#RileggiamoConVoi: Libri sotto l'ombrellone 2012 (seconda puntata)


Una cartolina di Stintino @GloriaGhioni
Eccoci alla fine di un torrido luglio! Come ogni anno, non possiamo che augurarvi Buone Vacanze e Buona lettura da ombrellone! Anche quest'oggi, come ogni fine mese, una serie di consigli per alleviarvi almeno un po' l'ardua scelta di quali titoli portarvi in vacanza. 
Fateci sapere se vi sono piaciuti! 


La Redazione


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Claudia consiglia...

Seta di Alessandro Baricco  
Perché: è un libro delicato, raffinato come un breve piccolo poema d'altri tempi.
A chi: a tutti coloro che in estate amano letture rapide e leggere ma che non vogliono rinunciare a un contenuto un po' più profondo. Avrebbero, così, un libro che si legge in un'ora su una spiaggia (preferibilmente al tramonto!) e che si snoda come una  preziosa trama di tessuto. 

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Giulia consiglia...

One day di David Nicholls 
Perché: perchè è una storia d'amore senza i classici clichè delle storie d'amore. E' concreta, evidenzia tutti i difetti che si possono vivere in una relazione, ma lascia sempre lo spazio per sognare.
A chi: in realtà a tutti. Anche gli uomini potrebbero apprezzare la voce narrante maschile. Una perfetta lettura da condividere sotto l'ombrellone.


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Gloria consiglia...
Nel tempo di mezzo di Marcello Fois
Perché: indicatissimo per approdare ad altri tempi, profumi, storie; molto suggestivo se letto nella Sardegna di Fois.
A chi: ai lettori che preferiscono immergersi in storie lontane (ma non lontanissime), dove l'amore e il dramma fanno da padroni.

Inseparabili di Alessandro Piperno
Perché: una storia avvincente e mossa, mai noiosa, che aiuta il lettore a resistere all'afa.
A chi: rispetto a Fois, molto più indicato a chi ama invece storie contemporanee, che potrebbero svolgersi qui e ora, in una realtà urbana corrosa. 

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Serena consiglia...
Salto Mortale di Luigi Malerba 
Perché: perchè è il primo passo per accostarsi ad un grande autore contemporaneo dalla vastissima produzione letteraria ma dall'ancora ristretta fama presso il grande pubblico.
A chi: a chi non teme di avventurarsi tra paradossi linguistici e nonsense


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Stefano consiglia...

Il Mercante di Venezia di W.Shakespeare
Perché: una grande opera dello Shakespeare più maturo, un personaggio controverso (Shylock), il cui destino ingrato lo rende vittima e carnefice allo stesso tempo. Interessanti e attualissime le tematiche trattate, quali il razzismo, l'esclusione e la violenza.
A chi: a chi, innamorato della lingua inglese, può utilizzare il testo a fronte per scoprire la grande capacità compositiva di Shakespeare, i giochi linguistici e le meravigliose metafore.


Michele de Virgilio, "Ho visto uomini cadere"



Ho visto uomini cadere
di Michele De Virgilio
Sentieri Meridiani 2010


«Sarò il miele sul coltello / e nel contempo, la lama sottile / che non chiede mai prima di tagliare» – a mo' di brevissimo manifesto. È una delle prime poesie di Ho visto uomini cadere (Sentieri Meridiani 2010) di Michele de Virgilio, in cui ritroviamo un'ispirazione limpida, un verso netto, «una poesia 'vera', sia nel suo tenersi moderatamente aggrappata agli istituti propri dell'arte versificatoria, sia nel suo cercare la pienezza del contatto con la sofferenza e con gli slanci emotivi della vita reale», come scrive nella quarta di copertina Daniele Maria Pegorari, curatore della collana Le Diomedee.
Una limpidezza che amerei dire infantile, che pecca a volte per un semplicistico intimismo, ma che riesce più spesso a splendere in versi stupendi come quelli della prima poesia, Infanzia: «Senza rumori / intendemmo gli sguardi / come coppie fisse di giochi / a ingannare i ritardi».

