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Il Signore degli Orfani: il premio Pulitzer 2013 per la fiction,ambientato nella spietata realtà della Corea del Nord

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Il signore degli orfani
di Adam Johnson
Marsilio, 2013


In un mondo crudele, arretrato e popolato di individui disperati, si svolge la storia di formazione di un giovane uomo che spinto da un fortissimo istinto di sopravvivenza cerca di resistere all’orrore di quel mondo e delle proprie azioni. Potrebbe essere questa, in estrema sintesi, la storia alla base del romanzo “Il signore degli orfani”, una storia di disperazione, riscatto e atrocità che dipinge un immaginario luogo dove la vita ha scarso valore, ognuno ha un posto –un lavoro, una moglie- assegnatoli e il capo perennemente chinato al volere del potente dittatore. Si, potrebbe essere solo il racconto inventato di un luogo dove la realtà è crudele e ti spinge a macchiarti di colpe terribili, ambientato in un ipotetico stato totalitario fuori dal tempo. 
Ma Adam Johnson, con il romanzo vincitore del Pulitzer 2013, immagina la sua storia in un luogo ben preciso: la Corea del Nord. Luogo per molti versi avvolto dal mistero, tra le ultime dittature comuniste tuttora esistenti, Johnson ne ha studiato per sette anni con minuzia ogni più piccola fonte e notizia rimanendone affascinato e riuscendo, tra i pochissimi americani, a visitarla in un breve viaggio durante il quale tuttavia è risultato impossibile parlare apertamente con le persone e interrogarle sulle reali condizioni in cui vivono. La storia de “Il Signore degli orfani” nasce quindi dalla somma di tutte queste ricerche, ma soprattutto dal desiderio del suo autore di riportare l’attenzione su un mondo che chiuso ad ogni contatto con la realtà esterna vive sotto un potere totalitario e repressivo; un Paese che di recente è nuovamente entrato nel dibattito internazionale a causa delle tensioni con gli Stati Uniti, situazione che per alcuni mesi sembrava sul punto di portare ad uno scontro aperto ma che oggi viene sostituita da altre crisi, altri popoli infelici, altri interessi economici e politici. 

