20 metri quadrati!) il mio faro è lei. Quello che voglio è avvicinare la bella letteratura alle persone, voglio proporre scrittori e scrittrici di grande valore che hanno qualcosa da dire. Di serio, di profondo, di intenso. Persone che scrivono per comunicare, per condividere, per suggerire, ispirare, assumersi la responsabilità di una visione nuova. Le mie cene con gli autori nascono da qui. E così pure gli incontri con illustratrici o con poetesse. Voglio dire che non ci si deve accontentare di quello che ci viene proposto, che si può scegliere perché c’è tanto fra cui scegliere. La conoscenza è l’unico strumento che conosco per promuovere la democrazia. E io sono qui per fare la mia parte.



A cura di Claudia Consoli