A mio parere l'ispirazione del poeta dà il meglio di sé quando si dedica a un progetto, un tema, un'idea di fondo – e non di sottofondo. Così la semplicità di questi versi riesce a conquistare l'efficacia di un proverbio antico: «I vestiti di uno scrittore / non possono non essere sacri […] E se ci pensi, / quanta luce c'invade, / per ogni vita vissuta al massimo», «Dovevamo abbandonare di tutto / per riprenderci qualcosa». Bisogna muoversi! – scrive in Lo sanno pure i vermi – «Bisogna muoversi. / Perché anche l'indicibile / possa servire a perdersi / ché occorre aver peccato / per entrare in una chiesa».

Folco Terzani, "A piedi nudi sulla terra"



A piedi nudi sulla terra

di Folco Terzani

Mondadori, 2011

Pp. 232
18,00 €



“I valori dipendono dal punto di vista. Per esempio, per i mass media, per il pubblico, un sahdu è rovinato, è un poveretto perché rinuncia agli attaccamenti, alle case, alle cose. Mentre un sahdu, un fachiro, pensa che sono rovinati quelli che rimangono nel samsara. Sono loro che rinunciano alla conoscenza, alla dimensione di grandezza che può essere dio, per perdersi nelle storie materiali nell’illusione”. (pag. 229)
Quando si parla di quest, di cerca, vien subito da pensare al Santo Graal e a Frodo che deve distruggere l’anello del male, ma esiste anche un altro tipo di ricerca, quella interiore, dell’uomo che vive un perpetuo richiamo alla trascendenza. 
Folco Terzani, figlio di Tiziano, in A piedi nudi sulla terra, ci racconta l’inquietudine che l’ha condotto a conoscere, nei suoi pellegrinaggi, un uomo votato a questo genere di ricerca, il sahdu Baba Cesare. Terziani conosce Baba Cesare in India, luogo eletto della ricerca spirituale. Per gli indù, la trascendenza è, in verità, immanenza, poiché tutto è dio e conoscere dio significa rendersi conto di questo suo essere ogni cosa. Curiosamente, però, Baba Cesare non è indiano bensì italiano, figlio di un commercialista. Egli ha abbandonato la moglie, una serie di compagne più o meno amate, e alcuni figli mai dimenticati. Il suo percorso è quello tipico del sahdu, dalla vita mondana a quella ascetica, dalla famiglia alla rinuncia. Rinuncia che è il corrispettivo di ricerca.

Pillole d'Autore: Lewis Carroll e Pietro Citati


Per questo appuntamento con le Pillole d'autore abbiamo tratto dei brani da due libri che dialogano tra loro. A Pietro Citati, (straordinario critico letterario, nonché autore di grande talento), nel 1969 veniva chiesto di riflettere sulla letteratura italiana dell'anno precedente, quindi di poter fare una sorta di previsione letteraria delle tendenze a venire. Per dare un'immagine precisa della sua visione della letteratura, Citati ricorre ad un episodio molto amato della storia di Alice nel paese delle meraviglie, il tè in compagnia del Cappellaio matto e della Lepre Marzolina. È in mezzo a quegli strambi discorsi che i due interlocutori principali parlano del tempo: l'una come unità di misura musicale, l'altro come di una persona vera, dal momento che nelle sue frasi il tempo viene sempre nominato in maiuscolo, come nome proprio. Poiché ha discusso col Tempo, spiega il Cappellaio, esso si è fermato alle sei di pomeriggio, l'ora del tè all'infinito. Per farvi gustare al meglio le riflessioni di Pietro Citati sulla storia della letteratura, riportiamo prima il dialogo di Alice col Cappellaio, quindi il brano del critico letterario, che non lesina anche un giudizio sull'eroina di Carroll. Il dialogo tra gli autori di tutti i tempi, secondo Citati, è qualcosa che sfida il tempo.

