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Ricordi di un funambolo tra le Twin Towers

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Toccare le nuvole
Titolo originale: To reach the clouds
di Philippe Petit
TEA, 2009

pp. 253 




C’è un’immagine che segna il nostro immaginario di inizio millennio: quella di un aereo che si schianta contro un grattacielo. E poi polvere, urla, un secondo aereo sul secondo palazzo, gemello del primo. È l’11 settembre 2001 quando il mondo assiste alla caduta dei due imponenti giganti che solleticavano il cielo sopra Manhattan. 
Troppo spesso, di personaggi importanti o di civiltà ormai scomparse si tende a ricordare solo la tragica fine, facendo passare in secondo piano eventi eccezionali che ne hanno costellato la vita. Lo stesso ormai avviene per le Torri Gemelle di cui tutti sanno la triste fine, ma non, ad esempio, quanto fossero esattamente alte o quando si concluse il loro cantiere. Questo romanzo è un capitolo della storia del Word Trade Center, un capitolo di una bellezza e di uno poesia assoluta.

Philippe Petit è un giocoliere e un funambolo. Ha tracciato il suo palcoscenico di gesso sui marciapiedi di tutta Europa. Poi, un giorno, un banale mal di denti lo costringe nella sala d’attesa di un dentista dove si mette a sfogliare, il più rumorosamente possibile, i quotidiani. Si imbatte in un trafiletto che annuncia la costruzione, a New York, di due grattacieli alti addirittura 100 metri in più della Torre Eifell: sono destinati a fare il solletico alle nuvole.
Philippe è un funambolo abusivo esperto: ha passeggiato sognante a 80 metri d’altezza tra i campanili di Notre Dame e tra i piloni del ponte d’acciaio del porto di Sidney. Queste torri sono la sfida che cercava: non sa nulla né della loro architettura né delle difficoltà o dei venti che dovrà superare. Sa solo che deve realizzare questo coup. Circondato dalla più eterogenea delle equipe composta da giocolieri, fotografi, funamboli e commessi in negozi di elettronica provenienti da ogni parte del mondo studia il colpo che lo porterà, la mattina del 7 agosto 1974, a danzare a 417 metri di altezza contro il cielo lattiginoso di Manhattan.

Non è una storia che si legge per la prosa. Sono frasi brevi, senza virtuosismi: gli appunti che chiunque di noi potrebbe prendere sulla propria Moleskine. Ad essere del tutto onesti, nemmeno il protagonista è particolarmente simpatico. E’ un sognatore della razza più pericolosa, di quelli che sono così concentrati sul loro obiettivo da diventare egoisti, arroganti e insensibili. Più di una volta, durante la lettura, viene da chiedersi perché i suoi complici non l’abbiano mandato al diavolo. Eppure è una storia che toglie il fiato. Non solo perché le foto di repertorio mostrano questo piccolo essere umano camminare disinvolto su un filo che sembra invisibile oppure in equilibrio sui cornicioni del 110 piano della torre sud. Ma anche e soprattutto perché è la storia di un sogno della razza più pericolosa: di quelli che sembrano impossibili e che tutti noi abbiamo avuto. Un sogno che, almeno in questo caso, si è realizzato.

L’11 settembre 2001, i newyorkesi si sono alzati per andare al lavoro, hanno alzato lo sguardo al cielo e hanno visto crollare uno dei loro simboli. 
Il 7 agosto 1974, i newyorkesi camminavano veloci con la loro prima tazza di caffè della giornata in mano, hanno alzato gli occhi al cielo e hanno visto un pazzo funambolo passeggiare disinvolto appena sotto le nuvole. Sarebbe bello se, ogni tanto, passando davanti a Ground Zero, potessero evocare questa immagine nella loro memoria.