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L'inferno di Rebecca: anche l'horror può raccontare una piaga sociale

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L'inferno di Rebecca
di Federica D'Ascani
Damster Edizioni, 2014

Fino a che punto il desiderio per un donna può trasformarsi in follia morbosa? È proprio vero che non esiste il male assoluto? A che punto dell'orribile tunnel della violenza fine a se stessa il viaggio diviene di non ritorno? Qual'è il labile confine tra terrore e pazzia?
Sono queste alcune delle (terribili) domande che ci si pone leggendo L'inferno di Rebecca di Federica D'Ascani, le tematiche su cui l'autrice ha voluto puntare con coraggio e senza falsi pudori.
Infatti a mio avviso, più che un romanzo erotico tendente all'horror, questa è una storia che incarna non l'orrore come genere letterario ma come piaga sociale senza fine: la violenza sulle donne.

Se la trama amplifica ed esaspera ciò che accade nella realtà (ma è legittimo trattandosi di un romanzo, un'opera di fantasia, e alla fantasia è concesso di uscire dai limiti ed esagerare un po'), la violenza fine a se stessa, la crudeltà senza motivo o scatenata da gelosie e possessività, quella esiste davvero e se ne legge spesso, troppo spesso, sui giornali.
La storia è quella della giovane Rebecca che si trova ricoverata sotto osservazione in una clinica psichiatrica: è ritenuta colpevole del tentativo di omicidio del fidanzato Stefano. Il medico che la segue, il dottor Porte, nonostante le reazioni inquietanti della ragazza non è sicuro della sua colpevolezza e cerca di farla parlare per ricostruire le ultime settimane della relazione di Rebecca e Stefano prima del tragico epilogo. Grazie ai continui flash back il lettore assiste al trasformarsi di una storia d'amore un po' morbosa ma pur sempre nei confini della normalità, in una progressiva discesa all'inferno. E in questo precipitare verso la crudeltà assoluta di Stefano, che a poco a poco perde la maschera del bravo ragazzo svelando perversioni sessuali e pericolosi contatti con una setta stanica, pare che uno spiraglio di luce offra una possibilità di salvezza alla povera Rebecca. Ci sarà possibilità di redenzione o l'orrore prenderà il sopravvento? Non vado oltre per non rivelare l'epilogo non scontato e soprattutto all'insegna di una rivalsa finale che però non sarà quella che i benpensanti si aspettano.

È chiaro che la storia è una sorta di allegoria del vero, una voluta amplificazione per sottolineare che non c'è limite alla cattiveria umana. È a mio avviso anche un dito puntato verso la nostra società che ha spesso un atteggiamento buonista e negazionista dettato forse da un'assuefazione al male.
Di certo questo romanzo non è adatto a stomaci deboli.
E nemmeno a chi ama le stuzzichevoli provocazioni di un romanzo erotico, che secondo me è tale se solletica la parte più sensuale del lettore: perchè - diciamocelo - le sottomissioni da "Cinquanta sfumature" sono in realtà roba da mammolette e non hanno nulla a che vedere (per fortuna) con le vere perversioni.
Ma se si ha un po' di coraggio e non si cercano pruriginose emozioni, se si è capaci di scavare sotto la superficie dell'intreccio fine a sè stesso, L'inferno di Rebecca è un libro che provoca e fa pensare. Come due belle sberle date con decisione per fare rinvenire una persona svenuta. Perchè in situazioni estreme la delicatezza non serve: parola di Rebecca.