#100libridaleggereprimadimorire: una classifica nata da Twitter


Una piccola premessa. Per diversi anni, nel web italiano è circolata una classifica, attribuita a un sondaggio BBC, di 100 libri da leggere assolutamente almeno una volta nella vita. Diventata presto un simpatico meme - ogni lettore sfidava la propria biblioteca per scoprire quanti, tra quei cento libri, poteva vantare sul proprio scaffale - la lista era tuttavia una piccola bufala letteraria. La BBC, è vero, ha stilato una lista nel 2004 (potete consultarla qui), ma quella che abbiamo letto e condiviso in Italia era molto diversa: un fantasioso connazionale - un lettore forte, senza dubbio - avrà sicuramente, intorno al 2005, cancellato qua e là titoli ostici dalla lista originale e aggiunto, con criteri personali, opere italiane. La lista BBC, in effetti, era nata come una classifica di ambizione strettamente nazionale: e basta avere un pizzico di smaliziata confidenza con la nozione di canone letterario per capire che una classifica può mutare profondamente in base all'anno, al luogo e al criterio con cui questa viene redatta. Questa breve introduzione non serve ad altro che a spiegare perché - dopo un rovello pluriennale, lo ammetto - mi sono decisa a proporre un vero, onesto sondaggio che potesse sostituire questa lista "fatta in casa", magari usando il veicolo d'informazione social più in voga del momento: Twitter. 

Federica d'Amato, Poesie a Comitò

Poesie a Comitò
di Federica D'Amato
Edizioni Noubs, Chieti 2012


pp. 82
€ 10

         Poesie a Comitò si compone di 5 sezioni: Dove sei Comitò, il cui nucleo tematico sta nel rapporto tra l’io lirico e l’espressione poetica e in quello della poesia con il mondo: il suo ruolo, la sua funzione, il suo posto nell’epoca contemporanea che quasi la bandisce preferendo al Poeta lo scienziato che documenta instancabilmente “che al mondo un modo c’è di campare/senz’avere il bisogno di doverlo raccontare”; Personae separatae, breve canzoniere di un incontro d’amore mancato, che segna l’irreversibile separatezza del Poeta dal mondo e dai suoi sgraziati o aggraziati abitanti; Fermagli, dove l’impulso a farsi cantore delle improvvise accensioni epifaniche è tanto forte da superare l’ostacolo della separazione; Chiose, prose poetiche che ricostruiscono le origini letterarie ed esistenziali di alcune delle poesie –ovvero quelle occasioni poetiche per le quali Vittorio Sereni trovò la splendida definizione di Immediati dintorni della poesia; Tentazioni haikai, 7 componimenti che rivisitano alcune delle poesie di fermagli nella fulminante dimensione dell’haiku. Il tutto contenuto in un’ottantina di pagine, comprensive di una breve prefazione di Massimo Pamio.


            Nonostante il velo sperimentale, presente, ma non eclatante (inedite soluzioni lessicali, riuso parodico o frammentario e quasi insignificante della rima, prose poetiche, haikai, ecc.), queste poesie di Federica d’Amato suscitano questioni e riflessioni più sul piano tematico e concettuale che su quello dell’espressione. Perciò, contrariamente alla mia convinzione che di un testo letterario si debba ascoltare più il modo di dire che le cose dette, mi soffermerò su alcuni temi e concetti che la poetessa ha sentito di dover esprimere. E lo farò citando per intero una delle poesie che mi pare contenga in vitro il buono e il meno buono di questo libro.


            Dalla sezione Fermagli:

Anche l'ultimo volume di 50 sfumature in cima alle vendite

E.L. James alla spiaggia del Lazzaretto, Alghero
Cinquanta sfumature di rosso
di E. L. James
Mondadori, 2012

€ 14.90
pp. 619

Quale conclusione aspetta i lettori bramosi (mai termine più azzeccato) di scoprire se Anastasia Steele e Christian Grey staranno insieme? Lieto fine classico o colpo di scena? 
Perché quando si arriva a Cinquanta sfumature di rosso hai già passato oltre mille pagine in compagnia della coppia del momento, e si è imparato a non dare mai per scontati i sentimenti, né a stupirsi quando E. L. James ha in serbo l'ennesimo colpo di scena, che metterà in crisi l'equilibrio sempre fragile della relazione.  
Se, come già detto, nel secondo libro non si mette praticamente mai in discussione l'amore reciproco, nel terzo le difficoltà provengono quasi sempre dall'esterno. Infatti, come lascia immaginare la conclusione del secondo romanzo, l'atmosfera da vie en rose si tinge di thriller. Non si pensi a reazioni da American Psyco, né a uno dei protagonisti che muta improvvisamente la sua natura: si tratta di un personaggio vendicativo, che riassume in sé le caratteristiche migliori del rapitore-estorsore-stupratore-omicida potenziale. Dunque, se in Cinquanta sfumature di nero si poteva lamentare una certa stasi esterna e tutto il dinamismo era racchiuso entro il tira e molla della coppia, in quest'ultimo capitolo della saga è il mondo esterno a creare dramma. Se aggiungiamo incidenti, minacce di morte e guardie del corpo, pistole e legittime difese, occorrerà prepararsi a una narrazione che parlerà più di letti d'ospedale che di letti di rose. 