Johnson mescola il materiale studiato, i luoghi visti con i propri occhi e il talento narrativo, per dar vita ad uno dei romanzi più originali, lucidi e crudi degli ultimi anni, che gli è valso il premio letterario americano più prestigioso con la motivazione di aver saputo costruire 
“Un romanzo squisitamente artigianale che porta il lettore in un viaggio avventuroso nelle profondità della Corea del Nord totalitaria e negli spazi più intimi del cuore umano”
Protagonista della storia è Jun Do, che suona come il John Doe che in inglese indica un signor Nessuno non meglio identificato, un nome che porta già in sé il senso di solitudine, invisibilità in quella società crudele, ma anche la tentazione di un’identità che si può di volta in volta costruire a proprio piacimento, come quelle storie che continuamente vengono inventate nel Paese e che finiscono per coincidere con la verità. Figlio di una meravigliosa cantante da anni misteriosamente scomparsa – una delle tantissime persone di cui improvvisamente non si ha più notizia- è cresciuto nell’orfanotrofio che il padre, il signore degli orfani appunto, dirige, luogo nel quale impara presto ad essere un nessuno, un nome qualunque e a conoscere le difficoltà della vita, la violenza, la carestia degli anni Novanta, il duro lavoro. Adolescente, si arruola nell’esercito e trascorre alcuni anni nella squadra addetta alle incursioni nei tunnel sotterranei che dal Nord arrivano fino in Corea del Sud; anni di duro addestramento al dolore, ma che saranno solo il primo di molti ruoli che tra crudeltà e pericoli porteranno Jun Do a conoscere il Paese. Addetto ai rapimenti di ignari cittadini sulle coste del Giappone – e sono pagine strazianti per la loro intensità- per compiacere il Caro Leader Kim Jong Il e i suoi ministri in città: 
  “C’era un giapponese. Che portava a passeggio il cane. E poi non c’era più. Per tutte le persone che lo conoscevano, era sparito. Era la stessa cosa che Jun Do aveva pensato dei ragazzi scelti dagli uomini con accento cinese. Prima erano lì e poi non c’erano più, portati via chissà dove […] E a Jun Do venne in mente che anche sua madre, adesso, in quel preciso istante, si trovava da qualche parte, in un certo appartamento della capitale, e si stava guardando allo specchio mentre si spazzolava i capelli, prima di andare a letto”. 
 Poi radiotecnico a bordo di un peschereccio incaricato di intercettare le conversazioni segrete tra giapponesi, sudcoreani e americani; la vita con i marinai della Junma è probabilmente fino a quel momento il periodo più sereno dell’esistenza di Jun Do, circondato da uomini che se non può arrivare a chiamare famiglia sono comunque compagni che dividono la fatica della dura vita per mare. In mezzo all’oceano, tra confessioni nella notte e conversazioni di avventurose veliste americane intercettate per caso, le pagine –e la vita di Jun Do- scorrono quasi lievi. Ma è un fragile equilibrio che si rompe in seguito al fatale incontro con una nave militare statunitense e con le conseguenze che tale evento avrà sulle vite di tutti loro e nuove prove che attendono il ragazzo. 
  “[…] cominciò davvero a rendersi conto che probabilmente non sarebbe tornato in mare, e non avrebbe mai scoperto cosa sarebbe accaduto alla moglie del Secondo Ufficiale, a parte l’immagine mentale dell’orlo di quel vestito giallo tastato da un vecchio preside di Sinpo. Pensò a tutte le trasmissioni radio che non avrebbe ascoltato, alle esistenze che sarebbero proseguite indipendentemente da lui. Per tutta la sua vita gli avevano assegnato missioni senza dargli spiegazioni o preavvertirlo. Non c’era mai stato bisogno di fare domande o di interrogarsi sulle motivazioni, perché ciò non avrebbe cambiato il lavoro che avrebbe dovuto svolgere. Perché non aveva mai pensato di avere qualcosa da perdere, prima”.
Proclamato Eroe della nazione, Jun Do viene coinvolto in nuovo incarico, questa volta una missione diplomatica in Texas di cui il ragazzo ignora le motivazioni, ma con la quale i nordcoreani intendono convincere gli americani a ridare loro un macchinario sensibile alla presenza di uranio, apparecchio che in realtà i coreani stessi hanno rubato ai giapponesi. L’incontro con gli americani e la realtà occidentale, sarà per Jun Do un’esperienza totalmente incredibile, al pari di Alice nel Paese delle Meraviglie, stravagante che lo spinge a porsi ancora una volta molte domande sul luogo da cui proviene, al punto che «all’improvviso cominciò a odiare il suo piccolo e remoto paese d’origine, quella terra di misteri e spettri e identità sbagliate». Una visita quindi che avrà risultati inaspettati: anche questa volta per una serie di coincidenze e storie inventate, il giovane viene scambiato per il potente Comandante Ga Chol Chun, vicinissimo al grande Leader con cui tuttavia è in forte rivalità, e la sua vita ne verrà nuovamente e irrimediabilmente stravolta, sottoposta a prove durissime. Nella seconda parte del romanzo, narrata da un misterioso agente incaricato degli interrogatori che vive con gli anziani genitori – due personaggi emblematici del clima di terrore, sospetto e ossessione che offusca la vita sotto il regime- Jun Do incontra il vero Comandante Ga e questa volta ne prende definitivamente il posto, finendo con l’incontrare la moglie di lui, Sun Moon, l’attrice di cui è sempre stato infatuato e che ha tatuata sul petto dai tempi del peschereccio. Ma in questo mondo terribile non c’è lieto fine e la storia di Jun Do, il lettore ne sia avvisato, non farà eccezione. La visione orwelliana del potere e dello stato totalitario è subito evidente in questo romanzo incredibile, ma ciò che lo rende ancor più spaventoso dell’immaginario –seppur purtroppo non inimmaginabile mondo creato da Orwell- è l’ambientazione in quella Corea del Nord sconosciuta al mondo ma che non è difficile immaginare molto simile alla violenta, crudele e triste nazione descritta da Johnson. L’ultima delle dittature ereditarie scandalizza il mondo occidentale con le –pochissime- notizie che occasionalmente trapelano, storie di violenza e repressione di un luogo ignaro di tutto ciò che accade fuori dai confini, dove il minimo sospetto di attività ai danni del potere è punita con la morte e dove neppure una cantante di successo, ex partner dell’attuale leader, è al sicuro dalla violenza come veniamo a sapere in questi giorni dai giornali internazionali. Una realtà oscura e terribile che Johson ha saputo raccontare senza paura di descriverne ogni più crudele aspetto – e sono pagine quindi molto spesso difficili nella loro schietta violenza, ma assolutamente necessarie- senza mancare tuttavia di inserivi una luce, un barlume di umanità che non si spegne nemmeno di fronte alla prova più terribile. Jun Do, vittima e carnefice, oppressore ed oppresso, rappresenta ogni John Doe di quella Corea del Nord che minaccia il mondo con il nucleare e con la dimostrazione che la guerra ai totalitarismi purtroppo non è ancora conclusa.