#RileggiamoConVoi _ FEBBRAIO 2013

Tra Milano e Pavia,  con filtro naturale di finestrino Trenitalia
Cari Book-Addicted,
anche febbraio sta volgendo al termine: sappiamo bene che mese intenso è stato per il nostro Paese, e quanti cataclismi più o meno atmosferici si sono abbattuti, quanti imbarazzi di cioccolatini a due o, al contrario, quante cioccolate da soli... Tanto per sottrarci alla convinzione che siamo tutti pieni di dubbi, abbiamo pensato di darvi qualche consiglio certo di letture piacevoli per l'inizio del nuovo mese. 

Buona lettura e... coraggio! 
La Redazione



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#PagineCritiche: Girard e la menzogna dell'Io divino


Menzogna romantica e verità romanzesca
di René Girard

Bompiani, 2002 (1961)


«Il vanitoso romantico vuole convincersi a ogni costo che il proprio desiderio rientra nella natura delle cose o, il che è lo stesso, è l’emanazione di una soggettività serena, la creazione ex nihilo di un Io quasi divino».
È questa la menzogna romantica per eccellenza: l’illusione di una assoluta autonomia dell’individuo dalla società e dall’Altro. L’imitazione è, invece, il vero fondamento del desiderio e della conoscenza: è questa la base da cui parte l’opera Menzogna romantica e verità romanzesca di René Girard.
La scoperta stupisce se si pensa che l’opera è datata 1961, ovvero due anni prima della neo-avanguardia e il suo nuovismo, e sette anni prima del movimento del ’68 e della sua retorica della trasgressione destinati entrambi a scadere ben presto nel loro opposto museale e di costume. Ma lo stupore si accresce ancora di più se si pensa che le sue intuizioni hanno anticipato – come confermano le affermazioni di Vittorio Gallese, autore degli esperimenti – la scoperta neuroscientifica dei neuroni specchio.

Luigi Silipo: un altro caso irrisolto della storia italiana

Blocco 52
di Lou Palanca
Rubbettino Editore, 2012

pp. 247
€ 14

Calabria, 1 aprile 1965. Un omicidio. Irrisolto. Impunito. Muore Luigi Silipo. Gli anni Sessanta in cui l’Italia ha vissuto sull’orlo di una guerra civile e che nell’immaginario collettivo sono stati una speranza di liberazione, ci lasciano in eredità morti che qualcuno vorrebbe si dimenticassero. La memoria pesa sul potere; a distanza di tempo ne rivela la natura che resta invariata davanti alle stagioni e ai singoli uomini che lo detengono. 

Blocco 52 è un romanzo storico attraverso il quale il collettivo Lou Palanca ricostruisce con maestria il clima di quegli anni in Calabria e le vicende che forse hanno avuto un peso sull'omicidio di Luigi Silipo, presidente regionale dell’Alleanza dei contadini. L’ennesimo mistero della storia di questo Paese, un pantano per chi vuole conoscere la verità, rendere giustizia ai morti e riprendersi la speranza. Sì, perché la morte di Silipo fu una morte collettiva nella terra desolata di una regione di miseria e arretratezza. 
Quello che si immagina, durante la lettura, è che dopo la morte di Silipo è stato più difficile in questi luoghi non lasciarsi morire giorno dopo giorno: con lui si spegneva la forza di un sogno e tornava puntuale la consapevolezza del prezzo da pagare per chi osa sfidare il potere. Silipo dava voce ai contadini sfruttati che nel Meridione hanno rappresentato il soggetto rivoluzionario, quando la rivoluzione si credeva vicina, si batteva per quella riforma agraria che approvarono solo un attimo prima della sua morte. Un uomo che anteponeva le ragioni della sua lotta ai doveri di fedeltà al partito e che stava diventando scomodo non solo per i padroni ma anche per i compagni. Forti i contrasti di Silipo con la linea del PCI locale sulla controversa questione urbanistica per la quale egli già prevedeva pericolose contaminazioni negli affari dell’edilizia con la malavita, rapporti già denunciati nella rendita fondiaria. 

Non hai bisogno di un meteorologo per sapere da che parte tira il vento

La regola del silenzio
di Neil Gordon

Rizzoli, 2013



Mia carissima Izzy, i bravi genitori non esistono. È la prima cosa che voglio dirti. Tutti i genitori sono indegni. […] Mentiamo, e lo facciamo perché la verità sarebbe peggio.

Jim Grant è un avvocato, divorziato, una vita ordinaria nei sobborghi dell’America degli anni ’90, una bambina di cui prendersi cura: genitore premuroso e attento, adorato dalla figlia e all’apparenza cittadino modello. Finché tutto il mondo di illusioni da lui creato va irreparabilmente in pezzi, e quell’uomo rispettabile e benvoluto da tutti compie qualcosa di imperdonabile: abbandona una bambina di 7 anni nella stanza di un hotel di New York, per diventare un fuggiasco. Jim Grant è un genitore indegno.
Vent’anni di vita ordinaria che improvvisamente si rivelano un’enorme bugia, costruita per nascondere i segreti di un passato con cui è il momento di fare i conti. Si dispiega così al servizio del romanzo di Neil Gordon una delle pagine della storia americana più controverse e oscure del passato recente, in cui la guerra si combatteva non soltanto in Vietnam, ma proprio lì, sul suolo americano, per mano di diversi gruppi appartenenti alla sinistra americana che con le loro dimostrazioni edazioni violente hanno cercato di scuotere il Paese affinché sposasse la loro causa rivoluzionaria. 

Festival #TraLeRighe, l'ultima giornata


La neve non ha fermato gli eventi di ieri a TraLeRighe con cui si è conclusa la tre giorni dedicata alla piccola e media editoria indipendente. Tra le presentazioni ricordiamo Poesismi di Donato Di Poce edito da Onorica. L’autore si è soffermato sulla natura della sua produzione letteraria a metà tra l’aforisma e la poesia, poesismo, appunto, che riflette le qualità tipiche del genere come la brevità, la doverosa necessità di sintesi (“Amo la brevità anche quando scrivo aforismi mi sento logorroico”.) e la soggettivitàUn certo eco malinconico fa da sfondo agli aforismi di Di Poce e denuncia le sue ispirazioni letterarie: Leopardi e Flaiano. La conoscenza di Alda Merini, invece, che come l’autore ha ricordato “parlava per aforismi”,  lo stimola a intraprendere questo genere che implica sempre profondità e ponderazione a dispetto della sua immediatezza.
Tra le altre fonti di di Di Poce, Pensieri Spettinati del polacco Stanislaw Lec e l’opera di Bruno Munari, artista poliedrico e poeta, alla base della formazione dell’autore che è anche critico d’arte e fotografo. OniricaEdizioni  di Trezzano Rosa (MI) è una realtà vivace che mette tra i suoi punti fermi la trasparenza allo scopo di accorciare le distanze con il lettore e fornire sempre un prodotto di qualità, dalla narrativa (collana Visioni) alla poesia (I Sogni) passando per generi pensati per bambini e ragazzi (Le Fantasie).  Da tre anni, con il sostegno del Comune di Castellina Marittima (PI) organizza il concorso Poetika che promuove il talento di aspiranti poeti.