Editori in ascolto: Incontro con Corrado Franco

Incontriamo oggi Corrado Franco, titolare dell'omonima casa editrice Corrado Franco Editore, per cui è uscito un unico titolo "NON SONO POESIE". Una raccolta delle poesie scritte dalla madre, Gigliola Franco, 87 anni, insegnante di lettere e regista teatrale.





Innanzitutto La ringraziamo per aver accettato di incontrarci e di farvi conoscere meglio.

La vostra è la storia di una casa editrice un po' particolare. Volete raccontarla ai lettori di Critica Letteraria?

Tutto comincia due anni fa quando mia madre, Gigliola Franco, malata da tempo del morbo di Parkinson, viene ricoverata in ospedale per una brutta polmonite. Inizio, così, a raccogliere le non-sono-poesie scritte a partire dai suoi 70 anni, chiamando i suoi ex attori, ex studenti e amici  a leggergliele in ospedale per tirarle su il morale e ridarle la forza di vivere. Mentre queste poesie venivano lette, vedevo mia madre sorridere felice. Ho capito, dunque, che queste poesie dovevano essere per forza pubblicate. Ho, allora, iniziato a inviare il dattiloscritto con le poesie a parecchie case editrici, anche importanti, e sono stato ad un passo da farle pubblicare (con Rizzoli e Giunti in particolare). Sorgevano, però, sempre dei problemi: legati, in particolare, a obblighi di censura e alla difficile vendibilità della poesia in Italia. Decido, quindi, di fondare la Corrado Franco Editore esclusivamente per pubblicare le non-sono-poesie.

Sua madre è una (quasi) esordiente all'età di 87 anni. Ce ne vuole parlare?

Mia madre è laureata in Letteratura americana e, da adolescente, conosce Beppe Fenoglio ad Alba, il quale se ne innamora. Vi era, però, per quei tempi, troppa differenza di "classe" e Fenoglio non riuscirà mai ad esprimere i propri sentimenti. Resisterà, però, sempre, un profondo affetto tra mia madre e Fenoglio. In seguito, mia madre si trasferirà a Torino per lavorare come giornalista, dove conoscerà quello che sarà suo marito (e mio padre). Dopo la crisi matrimoniale, che porterà a una separazione di fatto, a 40 anni inizia a insegnare lettere nelle scuole superiori e a far teatro, anche di militanza femminista, dove conosce tra le altre Dacia Maraini. E dagli anni '90 inizia a scrivere le sue acidissime non-sono-poesie.
Ciò che mi preme dire, inoltre, è che mia madre, in tutto ciò che ha fatto, e quindi anche in questo libro, è sempre stata dalla parte dei più deboli, degli oppressi e degli indifesi.

Qual è la vostra opinione sulla recensione del vostro testo da parte di Critica Letteraria, in cui si afferma che, in realtà, contrariamente al titolo, il vostro libro è una raccolta poetica?

