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L'Italia, "un paese senza eroi": incontro con Stefano Jossa

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Il libro

Nella Vita di Galileo di Bertolt Brecht, Andrea Sarti a un certo punto esclama: «Sventurata la terra che non ha eroi». A cui Galileo Galilei, imperturbato, controbatte: «Felice il paese che non ha bisogno di eroi». Questo nucleo dialettico, che certo può suonar strano a generazioni cresciute a pane e reboot Marvel, è il cuore pulsante di Un paese senza eroi di Stefano Jossa (Laterza, 2013). La fiction in tutte le sue realizzazioni è in fondo una foresta di figure eroiche più o meno marmoree: malgrado i millenni che intercorrono tra l’una e l’altra, la barba riccioluta di Gilgamesh e la tuta porporina di Daredevil sono pezzi di un medesimo puzzle, fatto di paesi che hanno più o meno bisogno di eroi, e che, quando ne hanno bisogno, se li creano.

Il saggio di Jossa si concentra, con un taglio comparatistico decisamente fecondo, su un momento preciso della storia letteraria europea, quello in cui emerge la coscienza degli Stati nazionali moderni. A ben vedere, ci dice Jossa, tutte le grandi nazioni europee hanno un personaggio letterario assurto di fatto al rango di eroe nazionale: il Regno Unito ha Robin Hood, la Francia ha d’Artagnan, la Germania ha Guglielmo Tell. Tutte queste figure, legate a un passato mitico e mitizzato, sono diventate simbolo dell’identità nazionale, per motivi che Jossa ripercorre con grande agilità. 

E l’Italia? L’Italia occupa, in questo quadro, una posizione davvero eccentrica. Quale dei personaggi della grande letteratura italiana può dirsi, a tutti gli effetti, un eroe nazionale? La parte più viva del saggio di Jossa ha un po’ lo stesso sapore del pellegrinaggio di Jacopo Ortis alle tombe dei grandi scrittori italiani in Santa Croce, ma è di segno totalmente opposto. Dallo stesso Ortis foscoliano, passando per tutti i personaggi della storia letteraria italiana moderna e contemporanea (dal partigiano Johnny a Pinocchio, da Metello a Montalbano, da Andrea Sperelli a Zeno Cosini), personaggi a cui sfugge sempre qualcosa, l’impressione che si ha è quella di percorrere una galleria di ritratti di famiglia, guardare padri, nonni e avi cercando il perché del nostro naso, della forma dei nostri occhi, di questo o quel difettuccio: solo che ogni difetto – ciò che fa dell’eroe un eroe mancato, un eroe eterodosso e quindi inutilizzabile – non è una mancanza, ma un valore aggiunto (nel lessico di Jossa: un corredo di anticorpi letterari).

Questo saggio ha il merito di far riflettere, e riflettere molto. Mi ha, per esempio, riportato alla mente una cosa che mi disse tempo fa un professore di storia: l’Italia un suo grande eroe lo ha creato sostanzialmente dal 1861, ed è Giuseppe Garibaldi. Ogni città ha la sua lapide che ricorda: Garibaldi ha dormito qui, Garibaldi è passato da qui in tal data. Forse la proverbiale chiusura del cerchio, dopo la riflessione di Jossa, è proprio questa qui. Fortunato il paese che non ha bisogno d’eroi, sì: l’Italia, purtroppo, fortunata non è. E non supportata da una classe intellettuale così condiscendente all’eroismo romanzesco (e, in realtà, al romanzo tout court) ha trovato il suo eroe altrove. Lo testimoniano le miriadi di biografie garibaldine, agiografiche in tutto e per tutto, che lo hanno trasformato in un santo laico. Lo testimonia, ancora oggi, la fortuna incontrastata della fiction televisiva italiana, che riproduce immutato quel modello biografico smaccatamente encomiastico, che si parli di Olivetti o Modugno. 

Certo è che chiunque leggerà il libro di Jossa ripercorrerà la sua storia di lettore per scovare un eroe perduto. Un paese senza eroi fa riflettere, in fondo, per il suo messaggio, una dichiarazione ideologica e di metodo manifestata a chiare lettere, e per questo tanto più rivoluzionaria. Primo, dobbiamo smettere di pensare che la letteratura non incida sull’immaginario collettivo. Secondo, la letteratura che pone domande, che presenta personaggi disorganici, “diversi”, impossibili da omologare, è ciò che forma veramente un paese libero. (L.I.)

