di Giuseppe Samonà
Ilisso, 2013 (e-book); 2004 (cartaceo)
pp. 181
€ 6,90 (e-book)
€ 13,00 (cartaceo)
€ 13,00 (cartaceo)
«Nunsosearivoaccapimme».
Come affrontereste la lettura di un vocabolario, ammesso e non concesso che fosse l’unico libro rimasto a vostra disposizione? Con tutta probabilità andreste alla ricerca di un lemma che vi interessa – il primo – e poi, magari, attivereste la modalità random, saltando di parola in parola, di etimologia in etimologia. Difficilmente procedereste come per il più tradizionale dei romanzi o dei racconti, ovvero in senso progressivo, una pagina via l’altra. Quelle cose scomparse, parole di Giuseppe Samonà potrebbe però farvi cambiare idea: perché in questo caso il dizionario - anzi: il Diz - è non solo una raccolta alfabeticamente ordinata di "concetti" cari all’autore, ma si configura a tutti gli effetti come una peculiarissima narrazione autobiografica tenuta insieme da un filo conduttore esistenziale che, pur nel fittissimo sistema di rimandi inter ed extra testuali, riesce a partire da A per arrivare a Z passando obbligatoriamente per tutte le lettere. E questo, nell'opinione di chi compila questa recensione, accade nonostante l'autore vi inviti a muovervi a piacimento, e dunque anche a salti (magari come nel gioco d'infanzia detto "Paradiso"...) o direttamente all'indietro, partendo dalla fine (sebbene, nel contempo, vi esorti a non andarci subito).
Prima opera di narrativa di Samonà – docente universitario di Storia delle Religioni, italiano (siculo-laziale) di origine ma residente tra Parigi e Montréal, dove insegna all’Università del Québec – Quelle cose scomparse, parole è, come anche Filippo La Porta non ha mancato di sottolineare al momento della sua prima pubblicazione nel 2004, un libro «inclassificabile». E questo aggettivo, che compariva tra le primissime righe della Postfazione e che doveva confortare non poco coloro che avessero portato a termine la lettura con divertito disorientamento, non ha perduto la sua esattezza in occasione della riedizione del 2013 in formato e-book (unico testo della collana “Ilisso Contemporanei. Scrittori del mondo” a vantare anche una versione digitale). E se il supporto tecnologico si presta naturalmente al salto interattivo tra nomi e cognomi propri di persona ma anche di cosa, espressioni gergali e dialettali, date appuntate sul calendario, canzonette e onomatopee, quasi nulla si è perso di quella traslucida follia che ha portato Samonà a un personalissimo riordino (disordino?) del proprio vissuto sub specie lessicografica. A dispetto dell’aggiunta di una dedica autografa dell'autore, di alcune nuove voci (Boffa, Caesar e M'arancio, concepite quando la prima edizione era già in stampa), delle due più importanti recensioni al testo a firma di Isabella Scalfaro e Adriana Chiaramonte, e di uno scritto di Andrea Cortellessa (che contestualizza il lavoro mettendolo in relazione con altri "lessici" letterari), restano invariati i valori di familiarità e straniamento, di improvviso imbarazzo e irresistibile ilarità, di profondità e leggerezza (una leggerezza, come è stato detto, calviniana): questo accade (non può non accadere) nello scorrere voci quali Bisogno e Bisognone, Eiomirannicchiò, Gggiovani, Mortè, Pizzette e Zabbajjione, passando per formule tanto spassose quanto pedagogiche e minacciose (Te corco, Te lo dico io, Te possino e T’impicco) e quesiti grattacapo come Quo vadis? (Dove vai? – Al cinema – A vedere? – Quo vadis – E che vuol dire? – Dove vai – Al cinema – A vedere? – Quo vadis… e così via).
Così anche gli Apparati – ovvero quella sezione che, quando presente, conferisce per convenzione un surplus di "serietà" a un qualsiasi testo – risentono per contagio dell’atmosfera di giocosa e pensosa surrealtà in cui gravita questo corpus, animato da un sistema "a scatole cinesi" tanto divino quanto diabolico: la Legenda iniziale, dunque, diviene subito Leggenda (con due “g”); l’Indice finale è esaustivo ma dispettoso, perché riporta tutti i lemmi senza il corrispondente numero di pagina; mentre l’elenco delle Illustrazioni, in un testo privo di figure, finisce col riferirsi a tutti quei brani più o meno lunghi posti a intervallare le varie parole. E mentre le spiegazioni delle singole voci invitano spesso al (sor)riso in virtù della “matta genialità” dell’autore, è proprio quando ci si imbatte in questi curiosi “bozzetti” che capita di meditare a lungo, e finanche di commuoversi; valgano come esempio i due brani Mio fratello e Mio fratello ha mangiato un gelato, in cui la disabilità del fratello dell’autore, affetto da autismo, diventa quasi paradigma esistenziale universale.
Non importa che il lettore colga subito tutti i riferimenti. Anzi: in più di un’occasione importa maggiormente che rinunci a ricondurre le “parole” di Samonà a se stesso, pena la vera “scomparsa” di quell’aura che invece può ancora circondarle in quanto simulacri di un tempo e di uno spazio privati e perduti. L’autore – e di questo, procedendo, si avrà una certezza quasi più epidermica che ragionevole – ne ha spiegato l’essenza nell’unico modo possibile: il suo. Vedere anzi proprio alla voce: «Non so se mi spiego – forma addolcita e modesta di Nunsosearivoaccapimme».
Cecilia Mariani
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