"Il torto del soldato è la sconfitta". L'ultimo romanzo di Erri De Luca


Il torto del soldato
di Erri De Luca
Feltrinelli, 2012

11 €, pp. 96


Il torto del soldato è un testo coinvolgente. Si legge e si assapora tutto d'un fiato, come quando si prende una boccata d'aria fresca di montagna. E non è un caso che, anche stavolta, a fare da cornice alle parole di Erri De Luca siano i profili rocciosi delle Dolomiti, alternati al mare e ai profumi delle estati di Ischia. A questi scenari si contrappone il grigiore cupo della Varsavia del 1943, dei campi di sterminio nazisti. Sono i tristi quadri del passato e hanno i colori drammatici della Storia contempoeanea. Il romanzo, che si legge come un racconto lungo, si costruisce anche come un dramma a tre tempi. Ognuno dei personaggi principali ha un suo spazio di sviluppo autonomo, ma al principio e alla fine del testo, tutti e tre sono stretti nella stessa morsa. Si ritrovano, una sera di fine estate, seduti ai tavoli di una locanda di montagna, ognuno con i propri misteriosi silenzi. Il primo è uno scrittore che ha con sé dei fogli di racconti che deve tradurre dall'yiddish all'italiano. Napoletano di nascita, crede che ci sia una certa vicinanza con il suo dialetto d'origine e l'yiddish, per lui, è una chiave per leggere la realtà, un canto di libertà: L'yiddish è stato rinchiuso, soffocato: ha bisogno d'aria. Le sue lettere si rianimano sotto gli occhi e vogliono sgranchirsi sulle labbra. Vogliono libertà. Ama il silenzio che avvolge le sue giornate, tra scalate e lettura, riceve dai libri quel calore quotidiano che gli manca (I fogli con i caratteri ebraici, tenuti tra il gomito e le costole, facevano la giusta supplenza al braccio di una donna che non c'era. Andavo accompagnato da loro, mi davano il calore di un fianco).
Il secondo è un uomo anziano, un criminale di guerra nazista che vive in clandestinità, interiorizzando la paura di essere scoperto al punto da vedere ovunque segnali di una possibile fine, di una vendetta. Vive questa sua esistenza nascosta senza parlare, diffidando di tutti, il suo rapporto con un passato non rinnegato e mai pienamente rielaborato lo ha spinto a sviluppare un'ossessione per la Kabbalà. Ripete in maniera maniacale che “il torto del soldato è la sconfitta, la vittoria giustifica tutto”, quasi per trovare, così, un senso al fallimento suo e del nazismo.

K.Lit 2012: una retrospettiva del primo festival dei blog letterari





 THIENE (Vicenza), 7-8 luglio 2012
 1^ edizione del Festival dei Blog Letterari in Europa


A che servono i blog letterari? Quali le potenzialità e quali gli attuali impieghi? E quale sarà il futuro? Reinventarsi, diventare imprenditori della parola in proprio o in redazioni, scrivere di sé o di libri, musica, cinema, spettacolo, ambiente; creare un libro a puntate o accorgersi che, nostro malgrado, quei lacerti sul web stanno assumendo una forma, ben più strutturata di quello che avremmo pensato... Queste sono solo alcuni dei moltissimi aspetti trattati a K.Lit in questo battesimo del fuoco: primo festival dei blog letterari in Europa. Grandi responsabilità e aspettative, nonché tantissimi occhi puntati, spesso occhi puntati contro aprioristicamente. Ma  andiamo con ordine.

Per prima cosa, i dati di fatto. L'organizzazione del festival è stata impeccabile: meritano dunque un plauso l'ideatore del festival, Morgan Palmas, la coordinatrice, Marta Delle Carbonare, e tutto lo staff. Passeggiando per le vie di Thiene nel weekend k.Lit era decisamente palpabile l'impressione di trovarsi in una curatissima macchina a orologeria. Valgano come esempi il puntuale rispetto della scaletta - una vera e propria rarità, in questo tipo di eventi - e la cura dell'immagine del festival, attraverso la quale si è voluto trasmettere un preciso messaggio culturale, d'ampia apertura, e senz'ombra di dubbio meno specialistico di quello che l'etichetta di festival dei blog letterari potrebbe lasciar intuire. Per chiudere il cerchio, si deve necessariamente aggiungere che chi è stato chiamato a intervenire, lo ha fatto con entusiasmo e (nella maggior parte dei casi) con competenza e buoni argomenti. 

La strategia del morto: Antonio Paolacci, "Tanatosi"

Tanatosi
di Antonio Paolacci


Perdisa Pop, 2012
collana ePop
ebook



C'è chi affronta le difficoltà prendendole di petto e chi preferisce scappare, sparire, magari fingersi morto. Come quegli animali che quando sono in pericolo si paralizzano immobili, simili a morti. Tanatosi è il nome di questa strategia di sopravvivenza. Una strategia adottata anche dal vecchio che vive da solo nella foresta: è sparito senza lasciare traccia trent'anni prima. Ma ora il figlio, che ha scelto la fuga come il padre, lo ha trovato. È un ricongiungimento avaro di parole e affetto, ma utile a placare la rabbia di chi cercava una ragione, una risposta. Utile anche a capire che scappare non serve a nulla, nemmeno se tutto ciò che ti aspetta è una città allo sbando, dilaniata
dalla violenza figlia di una  crisi economica e sociale che ha tolto alle persone già vuote di valori la speranza. Il racconto di Antonio Paolacci, che nella sua intensità offre altresì notevoli spunti di riflessione, ha inaugurato la nuova collana ePop di Perdisa Pop che propone esclusivamente ebook. Testi brevi, ma di qualità, disponibili solo in vesione digitale. Un'operazione intelligente e che può offrire, mi auguro, maggiori possibilità ad autori esordienti.