L’incontro con l’autore

Resistenza oggi, eroi e scrittori. Chi sono i nostri eroi? E ne abbiamo davvero bisogno? Questi gli interrogativi cui ha provato a dare una risposta Stefano Jossa a Domodossola, lo scorso 6 novembre, in una conferenza incastonata nella cornice delle celebrazioni per il settantesimo della Liberazione.  Organizzata dall’ANPI locale in collaborazione con il presidio di Libera, l’evento ha costituito un ideale passaggio di testimone fra le generazioni, in modo da preservare una memoria fondante e fondamentale per il nostro Paese.

Celebrazioni importanti, luoghi mitici: Domodossola fu il cuore della Repubblica Partigiana dell’Ossola, quello straordinario laboratorio di democrazia che vide la luce nei “quaranta giorni di libertà” tra il 10 settembre e il 23 ottobre del ’44, quando fu istituita una zona liberata dal dominio nazifascista e – questa la cifra di unicità – fu instaurata una giunta di governo laica e non militare, cui contribuirono figure della levatura di Umberto Terracini, Gianfranco Contini, Ezio Vigorelli. L’importanza della Repubblica Partigiana dell’Ossola risiede nel fatto di essere stata, secondo le parole di Angelo Del Boca, il momento di nascita effettiva della Costituzione repubblicana.

Partendo dall’importanza storica della Resistenza come mito nazionale, Jossa ne ha proposto una lettura che sposti il focus dalla venerazione di una sorta di “santino collettivo”, un contenitore vuoto di significati veri e attuali, all’analisi quale esperienza di contrapposizione a un sistema granitico e immobile oltre che tensione verso un futuro di cambiamento; in questo, sostanzialmente, sta il grande valore intrinseco della Resistenza e di chi la fece, e questo è ciò che la letteratura ha fatto, ossia creare uno sguardo diverso su ciò che sarà oltre noi. Proprio dalla letteratura Jossa prende spunto per costruire una prospettiva di analisi della figura dell’eroe e della Resistenza in quanto epopea eroica, muovendo dalla citazione di un libro di Svetlana Alexievich, la scrittrice russa cui è stato conferito il premio Nobel per la letteratura del 2015. Il sacrificio di parte di sé contro il desiderio di fuga: questo il dilemma dell’eroe, figura investita di una funzione politica e sociale, di contenimento dei conflitti, in special modo quando in gioco vi sono la pacificazione nazionale e la necessità di costruire una memoria condivisa.

Partendo da Freud e arrivando a Superman – passando per Calvino e Fenoglio per un percorso ideale nella letteratura della Resistenza – Stefano Jossa ha quindi analizzato, in prospettiva fenomenologica, oltre che psicologica e valoriale, la figura dell’eroe, figura spogliata della sua personalità autentica per diventare un simbolo, un modello di riferimento salvifico e deresponsabilizzante. In questo senso si può affermare, secondo Jossa, che i partigiani non furono eroi ma uomini e donne con qualità e difetti, persone autentiche che si contrapposero allo stato delle cose. 

La letteratura ne fornisce un esempio validissimo con i protagonisti di quello che può essere considerato un vero e proprio “canone resistenziale”, ovvero il Pin del Sentiero dei nidi di ragno di Calvino e i fenogliani Milton e Johnny, che non possono, proprio per la loro natura “vera”, essere spossessati delle loro caratteristiche per essere trasformati in eroi esemplari e passivizzanti, Pin con la sua non-coscienza (o forse pre-coscienza) del contesto generale e politico, Milton e Johnny con il loro radicamento nella dimensione spaziale e con le loro imperfezioni che ne impediscono la santificazione.

La letteratura ha in definitiva, tra le altre, la funzione di formare sguardi diversi per aiutare a vedere un orizzonte ben più in là dell’oggi; e questa è stata anche la funzione della Resistenza, attraverso la quale possiamo oggi considerarla un valore attuale e universale. (S.C.)

Stefano Crivelli / Laura Ingallinella