Libro delle laudi: una singolare postfazione



Libro delle laudi
di Patrizia Valduga
Einaudi, 2012

€ 8.50


L’ultima opera ad oggi pubblicata di Patrizia Valduga è il Libro delle laudi, già apposta a postfazione degli Ultimi versi di Giovanni Raboni.[1] I versi di Raboni hanno una sottile vena polemico-nostalgica che tratta di petto i principali problemi della politica, in una serie di caustici “Trionfi” che segnano la disfatta del presente. Dunque, non si tratta di una poetica amorosa che tenga presente la compagna, ma il mondo che lei continuerà ad abitare. Al contrario, la postfazione di Valduga è tutta protesa verso il compagno morente. Che Giovanni sia dedicatario dell’opera, è esplicitato fin dall’epigrafe: l’opera riverbera il legame con la malattia e la morte ormai prossima: si tratta di una poesia in apnea, che segue in distici gli spasmi e sposa l’andamento liturgico per la supplica a una stoica sopravvivenza («resisti» è frequente, specie ad apertura versale). Si semplificano la metrica (raggruppamenti di distici) e la lingua, come anche lo schema rimico (frequenti rime identiche o equivoche), in direzione di un’immediatezza comunicativa. «Cuore», «vita» e «amore» sono parole-chiave che, con la loro semplice ma ricca eredità semantica, conducono a un messaggio privato e commosso da rivolgere ora all’amato, ora a Dio, cui si affida l’onnipotenza della guarigione: «Di’ la parola e lui sarà guarito» (20). Quindi, alla parola si affida un potere salvifico più forte e assoluto rispetto alle precedenti opere.

Festival #TraLeRighe 2013, la seconda giornata


23 febbraio: tutto è pronto per l'inizio della seconda giornata di Festival Tra le righe. Tra le iniziative di maggiore rilievo, gli incontri in cui gli editori hanno dialogato con gli aspiranti autori interessati a conoscere i meccanismi di selezione e pubblicazione dei testi e quello in cui, invece, hanno incontrato i Consorzi Bibliotecari Lombardi per capire meglio il funzionamento dei sistemi d'acquisto delle reti bibliotecarie. Hanno avuto, in questo modo, l'occasione di farsi conoscere dai bibliotecari attraverso uno scambio e un confronto diretti. Numerosissime, durante la giornata, le presentazioni, i dibattiti, le tavole rotonde dedicate ai singoli editori presenti: SaeculaEdizioni, Miraggi Edizioni, Runa Editrice, Edizioni Il Ciliegio, per citarne solo alcune.

Pillole d'Autore - "Il barone rampante", Italo Calvino



Nella prefazione ai Nostri Antenati Calvino traccia con naturalezza l’inversione prospettica avvenuta nel suo modo di raccontare. Segna un “prima ”, nel quale scriveva di cose vere trasfigurandole in termini favolosi, e un “poi”, in cui toccherà alla favola raccontare il reale. Acquisita come punto di arrivo, dunque, la favola diventerà il grimaldello attraverso cui penetrare il reale. Attraverso la sua scrittura limpida seguiamo la formazione di Cosimo, quello strano ragazzo che decide di salire sugli alberi ma che continua a vivere il mondo, che capisce che “per essere con gli altri veramente, la sola via era d’essere separato dagli altri”. Altro rovesciamento e altro paradosso. Immagini di leggerezza e descrizioni evocative si alternano a considerazioni sulla libertà e l’autodeterminazione. Calvino parlando della formazione di uomo abbraccia la vita nella sua totalità: l’amore, la perdita, la socialità, la morte dei genitori, e su tutto la dimensione salvifica della letteratura. Noi vogliamo proporvi, qui, un più diretto contatto con la scrittura calviniana, un ritorno alle parole del romanzo. (Se volete approfondire il romanzo con l'invito alla lettura, cliccate qui.)
Erano a disagio tutti e due, annoiati. Ognuno sapeva quel che l’altro avrebbe detto.
- Ma i vostri studi? E le vostre devozioni di cristiano? - disse il padre. - Intendete crescere come un selvaggio delle Americhe?
Cosimo tacque. Erano pensieri che non s’era ancora posto e non aveva voglia di porsi. Poi fece: - Per essere pochi metri più su, credete che non sarò raggiunto dai buoni insegnamenti?Anche questa era una risposta abile, ma era già come uno sminuire la portata del suo gesto: segno di debolezza, dunque.
L’avvertì il padre e si fece più stringente: - La ribellione non si misura a metri, - disse. - Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.
Adesso mio fratello avrebbe potuto dare qualche altra nobile risposta, magari una massima latina, che ora non me ne viene in mente nessuna ma allora ne sapevamo tante a memoria. Invece s’era annoiato a star lì a fare il solenne; cacciò fuori la lingua e gridò: - Ma io dagli alberi piscio più lontano! - frase senza molto senso, ma che troncava netto la questione.

Festival #TraLeRighe 2013, la prima giornata



Il 22 febbraio ha avuto inizio, a Cinisello Balsamo, il Festival Tra le righe, dedicato alla piccola e media editoria indipendente. La sede della manifestazione, il Centro Culturale Il Pertini, è un luogo tutto da scoprire. Aperto dal settembre dello scorso anno, riscuote sempre più successo. La biblioteca e i servizi culturali sono stati trasferiti qui e il Centro è diventato un luogo di aggregazione non solo per Cinisello, ma anche per Milano e i paesi vicini. Una struttura nuovissima, luminosa, dai colori vivaci e piena di giovani che vi leggono e studiano. Incarna un’idea dinamica di biblioteca, nata con lo scopo di  offrire servizi culturali in senso ampio. È un luogo perfetto come sede di un Festival che vuole creare occasioni di incontro. Tra le righe è una tre giorni ricca di eventi: dalle presentazioni ai workshop, dalle tavole rotonde ai reading, dai laboratori agli incontri autori-editori. Tutti i soggetti della filiera editoriale sono coinvolti nel tentativo di condividere momenti di lettura e – perché no – di sperimentazione e innovazione. Il programma del Festival si caratterizza per una forte attenzione alla letteratura per l'infanzia e alle nuove tecnologie. A queste, in particolare, sono dedicati, ogni giorno, workshop di mezz’ora sulla lettura digitale, l’utilizzo di e-reader, il prestito digitale. 