Carla Casazza


La sgradevolezza del perdente: «Il soccombente» di Thomas Bernhard, e altri


Il soccombente
di Thomas Bernhard
Traduzione di Renata Colorni
Adelphi 1985, 1999
pagg. 186 , Euro 10



Uno degli insulti a cui spesso si fa ricorso in particolari contesti è “perdente”: nella vita concepita, non a torto, come competizione, è fisiologico questo utilizzo; ancora di più tale aspetto è stato enfatizzato nelle società capitalistiche, in cui la figura del “loser” suscita compassione o disprezzo a seconda delle aree politiche. Purtroppo, mi sbilancio, per molti (nelle vita quotidiana) l’antinomia “vincente/perdente” diventa unico criterio di classificazione degli uomini, finendo per impoverire il panorama sociale e idealizzare l’individuo “vincente” come il ricettacolo di ogni qualità e pregio umani (corteggiando la demagogia, si potrebbe dire che gode di maggior considerazione un vincente disonesto che un perdente onesto). Curiosamente, invece, non è raro notare come nel campo delle espressioni artistiche questa sublimazione eterea da uomo a idea avvenga per il “perdente”: sono tanti gli artisti di vari campi e gli intellettuali che si ispirano agli “ultimi”, costruendo figure che racchiudono tutti i pregi possibili, vittime però della sfortuna o dell’egoismo altrui: nessuno nega che siano anche figure autentiche (penso a tal proposito al bellissimo Le ceneri di Angela, di Frank McCourt), ma è spesso una soluzione di comodo la proposizione del personaggio “sconfitto” depurato da ogni ignominia, edulcorato, e che suscita simpatia captando l’immedesimazione. Un modo, a parole, anche per lucidare la coscienza mostrando attenzione verso i più deboli.

Molto più raro è che costui venga reso più umano, con anche tutte le sgradevolezze che può portarsi dietro. Perché, nella realtà e non nella carta, un perdente può essere terribilmente sgradevole, e stargli a fianco è dura.

#CritiCOMICS e #CriticARTe: Valentina Movie


Valentina Movie
a Palazzo Incontro, Roma
30 maggio - 30 settembre
(Chiuso per ferie dal 30 luglio al 27 agosto)


Quando alla mostra "Il Revival dell'Art Nouveau" del Museo d'Orsay, qualche anno fa, vidi anche i disegni di Valentina, mi resi conto di quanto fosse famosa ed amata, di quanto fosse un'icona. Non si direbbe, però, che sia nata come personaggio secondario, ossia come la compagna di Neutron, un critico d'arte con poteri psichici tali da poter paralizzare persone e macchine.
Dopo aver perso i suoi poteri, Neutron perde pure il suo status di protagonista, perché tutte le attenzioni del pubblico e dello stesso autore vengono rubate da Valentina Rosselli, (come i fratelli socialisti), che continua ancora a stregare: in questi giorni e fino al 30 settembre, è in corso a Roma (a Palazzo Incontro) una mostra su di lei, a cura dell'Archivio Crepax e di Vincenzo Mollica. Si chiama Valentina Movie ed è ricca di vignette, disegni originali, video e documentari sull'autore. La vera sorpresa, però, è scoprire che in mostra c'è pure la sua scrivania personale, quella su cui lavorava alle tavole di Valentina.
La scrivania di Crepax
Quello che ha reso questo fumetto così amato non può riassumersi in poche parole, perché è talmente ricco di spunti che bisogna per forza soffermarcisi poco per volta. Valentina è estremamente affascinante e deve il suo aspetto alla particolare adorazione di Crepax nei confronti di Louise Brooks, classe 1906, attrice del cinema muto, ballerina, scrittrice e critico cinematografico. A differenza di Hugo Pratt, Crepax non ebbe mai modo di incontrarla, ma le mandò un'affettuosa lettera in cui le parlava di Valentina: la Brooks disse "Non sapevo di essere diventata un mito".

