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CriticaLibera - Donne, grammatica e media. Suggerimenti per l'uso dell'italiano

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Donne, grammatica e media
Suggerimenti per l'uso dell'italiano

di Cecilia Robustelli
proprietà di GiULiA giornaliste



Se è vero che la lingua è l’espressione del pensiero umano. E che il modo di pensare è influenzato dal modo di esprimersi. Sembrerebbe che la società italiana sia ancora prevalentemente asimmetrica nella rappresentazione dei generi.
Si sente dire, ad esempio, che gli uomini di potere sono 'i governanti' di Stato, del mondo e così via, mentre le 'governanti' sono ancora della casa. Allo stesso modo 'il cubista' è un pittore, mentre 'la cubista' è una donna che balla su un cubo.
Le dissimmetrie semantiche sono appunto questo: i diversi significati che assumono le parole al femminile rispetto al maschile. Questo vuol dire che la lingua italiana realmente è asimmetrica, nel senso che contiene al suo interno ancora molte dissimmetrie semantiche, rintracciabili in qualsiasi contesto eppure così poco attuali.
Nonostante siano passati ormai trent'anni da quando Alma Sabatini propose per la prima volta delle norme per l’uso non sessista della lingua italiana, nella maggior parte dei testi giornalistici nazionali si passa dall'assenza del genere femminile ad una terminologia nei confronti della donna molto limitata e discriminatoria. Per certe figure professionali o istituzionali si usa ancora il maschile, spesso per scelta delle interessate che credono così di dare maggior lustro alla loro carica,  'segretario' e 'direttore' vengono preferiti dalle donne che hanno raggiunto i vertici, forse perché 'segretaria' o 'direttrice'  appaiono ancora definizioni riduttive e abbinate  a ruoli meno importarti. Anche in questo caso si parla di dissimmetria semantica: il maschile è di prestigio, il femminile no.
Mi sono domandata, perché è tanto difficile superare le resistenze e chiamare correttamente 'architetta, 'chirurga' o 'ministra', e non 'cuoca' o 'cameriera'?
È evidente che questa resistenza riveli una diffidenza ancora diffusa ad accettare il riconoscimento di uno status sociale di piena dignità socio-professionale per le donne e, in termini più generali, una profonda resistenza a mutare i modelli di genere tradizionali, oltre a tutte una serie di motivazioni di carattere linguistico, come l’incertezza sulla correttezza morfo-fonetica.
La disciplina sociolinguistica insegna che lingua e società si intersecano e contribuiscono a creare una certa visione del mondo; la visione più diffusa nell'opinione pubblica italiana è che il maschile sia più prestigioso, soprattutto per quanto riguarda le cariche pubbliche, mentre il femminile 'suoni male', come suona male tutto ciò che è nuovo, al quale il nostro orecchio non è abituato.
Eppure, la grammatica italiana è chiara: i nomi che indicano esseri viventi hanno una forma maschile e una femminile – non c’è bisogno di forzare la lingua! – i termini corretti esistono e la corretta applicazione delle norme sulla lingua di genere implicano una chiarezza dell’informazione, che si domanda e che si è tenuti a offrire.
Insomma, il genere è un concetto grammaticale, prima di sessuale. Declinare i nomi al femminile significa rispettare le regole della Lingua Italiana.
È anche comprensibile che abituarsi a usare il linguaggio di genere non sia semplice (nella quotidianità più che in ambito accademico) avvezzi ormai da secoli all'egemonia del maschile, che va da 'il presidente' a segnali stradali in cui solo gli uomini vanno in bicicletta. Tuttavia, il linguaggio è un sistema in movimento che può essere modificato come si fa con le leggi, abituando i parlanti all'uso.

Donne, grammatica e media è un manuale di consultazione rapida, pensato per i giornalisti e le giornaliste, edito da GiULiA, l'associazione autonoma di giornaliste che si occupa di questioni di genere nei media, firmato da Cecilia Robustelli e curato da Maria Teresa Manuelli, con una prefazione di Nicoletta Maraschio, la presidente onoraria dell'Accademia della Crusca. 
L’opuscolo è un contributo al discorso di genere applicato ai testi giornalistici, che mette ordine nella materia e suggerisce i termini appropriati per un giusto uso dell’Italiano, adeguato al mutamento dei tempi; il manuale riparte dalle regole grammaticali corrette della Lingua Italiana e fornisce le soluzioni operative per superare dubbi e perplessità circa l’adozione del genere femminile per i nomi professionali e istituzionali alti.
Oltre ai suggerimenti per l’uso non sessista dell'italiano, l’opuscolo pone una richiesta forte “che dalla società sale verso l’informazione: aiutare il cambiamento culturale per fare dell'Italia un paese per uomini e donne.” Robustelli 2014, 9.
Robustelli semplifica le regole per la formazione del femminile e le raccoglie in un libretto di facile consultazione, anche in questo caso, come nei precedenti studi di genere si sconsiglia l’uso del suffisso -essa. In alcuni nomi agentivi, infatti, il mutamento di genere avviene tramite l’uso quest'ultimo, spesso improprio dal punto di vista grammaticale in particolari termini come (vigilessa, avvocatessa, presidentessa). Nel suo uso iniziale (più vicino all’origine greca -issa), il suffisso aveva una sfumatura accrescitiva ed è stato utilizzato originariamente in accezione derisoria nei confronti delle cariche al femminile, con lo scopo preciso di marcare l’eccezionalità della presenza di donne in una determinata funzione di potere. Va detto d’altra parte che spesso formazioni del genere, indicavano non la donna che esercitava una determinata professione, ma la moglie di chi la svolgeva (la generalessa è la moglie del generale, come l’ambasciatrice è la moglie dell’ambasciatore).
Nonostante oggi il suffisso si sia ormai affermato nell’uso comune perdendo il primitivo significato denigratorio, tuttavia,  la regola grammaticale vuole che ai termini maschili in -o venga applicato al femminile il morfema grammaticale -a e non il suffisso -essa (es. avvocato - avvocata), mentre i nomi maschili in -e e quelli in -a rimangano invariati, prendendo l’articolo al femminile; inoltre, 'vigile' e 'presidente' sono  due sostantivi  epiceni e, come tali, non prevedono il suffisso -essa, ma solo il cambio dell’articolo (il vigile - la vigile; il presidente - la presidente).
È essenziale che venga applicata la femminilizzazione della lingua con la corretta formazione dei femminili e l’uso dei titolo professionali accordati al genere; va inoltre evitato l’articolo determinativo davanti ai nomi propri femminili (es. la Merkel), e l’uso del modificatore 'donna' davanti al titolo professionale al maschile (es. donna giudice). 

Un linguaggio giornalistico che si rispetti deve essere un contributo allo sviluppo culturale di un Paese, per questo è importante che  il lingua dell'informazione sia corretta. Per aiutare quel processo di eliminazione degli stereotipi e l’eliminazione delle rappresentazioni banalizzate.  
Ridefinire il linguaggio e chiamare le cose con un nome diverso serve a ricostruirle e a cambiarle.



Isabella Corrado