#CritiCINEMA - Anna Karenina, dal romanzo al film



Anna Karenina

tratto dall'omonimo romanzo di Lev Tolstoj
regia di Joe Wright
sceneggiatura di Tom Stoppard
anno: 2012 (uscita in Italia: 21 febbraio 2013)



Joe Wright, già autore di adattamenti di opere importanti come Orgoglio e Pregiudizio ed Espiazione, ci regala una rielaborazione innovativa (e tuttavia discutibile) di Anna Karenina, capolavoro della letteratura russa di cui abbiamo parlato spesso su CriticaLetteraria.
Spesso nella comparazione tra letteratura e cinema si tende a confrontare semplicemente la resa di trama e intreccio, mentre poca importanza assumono l’aspetto linguistico e le modalità espressive. In Anna Karenina più che mai, la figura retorica dell’estensione (amplificatio) pone lo spettatore di fronte a un assorbimento del tempo in uno spazio ristretto di poche ore. Milleduecento pagine di romanzo (con riferimento all’edizione BUR, 2006) vissute dal lettore nell’arco di settimane, mentre si vive un gioco, una giornata, un tormento, divengono fiction assoluta, non-identificazione o identificazione negata a causa di un tempo angusto che non permette di affezionarsi ai personaggi.
Leggere romanzi molto lunghi è un’esperienza dello spirito e del corpo, turbato da sensazioni che alterano inconsciamente il normale stato psichico del lettore. La  rivisitazione del capolavoro russo con Keira Knightley nei panni di Anna è un teatro nel teatro, in cui i personaggi si muovono osservati da una platea sempre vuota: certamente sperimentale e creativo nelle modalità espressive, pur con qualche eccesso di teatralità che dissimula l’impronta realistica di Tolstoj.


CriticaLibera - Shakespeare and co. e l'intervista ad Adelaide Cioni


Shakespeare & Co.
Foto di Hannah Swithinbank
Li chiamano i luoghi del cuore: quelli a cui arrivi e da cui non riparti. Sono luoghi che non hanno nessuna via, ma hanno ognuna di quelle che passano per la tua, di vie. Quasi sempre hanno il colore dei tuoi occhi, tanto ce li hai lasciati addosso, e il suono caldo e familiare che ha il passo di chi ami quando entra nella tua stanza. Da lì entrano e non escono più, con la decisione di chi sa di essere aspettato, con la calma di chi è sicuro che tanto ci resterà per sempre. I luoghi, non il luogo, che si sa, l'amore non procede per sottrazioni.

Il mio ultimo luogo del cuore si trova all'angolo, come quasi tutte le cose belle: Parigi, V arrondissment, Rue de la BûcherieLa Shakespeare & Company è la più celebre libreria inglese di Parigi, e la più parigina di tutte le librerie di Parigi. Quando la trovi di fronte ti sembra di essere già davanti ad un libro aperto, il legno verde e giallo rilega le due ampie vetrate, fedeli come solo le pagine di un libro possono essere: ti permettono di guardare su, oltre e dietro ciò che è scritto; affacciandoti sai già quello che ti può aspettare: centinaia di migliaia di storie, tutte con lo stesso profumo, quello di un libro nuovo appena sfogliato, un profumo che è difficile da spiegare, come tutte le cose semplici, come tutte le cose belle.

Gino Nebiolo, "Morte e vita di Lazzaro"


Morte e vita di Lazzaro
di Gino Nebiolo
SEI, 2012

pp 229
€ 13,50



Vien da chiamarli novelle, i diciassette bellissimi racconti di “Morte e vita di Lazzaro” di Gino Nebiolo, per quel sapore antico, di narrazione come si deve. Diciassette racconti di argomento religioso, fra miracolati, anacoreti, stiliti, frati pazzi, cattedrali, conventi, biblioteche, canti gregoriani, angeli custodi pasticcioni e aspiranti diavoli. Lazzaro è il fil rouge che ci accompagna attraverso tutto il libro, in un percorso di morte e rinascita, di sguardo interiore, di ricerca d’essenzialità, segnato da dubbi e domande, fede e scetticismo. Lazzaro è colui che, più di ogni altro personaggio, incarna, a nostro avviso, la sostanza della creatura, fatta a immagine e somiglianza di Dio, ma mortale e perciò spaventata, ansiosa, alla disperata ricerca di conferme, di assensi divini, di risposte al perché della sua finitezza. Lazzaro resuscitato si chiede se, dopo la morte di Gesù sulla croce, la morte di Dio stesso, lui, creatura meschina eppur miracolata, dovrà poi morire ancora. La sua è quasi un’inchiesta, un’indagine sui fatti. Ma non è sui fatti che si basa la fede. Alla fine, contro ogni aspettativa razionale, lo ritroveremo, presente attraverso i secoli, ancora vivo nel sepolcro che gli ha fatto da casa, quasi più come Idea che come essere in carne e ossa.  

L'ultimo scritto di un artista inquieto

L'ultimo scritto 
di Mario de Sà-Carneiro
Edizioni Interòs

Pagine: 72
€ 7,50

 La mitizzazione del suicidio è un fenomeno culturale che ha origine nel romanticismo. In quel periodo il giovane poeta o artista morto suicida entrava d’obbligo nell’Olimpo degli dèi. L’artista era l’eroe inquieto e tormentato, un genio costretto a vivere con un’intensità drammatica la sua esistenza. Nonostante la fine del periodo romantico, il suicidio non scomparve nelle arti, ma ne divenne parte integrante. Ormai i romantici avevano inculcato nelle menti popolari l’idea che il suicidio fosse uno dei molti prezzi che bisognava pagare per il genio. L’artista pazzo, del resto, è una realtà storica che non conosce confini. Yukio Mishima nel biglietto lasciato prima di mettere fine alla sua vita con il rito del seppuku (il suicidio rituale dei samurai) scrisse: «La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre». Il desiderio di immortalità è fortemente sentito dagli artisti che ne fanno una ragione di vita. Questo desiderio è spesso anche la chiave di lettura dei gesti drammatici con cui concludono le loro vite. Mario de Sà-Carneiro, il poeta lusitano vissuto a cavallo tra il IX e il XX secolo, raccoglie nel suo “L’ultimo scritto” gli istanti finali di grandi personaggi di cultura della decadente Lisbona di fine secolo. Il volumetto si apre con le ultime parole di Lourenço Furtado. La morte viene intesa come svelamento di un mistero, è la stessa bramosia di conoscenza di qualcosa che va oltre la vita che porta il suicida ad affrontare il mistero coraggiosamente.