"Antropo-ecologia": la responsabilità dell'uomo di fronte a sé stesso


Antropo-ecologia
a cura di Eduardo Ciampi

Saggi scelti di W. Berry, W. Brown, J. Cooper, G. Eaton, A. Moore, S.H. Nasr, H. Oldmeadow, P. Sherrard 

Terre Sommerse Editore, 2009


Vorrei introdurre Tradizione e traduzione, collana tematica di saggistica tradizionale ideata e curata da Eduardo Ciampi per Terre Sommerse Edizioni. Mi occuperò di Laquesta collana per i prossimi mesi e comincio a farlo con uno dei titoli secondo me più significati e divulgativi pubblicati sin ora.
Si tratta di Antropo-ecologia,. Saggi di W. Berry, E. Brown, J. Cooper, G. Eaton, A. Moore, S. H. Nasr, H. Oldmeadow, P. Sherrard, testi scelti e tradotti da Edoardo Ciampi (Terre Sommerse 2009).
L'argomento è urgente, l'ecologia. La trattazione, originale e innovativa, risponde con efficacia a tante domande e s'inoltra con sapienza in tanti argomenti che l'ecologismo militante non è capace di affrontare.
«Si tratta quindi d'intendere l'idea di un'antropo-ecologia basata sulla tradizionale responsabilità sacra dell'uomo nei confronti di sé stesso, dell'ambiente naturale e del creato tutto» – scrive Ciampi nella prefazione.
I saggi scelti percorrono trasversalmente le teologie e le metafisiche anche più distanti e diverse, in maniera comparativa, per gettare le fondamenta di un prospettiva antropo-ecologica. Una prospettiva, però, che non si trasformi in militanza o ideologia, ma in un orientamento che si propone di ricomporre l'equilibrio originario fra l'uomo e la Natura e, in ultima analisi, fra l'uomo e sé stesso.

Sherrard, Moore e Berry spiegano come il Cristianesimo secolarizzato ha dissacrato nel tempo il rapporto uomo-natura, attirandosi a ragione le critiche da parte degli ecologisti. Ma i saggisti chiariscono anche come il Cristianesimo ha basi profondamente ecologiche e che la Bibbia è un enorme tesoro di saggezza per sfatare le illusioni della «ego-scienza» (ovvero tutte quelle prospettive materialistiche che negano il sacro) che si arroga ogni diritto e ogni libertà di agire sul Creato.

Invito alla lettura: "Piccole donne", il trascendentalismo di Louisa May Alcott




Little Women, 1869
di Louisa May Alcott
Collins Classics 2010


pp. 286
3,50


La regione intorno a Boston era semplice e genuina campagna.


 “Lì”, afferma il Cunliff, “l’aspirante scrittore poteva vivere con pochissimo, coltivando un pezzo di terra per trarne il necessario al proprio sostentamento […] e facendo di tanto in tanto un viaggio a Boston per prendere libri in prestito, o incontrarsi con un editore.[…] fu in quella cerchia di comunità colte e intimamente collegate, nei dintorni di Boston, che apparve il fenomeno del trascendentalismo, termine impreciso e difficilmente attribuibile ad una qualsiasi fra le figure di maggior rilievo del tempo.”


Si tratta di scrittori imbevuti di filosofia kantiana, convinti di vivere in un universo benefico, in collegamento con la natura, di sostanziale stampo romantico ed in costante movimento verso la perfezione, ottenibile, per altro, solo in America. Fu Emerson a formulare con maggior completezza la teoria trascendentalista. Fra i tanti appartenenti al movimento, dallo stesso Emerson a Thoreau, a Hawthorne, a Whitman, c’era anche Amos Bronson Alcott, padre di Louisa May, l’autrice di Piccole Donne.
Louisa May nasce a Germantown in Pennsilvania nel 1832, poi si trasferisce a Concord, a ovest di Boston, con la famiglia, la seconda di quattro sorelle. Cresce in un ambiente “illuminato e progressista”, fieramente abolizionista e vive la realtà della Guerra Civile. Il padre fonda una scuola conosciuta per le sue idee rivoluzionarie, dove si applica il principio del rispetto della spontaneità del fanciullo.
Così Silvano Ambrogi descrive Louisa, come la si coglie in un ritratto:
La vediamo all’angolo di una scrivania, con un vestito ad ampie, lunghissime gonne, una candida e voluminosa pettorina arricciata, capelli ondulati e gran crocchia alla nuca, insomma l’aspetto di una signora della buona società del tempo. Il braccio appare del tutto disteso, con languore quasi dannunziano, ma la grinta viriloide fa da aperto contrasto: lo sguardo infossato, che punta diritto davanti a sé e la bocca strettamente serrata. La penna appare fra le dita impugnata come fosse uno stiletto o una pistola.”


