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L’eterno fluire del presente: "La Sposa" di Mauro Covacich

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La sposa
di Mauro Covacich
Bompiani, 2014

pp.185
€ 16







Libro strano questo La Sposa di Mauro Covacich, scrittore che non ha certo bisogno di presentazioni e che, tuttavia, ancora una volta verrebbe da dire, stupisce i propri lettori, andando a riannodare il filo, solo apparentemente perso di mano, di Anomalie (libro del 1998), cioè una sorta di dialogo incessante, senza arrivare alla risposte ma rinnovando sempre nuove domande, tra sé e il fuori di sé, due piani che, incredibilmente, vanno sempre più a toccarsi nei vari racconti di cui è composta l’opera. Il dato reale e quello irreale per Mauro Covoacich non sono facce della stessa medaglia, perché le medaglie, nell’eterno fluire del presente, non hanno facce diverse, ma solo “momenti uguali di istanti differenti”.

Diciassette storie per un unico e incessante fluire del tempo presente che, in un eterno gioco delle parti, si rinnova ogni volta. Così anche per i personaggi dei vari racconti, i quali ora si perdono ora si ritrovano, magari più grandi e cresciuti, man mano che si va avanti. Covacich, come del resto ammette in calce nell’apposita Nota dell’autore, mescola l’esperienza personale con alcuni brandelli dei propri pensieri che come titanici tarli, non hanno mai smesso di rodere la coscienza e lo spirito di scrittore. Una specie di iper-personalizzazione della scrittura condotta attraverso la più ferrea delle spersonalizzazioni. Laddove si racconta qualcosa di sé lo si fa o talmente in modo mediato e criptico da non poter essere rintracciabile (se non dopo una lunga e perigliosa ricerca, frutto più della costanza personale del lettore che della reale intenzione dello scrittore) oppure è talmente luminosa e ovvia da rimanere arcana e segreta.

Non bisogna scordare, ad esempio, la biografia, artistica e umana dello scrittore per , ammesso e non concesso lo si debba fare, raccapezzarsi in questo “labirinto di stelle pulsar” rappresentato dagli episodi. Ad esempio, nel racconto Doppia Panna il protagonista, un professore di Pordenone, non sembra troppo lontano da Mauro Covacich. Altre volte invece, specialmente nei racconti più enigmatici, come in L’Uomo-che-soffia, il contorno della favola si trasmuta in una strana storia metropolitana, dove al posto dei mostri del bosco vengono posti le piccole e mille idiosincrasie del quotidiano. Quotidiano, ecco che ritorna il dato del presente ma non finisce qui. L’attenzione, anche a livello di scrittura, è sempre rivolta verso il transeunte, altrimenti non avrebbe senso che la Sposa del racconto omonimo si fidi tanto delle persone che incontra durante il suo viaggio-performance per l’Asia, vestita come se fosse appena stata sull’altare.

Ma forse, almeno a mio modesto parere, la storia più struggente è quella intitolata Ogni giorno che va via è un quadro che appendo. In questo brano, che tratta di un sapido giudizio dato dallo stesso scrittore all’esibizione sanremese del cantante Alessandro Bono, giovane e dimenticato campione della kermesse musicale precocemente scomparso nel 1994. Mentre lo scrittore più giovane di 20 anni si sta facendo beffe del malcapitato cantante (la cui esibizione, stonata e un poco sguaiata, fu causata dalla galoppante malattia che di lì a poco l’avrebbe portato via, l’AIDS) si incunea una domanda, martellante come i tarli delle “cose da dire, gli argomenti di cui scrivere” che hanno occupato lo stesso Covacich per tutti questi anni: si può fermare il presente?



Una domanda non di poco conto, su cui filosofi e pensatori di tutti i tempi si sono arrovellati senza cavarne un ragno dal buco. Eppure Covacich, forse proprio per il fatto di aver studiato filosofia, presentando la sfortunata esibizione di Alessandro Bono ci dice che no, il presente non si può fermare ma non è questo quello che conta, l’importante è creare, lottare e vivere, oppure no, io questo non lo so. Il ritornello della suddetta canzone recita: “La risposta amore mio//è nascosta nel tempo/ e ogni giorno che va via/ è un quadro che appendo/ mi piace vivere” parole che rilette e ricantate col senno del poi hanno tutto il peso di un colpo di nocche ben assestato alle porte del tempo.

Covacich, sulla scia dei grandi scrittori absburgici (di cui egli si sente, in un certo qual modo, un epigono, voglia o non voglia) è proprio attorno alla questione del tempo che fa ruotare questo La Sposa. Racconti inseriti a guisa di  tanti quadri, che come i giorni di Alessandro Bono, debbono essere appesi alle proprie pareti: chissà che, quadro dopo quadro, non ci si accorgesse che il passato è un’illusione e il futuro non esiste. Ci rimarrebbe solo un eterno presente da appendere alla parete della propria esistere, tutto da vivere e tutto da cantare. Anche vestiti da sposa per le steppe dell’infinita Asia.

Mattia Nesto