Lords of Chaos, un'indagine sociologica sul black metal


Lords of Chaos. La storia insanguinata del metal satanico
di Michael Moynihan e Didrik Søderlind

2011, Tsunami Edizioni (1998)

Traduzione di Massimo Baroni e Stefania Renzetti

pp. 384
22 euro


Piccola premessa: pur trattando di un mondo che vive attorno alla musica, in particolare al metal (e ancora più in particolare al black-metal), questo libro di musica ne affronta poca: ci troviamo fra le mani un esempio di giornalismo d’inchiesta, che ha come obiettivo la storicizzazione di un particolare periodo storico, con l’ausilio di approcci dal taglio sociologico; Michael Moynihan e Didrik Søderlind sono due giornalisti e scrittori: il primo vive in America, il secondo in Norvegia. Questa è una classica “indagine sul campo”. Ulteriore, necessaria, premessa per i profani: il black-metal è un sottogenere della musica metal nato tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 in Scandinavia (alcuni ne ricercano l’origine nei primi anni ’80, ma non ci interessa in questa sede entrare nei dettagli), per la precisione in Norvegia (con qualche scintilla iniziale in Svezia).

Cosa ha di particolare questa corrente musicale, rispetto a altre? E perché dovrebbe interessare da una prospettiva sociologica? Ciò su cui tutti sono d’accordo è che il black-metal rappresenti un estremismo, sia dal punto di vista musicale che da quello tematico-concettuale:
  • musicalmente richiama, estremizzandoli, canoni del thrash e del death metal: chitarre taglienti che creano un muro sonoro; poca melodia; sezione ritmica (basso-batteria) che viaggia spesso alle massime velocità che essere umano possa raggiungere; utilizzo (facoltativo) di tastiere che creano atmosfere plumbee, notturne, anche orchestrali; voce fortemente distorta, quasi stridula (scream); produzione sonora volutamente caotica e di bassa qualità;
  • temi e concetti principali sono: satanismo, esoterismo, nichilismo e misantropia, neo-paganesimo (oltre a un filone che esplora il disagio mentale, nato negli ultimi anni; e a un altro che propaganda idee di estrema destra).

#IlSalotto - Intervista a Federico Baccomo


Federico Baccomo è nato a Milano nel 1978. Nel 2009 ha pubblicato Studio illegale, ispirato all’omonimo blog aperto nel 2007. Nel 2011 è uscito La gente che sta bene. Entrambi i romanzi sono stati pubblicati da Marsilio Editore e hanno riscosso grande successo di pubblico. Dal primo è stato tratto un film intitolato Studio illegale, diretto da Carteni e che ha per protagonista Fabio Volo. Anche da Gente che sta bene è in preparazione un film che vedrà Claudio Bisio nei panni del personaggio principale.


Dal blog ai libri. Cambiano le strutture narrative, le modalità di comunicazione. Com’è stato il passaggio dalla forma breve del post a quella più strutturata del libro? Il pubblico di riferimento è rimasto lo stesso?
È un passaggio meno scontato di quanto sospettassi quando ho deciso di affrontarlo. Un blog è composto di brevi pezzi, più o meno slegati l’uno dall’altro, da offrire gratis, per essere letti principalmente durante le ore di lavoro. Un romanzo si posa in un’altra collocazione: è una lunga storia che ha bisogno di una struttura solida, coerente, che un lettore compra per dedicargli il suo tempo libero. In questo senso, un romanzo chiede molto di più sia a chi lo scrive, sia a chi lo legge. Ci vogliono una dedizione, un impegno, una passione maggiori, da parte di entrambi. La speranza è che, se lo scrittore si è sentito di affrontare questa piccola impresa, possa sentirsi di seguirlo anche il lettore.

In un’intervista hai dichiarato: “Non ho paura di far ridere, non voglio che il lettore possa annoiarsi”. Credo questa sia la cifra più caratteristica della tua scrittura, che prende corpo soprattutto nei dialoghi brillanti. Da quale esigenza nasce? Ci sono dei testi o degli scrittori che hanno, in questo senso, segnato il tuo percorso e che fungono da punto di riferimento?
Più che un’esigenza è una sorta di attitudine, vien fuori così, senza che mi sia chiara la ragione. Mi piace che quello che scrivo possa strappare il classico sorriso, persino una vera e propria risata, e mi piace che possa farlo su argomenti e situazioni che generalmente non danno motivi per ridere. In questo senso, mi viene in mente una definizione di umorismo di uno scrittore comico americano, premio Pulitzer, Dave Barry, che sostiene che l’umorismo sia la misura del nostro renderci conto di essere intrappolati in un mondo quasi totalmente privo di ragione, e la risata è il modo in cui esprimiamo la nostra ansia di fronte a questa consapevolezza. Non so se sia davvero così, ma mi sembra ci sia più di un fondo di verità. E in qualche modo mi pare spieghi l’opera di diversi dei miei autori per così dire di riferimento, uno per tutti Woody Allen.

I racconti di Azina, bicicletta e partigiana

I racconti di Azina, bicicletta e partigiana
di Salvatore La Porta

Villaggio Maori, 2011




A un certo punto di questa curiosa e sbarazzina raccolta di racconti si legge: «Quasimodo mi ha deScritto tutto e ho buona memoria». Ora, questo rilievo dato alla parola “deScritto” (forse solo un refuso o uno strascico della cattiva conversione del testo digitale sul mio lettore elettronico) mi ha riportato alle pagine di guardia dove, tra le altre cose, si fornisce l’informazione che i libri di Villaggio Maori si possono acquistare sul sito di DeScritto, il festival dell'editoria indipendente che si svolge a Catania dal 2010. Me ne sono fatto l’idea, un po’ balzana, lo ammetto, che si tratti di un voluto cortocircuito tra testo letterario e realtà esterna.
Si tratterebbe, insomma, di un’iperinterpretazione, magari quella di un folle epigono del decostruzionismo, se poi il testo non fornisse altri e più corposi e “strutturali” indizi di una propensione a sovrapporre letteratura e realtà, finzione e storia, fantasmagoria e realismo, testo e riferimento letterario esplicito.

Il primo gesto di Marta Pastorino

Il primo gesto
di Marta Pastorino

Mondadori, 2013

ebook € 9,99
cartaceo € 17


Ci vuole tempo prima che Anna ammetta di provare «rabbia per quello che è successo finora nella sua vita, e per tutto quello che ha lasciato e non possiede più». Perché Anna è abituata a dire sempre di sì «a qualunque costo»: sì alla sua vecchia famiglia che a abbandonato a ventidue anni; sì all’anziana Maria che ha accudito per tre anni, fino alla sua morte; sì allo sconosciuto compagno di una notte che l’ha messa incinta. Ma ha detto no a suo figlio, cancellando con l’adozione la sua vita di madre.

