CriticaLibera: La bellezza (di librerie e biblioteche) salverà il mondo?


Biblioteca Riccardiana, Firenze
Era il 1980 quando Umberto Eco, riprendendo un'idea di Borges, mise al centro del suo Il nome della rosa una biblioteca labirintica, piena di trappole e leones, continenti nascosti e pagine intinte nel veleno. Quasi sempre, d'altronde, la biblioteca è uno specchio del mondo e del viaggio attraverso i libri, un luogo in cui ci si perde (succede a Bastian nella Storia infinita) o in cui si svolgono eventi misteriosi (fino all'omicidio: come in The Body In The Library di Agatha Christie). Lo stesso nel cinema: non posso dimenticare l'adorato Pagemaster, in cui il piccolo Richard vive avventure fantastiche, tutte "libresche", insieme al bibliotecario Mr. Dewey (sì, proprio come il grande Melvil Dewey che inventò il metodo di catalogazione ormai in uso in quasi tutte le biblioteche del mondo), ma in genere le pellicole cinematografiche pullulano di librerie e librai, biblioteche e bibliotecari, come un elemento imprescindibile dell'immaginario mediatico e popolare. Eppure, ultimamente sta succedendo qualcosa di diverso: non nei libri, stavolta, né nei cinema, ma sui social network e, di conseguenza, sui giornali e nelle reti televisive. 


In principio fu la crisi? Non solo. Il destino di molte librerie indipendenti è messo in discussione per i più svariati motivi: la pressione delle grandi catene, lo sviluppo delle piattaforme di vendita digitale, una diversa risistemazione dei ruoli nella filiera editoriale. La tara delle biblioteche d'Italia è ancora più antica: la mancanza di fondi per la cura e la conservazione del patrimonio librario e la continua riduzione del personale che dovrebbe custodirlo e renderlo fruibile sono le due cause principali del continuo stato di rischio in cui versa un'istituzione preziosa quanto le biblioteche. Un quadro, questo, le cui tinte fosche potrebbero essere trasformate soltanto da un'attenta e programmatica politica culturale, e contro le quali valgono soltanto le più dure e consapevoli voci di protesta. Ma vorrei qui soffermarmi su un altro fenomeno, recente e un po' diverso, che testimonia come un mondo composito (attori culturali e gente comune, bibliofili, lettori "forti" e non) si stia riappropriando del concetto di luogo-culto del libro. Stanno sorgendo in forma endemica, infatti, gruppi, siti web, gallerie fotografiche sui social network in pagine e profili privati che riservano alle librerie e alle biblioteche un ruolo da protagoniste, e per un fatto tutto particolare: la loro bellezza.

La Reading Room del British Museum, Londra

The most beautiful libraries in the world. Il web e i giornali pullulano di classifiche, gallerie di foto con stupende architetture di scaffali, lunghi tavoli per la consultazione, giochi di luce e meraviglie per gli occhi e lo spirito. La tentazione di bollare questo fenomeno come un'ulteriore commercializzazione del luogo-libro sarebbe facile, ma la partitura di valori in gioco è molto più complessa: ritrovare il bello in un luogo come la biblioteca, condividere questa bellezza, farla propria attraverso la condivisione social sono più che semplici azioni della vita sul web 2.0. L'immagine è per definizione un testo, che si legge, da cui si acquisiscono informazioni (e se sostenete, come me, le implicazioni etiche di qualsiasi atto di fruizione della parola scritta: da cui s'impara qualcosa); e se l'immagine è un testo, la riproduzione fotografica di una libreria o di una biblioteca sarà un grande metatesto, in cui un linguaggio (quello delle immagini, tanto potente nella nostra cultura) ne veicola un altro (quello dei libri che raffigura). S'innesca un gioco tra immagine e parola non tanto diverso dalla moda, tipica del Rinascimento, di farsi ritrarre con un libro o un foglio di versi in mano: l'interazione tra i due mondi, testo iconografico e testo scritto, ci racconta un mondo in trasformazione. Una fruizione, quella estetica, apparentemente priva di risvolti pratici, ha la doppia funzione di scoperta e riscoperta.

El Péndulo, libreria di Città del Messico

Davvero la bellezza, per citare un noto adagio di Dostoevskij, salverà il mondo? Forse no, ma vi posso dire la mia. In questo momento sto scrivendo dalla biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa, in cima al Palazzo della Gherardesca. Sono a un vecchio tavolino di legno, in una mansarda, e davanti a me c'è una grande finestra a vetri da cui si vedono i tetti della città e, in fondo, il Duomo e la torre pendente. Uno spettacolo mozzafiato. E se riportaste lo sguardo, insieme a me, tra gli scaffali di libri, vi sfiderei a non provare una fitta di gioia.


Laura Ingallinella