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#CriticARTe - "L'arte, la bellezza e il suo contrario", Andrea Barretta

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L'arte, la bellezza e il suo contrario
di Andrea Barretta
Ab/arte, Brescia 2014 

pp. 175


L'arte, la bellezza e il suo contrario di Andrea Barretta è un libricino rivolto, nelle intenzioni dell'autore, a tutti gli amanti delle belle arti, ma destinato a riscuotere consensi (è da credere) soprattutto tra i detrattori e gli scettici nei confronti del contemporaneo e del suo famigerato "Sistema". Per 170 pagine il giornalista e scrittore si scaglia difatti contro quelli che gli appaiono come gli attuali mali (sempre più radicali) della creazione, diffusione e fruizione artistica; una triade, pare di comprendere, arresa alle dinamiche del mero commercio, della spettacolarizzazione a tutti i costi, dell'imitazione del vecchio spacciato per il nuovo, della cattiva coscienza estetica – slegata in toto dall'etica – e condivisa a pari merito da artisti, galleristi, curatori, direttori museali, critici, magnati e mecenati. Lo scenario descritto da Barretta si configura dunque, proprio per questo e soprattutto in Italia, sottospecie di luogo "brutto" e (come da titolo) contrario: contrario, sarebbe a dire, rispetto alla vera essenza dell'arte e della bellezza, individuata dall'autore in una matrice irrazionale e trascendente, affatto priva di accenti spirituali se non esplicitamente religiosi, e atta allo svelamento di significati universali e al sostanziale miglioramento dell'umanità.

Per porre fine e rimedio a questo status quo Barretta propone l'ambizioso avvento di «un nuovo "rinascimento"»: se è vero che l'arte non è comunque morta, e ancora molto (se non tutto) può dire e dare agli individui, solo un'uscita definitiva dall'attuale "medioevo", regno incontrastato dell'irrappresentabile e del cervellotico di maniera, appare salvifica «in questi giorni della superficialità, in cui la ricerca di nuove vie per l'arte è innegabile che sia di là da venire, per raggiungere un canone da disporre senza fondamentalismi, cui la trascendenza non sia estranea e che abbia almeno qualcosa a che fare con la bellezza ormai sostituita dal concettuale. Forse una religiosità nell'arte, in un'andatura singola e non collettiva come per la religione, potrebbe dare un esito immediato: spostarsi un po' più in là delle grettezze del presente» (p. 43).
Pur non professandosi né nostalgica né reazionaria, la lingua di Barretta va tuttavia a battere su quelli che l'attuale critica più conservatrice e (vale la pena notarlo) lo stesso pensiero comune hanno in effetti individuato come i denti cariati di una bocca un tempo creduta sana e in corpore (Sistema, circuito, Stato) altrettanto sano: resa al mercato, assenza di vera novità, replica supina e quasi onanistica di idee una volta rivoluzionarie e ormai fuori tempo massimo, mutazione antropologica dell'artista in epigono, critica finto-militante ridotta a chiacchiera, a sproloquio incomprensibile o a mera propaganda, vernissage e opening come vetrine o come palestre, in cui perfezionare l'arte dell'arrampicata sociale e della stretta di mano che conta. Come dare torto, del resto, all'autore? Come non annuire sconsolati durante la lettura dei numerosi passi in cui di volta in volta vengono denunciate le dinamiche puramente merceologiche del circuito delle compravendite, o l'arrivismo spesso privo di passione dei cosiddetti arty people, e ancora, non ultime, le deleterie conseguenze del pressapochismo con cui il settore artistico e in senso lato culturale è gestito a livello politico? Eppure, nonostante la rigorosa articolazione del testo – di memoria quasi accademica nella scansione in Premessa, Prologo, Prima, Seconda, Terza Parte e Conclusioni – lo scritto di Barretta, che al lettore si propone come saggio (e che difatti è pubblicato nella relativa collana di ab/arte, di cui lo stesso autore è anche Direttore editoriale) perde la pretesa autorevolezza nel momento in cui si rivela purtroppo privo dei necessari apparati testuali di note, citazioni e bibliografia, finendo col somigliare più a una lamentatio firmata, per quanto in più punti condivisibile, accorata e mossa da quelle che si potrebbero definire "le migliori intenzioni". Se vero è che il volumetto prende le mosse dalla rielaborazione di alcuni editoriali già pubblicati su quotidiani, la nuova forma non avrebbe potuto che avvantaggiarsi di rimandi ulteriori, ai fini di una migliore perorazione di una causa – una critica non solo denstruens all'arte contemporanea – che mai come adesso, specie per quanto riguarda quella più sponsorizzata e corriva, pare bisognosa di "fruste" più che di "volani", di "botte" più che di "plausi".