È un mondo di decisioni definitive, quello di Anna: una volta prese, non si può tornare indietro, per quanto il passato torni a rimordere. E lo fa impietosamente: flashback improvvisi, accesi da questa o quella situazione presente, ripercorrono le scelte che hanno portato a fare i conti con la propria femminilità inutilmente sconvolta da una gravidanza indesiderata e probabilmente neanche introiettata. Fare i conti con la nuova vita e con la morte è un imperativo categorico, cui Anna non si può sottrarre: non può tenere suo figlio, di cui ignora persino il sesso; non può restare oltre con la signora Maria, che è svaporata davanti agli occhi della sua badante Anna, perdendo via via capacità fisiche e intellettive. Queste esperienze, apparentemente distantissime, hanno in comune il richiamo ai bisogni primari e primordiali, con l’azzeramento della propria indipendenza: ma davanti al degrado dell’agonia Anna non si è nascosta:

Pillole d'Autore: le poesie di John Keats

Oggi siamo abituati a considerare John Keats come uno tra i maggiori rappresentanti del Romanticismo, ma la fama di questo poeta si è consolidata solo dopo la sua morte poiché, come è noto, la critica a lui contemporanea ne attaccò le opere, impedendo ad esse di ottenere i riconoscimenti che avrebbero più che legittimamente meritato. A differenza di molti colleghi coetanei (Shelley e Byron, per ricordare i nomi più celebri) Keats non studiò in prestigiose public schools, né frequentò Cambridge o Oxford, la sua formazione avvenne invece nella provincia londinese, alla scuola del reverendo Clarke. A partire da questo periodo e per tutta la breve durata della sua vita, Keats iniziò un percorso letterario che lo portò in contatto con i maggiori autori, da Dante a Shakespeare, da Milton a Omero e che sarebbe stato fonte di continui confronti tra la loro visione dell'arte e la creazione di un suo pensiero originale, la cui evoluzione è riscontrabile in un buon numero di lettere che ci sono pervenute e che testimonia una fitta corrispondenza con intellettuali e letterati dell'epoca. Da una di queste, datata 27 ottobre 1818, si leggono parole interessanti circa quella che Keats riteneva dovesse essere la missione del poeta:
Ho l'ambizione di fare un po' di bene nel mondo: se avrò vita sarà questa l'opera degli anni maturi; nel frattempo, tenterò di giungere nella poesia  alle altezze consentite dalle forze che mi sono state concesse.
Tuttavia, il raggiungimento di questo obiettivo è stato, fin dal principio della sua produzione artistica, fortemente contrapposto al superamento di un'inadeguatezza dei mezzi espressivi utilizzati, che non sembravano soddisfarlo, soprattutto se confrontati con quelli dei suoi riferimenti letterari. Al riguardo, si pronunciò anche in occasione della stesura della prefazione per la pubblicazione di Endymion (1818):

CriticaLibera - Teorie della traduzione, seconda puntata: Roman Jakobson


Nel 1959 fu dato alle stampe quello che sarebbe diventato una delle pietre miliari della speculazione sulla traduzione, il saggio Aspetti linguistici della traduzione di Roman Jakobson, che oggi, a più di cinquant'anni di distanza, conserva una buona dose di fascino, nonostante sia ormai superato il suo approccio che - con le parole di Gorlée - è metalinguistico. Frutto di questa particolare disposizione d'animo, ad esempio, è la convinzione che non si può dedurre il senso di una parola senza la mediazione del codice linguistico. In nome di essa Jakobson scomoda addirittura Bertrand Russell, criticando ed avversando l'affermazione di questi, secondo cui "nessuno può comprendere la parola formaggio, se prima non ha un'esperienza non linguistica del formaggio". È quindi opinione di Jakobson che 
chiunque capirà la parola italiana formaggio se sa che in questa lingua tale parola significa "alimento ottenuto con la fermentazione del latte cagliato" e se ha una conoscenza linguistica di "fermentazione" e "latte cagliato". Noi non abbiamo mai bevuto ambrosia o nettare e abbiamo un'esperienza soltanto linguistica delle parole ambrosia, nettare e dèi [...]
Il ragionamento di Jakobson, in effetti, sembra filare. Oso ipotizzare, però, una situazione limite: chi ha esperienza meramente linguistica del formaggio, cosa riconoscerà come tale se gli viene posta di fronte una ruota di Grana Padano, una scamorza e un caciocavallo? E ancora: sarebbe in grado questa stessa cavia di identificare nettare e ambrosia, se esistessero e ne venisse a contatto? Parrebbe di no. Ciò che, a mio parere, Jakobson ignora (se con malizia o meno, non saprei) è il rapporto a tre tra segno, significato e referente. Non esiste significato senza segno, ma al contempo, non esiste significato senza referente. Nel momento della comprensione di un segno si compie un duplice lavoro: se ne stabiliscono i rapporti interni con gli altri segni e significati e il rapporto con la realtà esterna al fatto linguistico. Mi verrà, ora, sicuramente rimproverata una povertà di capacità d'astrazione: dov'è la realtà di ciò che non esiste, dell'inaudito, del mai visto? A ben vedere, però, anche ciò che non esiste vive di una sua concretezza, non però nel mondo del tangibile, ma della fantasia. Se al momento della comprensione di un segno il rapporto diretto con il suo referente latita, esso viene creato parimenti, ma con un'ombra, un'immagine costruita ad hoc nella nostra fantasia, in attesa della costituzione d'un legame più certo e stabile, all'incontro con esso. Ecco perché non rigetto completamente la constatazione di Jakobson: è indubbiamente necessaria una conoscenza linguistica del formaggio per la sua piena comprensione, ma allo stesso tempo non si può prescindere dal suo rapporto con l'oggetto reale se si ha intenzione per lo meno di servirsene concretamente.

"Oltre il velo", un'inchiesta sulle italiane di seconda generazione

Oltre il velo: le nuove italiane
di Francesca Caferri

Mondadori XS, 2013


Che la nuova domanda sia "Come ti chiami?" e non più "Da dove vieni?".
Non ci sono domande più spiazzanti: forse lo abbiamo provato sulla nostra pelle, quando ci siamo trasferiti all'estero o in una città lontana. Di certo questa è una lotta costante per i cosiddetti "figli della Seconda generazione", oltre un milione di nati e cresciuti in Italia ma ancora in bilico tra permessi di soggiorno e cittadinanza. Il panorama che traccia Francesca Caferri, giornalista di «Repubblica», racchiude tutte le sfumature di questi due vecchi mondi che si incontrano e che dovranno imparare a fondersi nel migliore dei modi, e non solo ignorarsi o tollerarsi. In particolare, la cultura islamica e quella italiana vengono viste attraverso gli occhi di giovani donne che, con grande determinazione e coraggio, sostengono di essere qualcos'altro «oltre il velo».

L'urbanistica immaginaria di Italo Calvino

Le città invisibili
di Italo Calvino

Mondadori, 2012 (I ed. Einaudi, 1972)

166 pp.


Le città invisibili è uno di quei classici che resiste al tempo e riscuote ancora oggi un’enorme fortuna. Si tratta di un’opera onirica, spiazzante e inclassificabile: sono cinquantacinque le città invisibili costruite da Italo Calvino con la leggerezza di un architetto fantastico

Il libro è nato a poco a poco, una città ogni tanto, a seconda dell’estro e dell’ispirazione giornaliera dell’autore che tra il 1964 e il 1970, durante il suo soggiorno parigino, mise su carta impressioni, visioni e annotazioni. Lo scrittore ligure pensò di integrare e intervallare questi ritratti di città immaginarie con un dialogo tra due personaggi molto particolari: Kublai Khan, imperatore dei Tartari e potente che tutto possiede, e Marco Polo, il più grande viaggiatore della letteratura che possiede soltanto la proprietà del racconto. Il mercante veneziano, nel raccontare all’imperatore le sue “città mentali”, si esprime attraverso le parole, ma riesce a farlo anche solo con gesti, salti, grida di meraviglia e di orrore, latrati di animali, o oggetti (tamburi, pesci salati, conchiglie, ventagli, noci di cocco, piume di struzzo) che estrae dalle sue bisacce e dispone come pezzi degli scacchi, improvvisando in base a essi straordinarie pantomime, che il sovrano interpreta a proprio piacimento, girando con la mente e con l’immaginazione intorno al racconto di Marco. Nei viaggi mentali dell’uno e nell'ascolto e nelle domande insistenti e quasi ossessive dell’altro tutte le miniature di città trovano così il loro posto e il loro senso, facendo de Le città invisibili uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento

Woody Allen in salsa parigina: "L'amore dura tre anni" di Frédéric Beigbeder


L’amore dura tre anni
di Frédéric Beigbeder

Feltrinelli, 1997


Alcuni titoli richiedono di essere pronunciati con una certa, precisa intonazione. A nessuno verrebbe mai in mente di pronunciare I dolori del giovane Werther con aria scanzonata, né di leggere Il diario di Bridget Jones come se foste al capezzale di un caro amico malato.
L’amore dura tre anni: tono cattedratico e impostato, può suggerire  che si tratti di un trattatello scientifico, risultato di uno dei tanti studi curiosi svolti dalle università di tutto il mondo. L’amore dura tre anni: tono sommesso e incrinato indica, senza dubbio, una love story potenzialmente tragica e con finale da kleenexL’amore dura tre anni: stile annunciatore delle romantic comedy, con una piega ironica appena accennata sulle labbra. Ecco, questo è il modo giusto per pronunciare il titolo del libretto in questione:

Una geografia della morte: "Cuore cavo" di Viola Di Grado

Cuore cavo
di Viola Di Grado

edizioni e/o, 2013


Per uno scrittore, si sa, non è il primo romanzo la vera prova del fuoco, ma il secondo: e dopo un esordio visionario come Settanta acrilico trenta lana, Premio Campiello Opera Prima 2011 ancora presente nelle classifiche di tutto il mondo, le aspettative intorno alla nuova opera di Viola Di Grado sono molto alte. Cuore cavo, il suo ultimo romanzo, esce oggi per e/o: una lettura, ve lo dico subito, che conferma queste aspettative e rivela una scrittura perfettamente giunta a maturità.

Cuore cavo inizia con una morte che è una vera apocalissi geologica. Non potrebbe essere altrimenti; dal corpo di Dorotea Giglio, che si raffredda nella vasca in cui ha reciso le sue vene, parte una catastrofe planetaria non molto diversa da quella che, a suo modo, immaginava la Marta di Diceria dell'untore:
Io sola sono vera e sarò vera finché vivo. Voi, gli altri, siete appena barlumi e finzioni che sento respirare e parlare al mio fianco. E la storia non riguarda che voi, io non so cosa vuol dire. Capiscimi: nei miliardi di secoli passati e futuri io non so trovare evento più importante della mia morte. E tutte le carneficine e derive di continenti e scoppi di stelle sono soltanto canzonetta e commedia, al confronto di questo minuscolo e irripetibile cataclisma, la morte di Marta.
Ciò che nella Diceria è una fantasia affabulatoria, in Cuore cavo accade davvero:

"Studio illegale": quell'ironia che piace tanto al pubblico


Studio illegale
di Federico Baccomo (Duchesne)

Marsilio Editori, 2011

pp. 320



Magari molti di voi hanno già sentito parlare di Studio illegale perché hanno letto articoli e interviste su internet o perché hanno visto l’omonimo film tratto dal romanzo, attualmente nelle sale. A quelli che non conoscono il libro dico: compratelo, si gusta pagina dopo pagina. Ti devi proprio impegnare a leggerlo con calma perché diverte così tanto e scorre talmente veloce, un dialogo dopo l’altro, che ci si ritrova ad averlo divorato in una sera. 

Come molti lettori abituati a navigare in rete già sapranno, la genesi del testo è alquanto insolita. Intorno al 2007 Federico Baccomo aprì, infatti, un blog intitolato proprio “Studio illegale”, sul quale pubblicava – sotto lo pseudonimo di "Duchesne" – brevi post sulla sua esperienza di avvocato di un importante studio legale che aveva da poco lasciato, perché stanco di “non avere più una vita”. Aneddoti, particolari simpatici, storie da paradosso che hanno riscosso subito successo presso quel pubblico di internauti che si è riconosciuto nei suoi racconti, trovandoli pungenti e spiritosi quanto basta per risollevarsi dallo stress e dalle stanchezze quotidiane. C’era già dentro il materiale per un romanzo. E di successo, aggiungerei. Studio illegale parte dal blog ma amplia le riflessioni lì contenute strutturandole in una storia che ha tutti gli ingredienti giusti per piacere al pubblico. 

Le ricchezze di Stefano Benni

Di tutte le ricchezze
di Stefano Benni,

Feltrinelli, 2012

pp. 205
cartaceo € 16
formato ebook € 7,99


Non tutti gli intellettuali scelgono una turris eburnea per ritirarsi nelle loro speculazioni: l'io-narrante, Martin, accademico in pensione, preferisce una casa modestissima e isolata in un paesino imprecisato per dedicarsi alle sue tre attività principali: studiare il misterioso poeta Catena, comporre poesie giocose e parlare agli animali. Sì, perché il mondo del professor Martin ha ritrovato il suo equilibrio, dal momento della partenza del figlio per l'America e dalla fine del suo unico amore. Ha voltato pagina: ha chiuso con i flirt con le studentesse, le rivalità tra colleghi, i convegni e le apparizioni pubbliche. Con la sola compagnia del suo cane Ombra (dolcissimo colosso di pelo e furbizia canina), degli animali del bosco e qualche scambio di battute con i suoi strani vicini di casa, Martin porta alto il vessillo della sua solitudine:

La mia solitudine è dignitosa, la affronto a testa alta, ma se la guardo in faccia mi deride, mi ferisce, fa ritornare tutte le solitudini del passato. E' così: ogni solitudine contiene tutte le solitudini vissute. 

Pillole d'Autore - Salman Rushdie e il mago di Oz


La vicenda personale e pubblica di Salman Rushdie è prova che l’autore indiano non condivida del tutto l’immagine tradizionale della “casa”, quella a cui sempre si fa ritorno perché, si sa, nessun posto è bello come casa propria.  Nel saggio Il Mago di Oz (1992), un’acuta e divertente riflessione sul libro di L. Frank Baum ma soprattutto sul film di Victor Fleming, Rushdie ribalta il mito della bambina dalle scarpette rosse (o argentate?) che, nonostante le meravigliose avventure, manifesta l’ultimo vero desiderio di tornare a casa, dagli zii, nel triste Kansas. 

Quale bambino vorrebbe vivere in un luogo così desolato, con degli zii senza nulla da offrire, senza prospettive in cui sperare, con l’unica consolazione di un cagnolino minacciato di morte da un’arpia? Ma Dorothy Gale non è un nome a caso. L’impeto del ciclone che sradica la casa è la sua ribellione, la fine della sua infanzia perché Oz è il viaggio verso la vita, la fuga, la scoperta di se stessi. Zia Em e io zio Henry dovranno rassegnarsi che quello di Dorothy non è stato un sogno. Oz esiste davvero. Per tutti. 

Edizione di riferimento: S. Rushdie, Il Mago di Oz, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2000

CriticaLibera: La bellezza (di librerie e biblioteche) salverà il mondo?


Biblioteca Riccardiana, Firenze
Era il 1980 quando Umberto Eco, riprendendo un'idea di Borges, mise al centro del suo Il nome della rosa una biblioteca labirintica, piena di trappole e leones, continenti nascosti e pagine intinte nel veleno. Quasi sempre, d'altronde, la biblioteca è uno specchio del mondo e del viaggio attraverso i libri, un luogo in cui ci si perde (succede a Bastian nella Storia infinita) o in cui si svolgono eventi misteriosi (fino all'omicidio: come in The Body In The Library di Agatha Christie). Lo stesso nel cinema: non posso dimenticare l'adorato Pagemaster, in cui il piccolo Richard vive avventure fantastiche, tutte "libresche", insieme al bibliotecario Mr. Dewey (sì, proprio come il grande Melvil Dewey che inventò il metodo di catalogazione ormai in uso in quasi tutte le biblioteche del mondo), ma in genere le pellicole cinematografiche pullulano di librerie e librai, biblioteche e bibliotecari, come un elemento imprescindibile dell'immaginario mediatico e popolare. Eppure, ultimamente sta succedendo qualcosa di diverso: non nei libri, stavolta, né nei cinema, ma sui social network e, di conseguenza, sui giornali e nelle reti televisive. 

L'uomo dai ventiquattro volti: "Una stanza piena di gente"


Una stanza piena di gente
di Daniel Keyes

Nord, 2009



Raccontiamo una storia strana, una storia che parla di ventiquattro persone chiuse dentro una stanza. A dire il vero questa storia parla di dieci persone chiuse in una stanza. In effetti nella stessa stanza ce ne sono anche altre tredici ma sono isolate dagli altri e non gli viene permesso di uscire, in più c’è anche un capo, un “maestro” che comanda tutti gli altri. In realtà questa storia parla di un solo uomo, che però ha ventiquattro persone dentro di sé, nella sua mente c’è una folla, la sua mente è una stanza piena di gente. 
Ve l’avevo detto che era una storia strana: la storia di William Stanley Milligan, detto Billy. Billy Milligan è il primo individuo nella storia degli Stati Uniti a essere stato dichiarato non colpevole di gravi crimini per ragioni d’infermità mentale, in quanto affetto da disturbo dissociativo di personalità (le cosiddette "personalità multiple"). Dentro di lui esistono ventiquattro persone, ognuna di esse ha una storia, un’anima, degli interessi, dei sentimenti ben precisi. Ognuna di queste persone ha perfino una ben precisa età e corporeità ovvero un’altezza, un peso, una certa costituzione fisica. Ad ognuna di queste persone è affidata la pratica di una propria “specialità”, che deve usare nei momenti in cui è richiesta. La mente di Milligan è una vera e propria comunità, organizzata gerarchicamente e con le sue dinamiche, dove ognuno ha il dovere di affinare le sue abilità preferite, nel rispetto di alcune regole. Chi non rispetta il codice etico della comunità viene ritenuto pericoloso, “indesiderabile”, e viene isolato in modo che non possa più uscire allo scoperto, “fuori”. In modo da non mettere a repentaglio il segreto.

Maria Antonietta Pinna, "Mr Yod non può morire"


Mister Yod non può morire
di Maria Antonietta Pinna

Edizioni La Carmelina
pp.83
10,00


Sebbene l’indiscusso talentovisionario di Maria Antonietta Pinna si esplichi al meglio nella narrativa,anche in questa prova teatrale l’autrice mette in atto strategie  espressive non comuni.
Mr Yod è un’opera teatrale in treatti, ben distinti l’uno dall’altro, quasi una trilogia con lo stessoprotagonista, Yod.
Yod è Dio, lo ricorda nel nome (la prima lettera dell’alfabeto ebraico a comporre l’appellativo della divinità), nell’aspetto fisico, alto e barbuto, nell’immortalità vissuta, però,come una condanna. Ma è anche, soprattutto, uomo, non l’uomo comune dell’ultimo atto, ma l’uomo nella sua angoscia, nel suo dolore esistenziale, nella noia e nausea sartriane, nell’alienazione, tema caro alla Pinna e ereditato dal teatro dell’assurdo.  
La scena del primo atto è un omaggio esplicito a Pirandello, Beckett e Ionesco. Cinque personaggi che qui non cercano l’autore perché sono già in contatto metanarrativo con la regia stessadel dramma rappresentato sul palco, in quell’entrare e uscire dal narrato e dal narratore cui ci ha abituato la Pinna; cinque personaggi dello stesso nucleo familiare, che si scambiano dialoghi assurdi, banali, superficiali, capaci solodi comunicare angoscia, senso di straniamento, di vuoto.

Imparare l'amore, a qualunque costo




Lezione d'amore
di Patrizia Valduga

Einaudi, Torino 2004


Dopo le esperienze degli anni '90, sembra che l’evoluzione poetica della Valduga sia ormai piagata dall’incombenza della morte. Invece, a un anno di distanza da Manfred (2003) esce Lezione d’amore,[1] raccolta divisa in tre tempi: se il terzo è dedicato a una riflessione in prosa sulle parole, il desiderio, l’amore (che raccoglie varie citazioni dagli autori più frequentati da Valduga),[2] i primi due sono massima prova di poetica sadomasochistica, in cui alla donna è richiesta ubbidienza (e silenzio). Negli endecasillabi e settenari dei madrigali l’amante non cerca un’interlocutrice, ma una «bimba» allieva, che impari la pratica dell’amore:
Bimba, è per il tuo bene… Mi hai sentito?

Il Salotto: Intervista a Loretta Napoleoni



Loretta Napoleoni è nata a Roma e vive a Londra da molti anni. È tra i massimi esperti di terrorismo ed economia internazionale. Collabora con la CNN, la BBC e scrive per Le Monde, El País, The Guardia, Internazionale e l’Unità. Tra i suoi libri: Terrorismo SpA (Tropea), Al Zarqawi (Tropea), Economia canaglia (Il Saggiatore), I numeri del terrore (con Ronald J.Bee, Il Saggiatore).
Il suo ultimo libro, scritto in collaborazione con Pierluigi Paoletti, Francesca Fogli, Paolo Musumeci e Chiara Ricci, si intitola Democrazia Vendesi. Dalla crisi economica alla politica delle schede biancheCritica Letteraria l'ha incontrata per voi.

Iniziamo dal titolo del suo ultimo libro Democrazia vendesi. La nostra democrazia  è veramente a rischio? E ritiene anche lei che la nomina di Mario Monti a Presidente del Consiglio sia stato, come definito da molti, un "golpe bianco"?

Sulla lettura e sui libri di Arthur Schopenhauer


Sulla lettura e sui libri
di Arthur Schopenhauer

La vita felice, 2008

pp. 60


Nel 1851 venne pubblicata a Berlino la prima edizione dei Parerga und Paralipomena di Arthur Schopenhauer. La raccolta nacque con l’intenzione di completare e arricchire il sistema delineato nella sua precedente (e più nota) opera Il mondo come volontà e rappresentazione (1819), ma finì per essere accolta nella sua interezza come contributo autonomo, trattazione sistematica nella quale il filosofo di Danzica dette espressione del proprio genio, racchiudendovi una ricca gamma di esempi e spunti che nel precedente capolavoro mancavano.
Divisa in due tomi, l’opera si presenta come un insieme di saggi sulla storia della filosofia, la teoria del reale e dell’ideale, l’etica (parte consistente del tomo I è dedicata a una raccolta di aforismi sulla saggezza della vita), la logica, la religione, lo sviluppo storico, la critica e il giudizio. Non mancano anche curiosi contributi come Della fisiognomica e Del chiasso e dei rumori. La casa editrice milanese La Vita Felice ha pubblicato nella sua collana “Il piacere di leggere” un libriccino contenente la traduzione (ad opera di Valerio Consonni) del ventiquattresimo capitolo del tomo II dei Parerga und Paralipomena, dedicata proprio alla lettura.

CritiCINEMA - Les Miz: il grande musical finalmente al cinema

Les Misérables
regia di Tom Hopper (2012)

tratto dall'omonimo romanzo di Victor Hugo (1862)



Correte al cinema. Godetevi 158 minuti di pura emozione, commuovetevi, arrabbiatevi, innamoratevi, andateci se amate i musical, se li odiate, se non li conoscete: Les miserables è un capolavoro, punto. Il film evento del 2012 osannato da critica e pubblico finalmente arriva in Italia, per una volta, con tutta la forza e l'onestà del film in lingua originale, sottotitolato. 
Tratto dal memorabile musical di Broadway messo per la prima volta in scena nel 1985, anch’esso si basa ovviamente sul capolavoro di Victor Hugo. Ad altri il compito di ricordare lo straordinario romanzo francese, capace ancora oggi di coinvolgere il lettore con la sua storia di riscatto, passione, lotta e fango: qui celebriamo per una volta la magia del Cinema, quello con la lettera maiuscola, unito alla forza del musical. Perchè Les Misérables è innanzitutto un musical, va ribadito, in cui rarissime sono le battute recitate, e tutto è musica, canzoni, brani indimenticabili (tutti già noti agli amanti di Les Miz che certamente non potranno non notare l’inedito Suddenly cantato da Jackman novello padre adottivo) registrati dal vivo sul set, una sfida che ha dato vita ad esecuzioni ancora più intense.

"Chiacchiere, datteri e tè": raccontare la nuova Tunisia

Chiacchiere, datteri e the.
Tunisi, viaggio in una società che cambia
di Ilaria Guidantoni

Albeggi editore, 2013



A chi, come me, ha in uggia e sospetto il profluvio di partigianeria, strumentalizzazione, faciloneria, improvvisazione di cui dà prova la grande (in senso solo quantitativo) stampa nazionale di fronte agli avvenimenti internazionali, specie se imprevisti e subitanei, non può che risultare piacevole e consolante imbattersi in libri come questo. Un libro che inverte nel polo opposto, quello positivo, tutti e quattro gli aggettivi che ho appena usato. Non parteggia per nessuno degli attori politici in campo, né interni, né italiani né internazionali; non strumentalizza l’informazione per piegarla a fini di parte, ideologica, politica o economica che sia; non giudica la situazione sovrapponendo ad essa i comodi e facili schemi culturali del soggetto occidentale; non improvvisa conoscenze che provengono invece da una frequentazione costante e partecipata.
Ilaria Guidantoni, non nuova a saggi e libri sulla situazione tunisina determinatasi a seguito di quella che è stata definita la “primavera araba”, offre al lettore italiano, curioso e disposto ad essere informato e non solo rassicurato o incitato contro qualcuno o qualcosa, un’esperienza personale di partecipazione, indagine e conoscenza della realtà tunisina post-rivoluzionaria (sempre che di rivoluzione si possa parlare). Si tratta di una ricerca aperta, che non nasconde i dubbi e le contraddizioni e che permette al lettore di farsi un’idea personale sui fatti, sui luoghi e sulle persone di cui la giornalista e scrittrice racconta.