Amos Bronson trasforma la casa in un cenacolo trascendentalista, frequentano il salotto Thoreau, Hawthorne ed Emerson.
Louisa fa scuola alle figlie di quest’ultimo e ha libero accesso alla  biblioteca, dove legge di tutto, da Platone a Dickens, il suo idolo, che incontrerà durante un viaggio sul vecchio continente e di cui ricreerà Il circolo Pickwick, attraverso la società segreta fondata per gioco dalle protagoniste del suo libro più famoso.

Pillole d'Autore: Alfonso Gatto, una poesia del (sur)reale



Alfonso Gatto (1909-1976), poeta, narratore e giornalista salernitano, fa da ponte tra una lirica essenzialmente ermetica - Isola (1932) e Morto ai paesi (1934) - e una d'impronta neorealista, di impegno morale e civile. Il trapasso fu molto influenzato dalle vicende della guerra e dalla sua partecipazione nelle fila dalla Resistenza come militante di sinistra. Isola è il testo decisivo per il costituirsi di una «Grammatica ermetica», che verrà definita dal poeta stesso come ricerca di «assolutezza naturale». Il linguaggio è rarefatto e senza tempo, allusivo, tipico di una poetica dell'assenza e dello spazio vuoto, ricco di motivi melodici. In Alfonso Gatto «domina il senso della "bontà" della natura, una passione per le "cose povere", che lo riporta alla memoria dell’infanzia e un antico passato contadino e meridionale: ciò farà convergere la sua poesia spontaneamente e senza sostanziali modificazioni nell’orizzonte del neorealismo» [1].


Edizione di riferimento: Alfonso Gatto, Tutte le poesie, a cura di Silvio Ramat, Mondadori, 2005, pp. 768.



Da Isola (1932)
Plenilunio

«Calore d’esangue notte,
all’onda remota dell’aria
ai suoi vaghi pensieri
l’anima ascolta,
passano i lumi alle terrazze, il cielo...
Il cielo sorge da lontano,
riverbera solitario amore
di mari morti e sereni.
Remoto nel sogno lunare
si spalanca un mattino di vette
e case limpide argentee
sgusciano al cielo
in mondi di tenero fiato.
Deserta in vuoto candore
cheto villaggio d’infanzia
terra del dolce sogno:
azzurri carri di neve
salivano ai monti pallidi
e la notte era un vano chiamare
nell’eco perduta dei morti.
Da Desinenze. 1974-1976 (1977)
Isola 

Avvicinarsi all’isola, a quel soffio
marino ch’è nel lascito del cielo,
e scoprirla di pietra, di silenzio
nell’agrore dell’erba, nel relitto
del lastrico squamato dai suoi scisti:
questo è rabbrividire sul mio nome
improvviso nel monito del vento […]
Da La storia delle vittime. Poesie della Resistenza (1966)
Le vittime

La storia fosse scritta dalle vittime
altro sarebbe, un tempo di minuti,
di formiche incessanti che ripullulano
al nostro soffio e pure ad una ad una
vivide di tenacia, intente d’essere.
Gli inermi che si scostano al passaggio
delle divise chiedono allo sguardo
dei propri occhi la letizia ansiosa
d’essere vinti, il numero che oblia
la sua sabbia infinita nel crepuscolo.
Dei vincitori, ai ruinosi alberghi
del loro oblio, più nulla.
Rimane chi disparve nella sera
dell’opera compiuta, sua la mano
di tutti e il fare che è del fare il tenero
È il nostro soffio che gli crede, il dubbio
di perderlo nel numero, tra noi.

Isabella Corrado

[1] Ferroni Giulio, Profilo storico della letteratura Italiana, II, Milano, 2003.

Criticalibera: La rivincita del "rosa"


Si chiacchierava di libri, l’altro giorno, con alcuni amici. Bicchiere di vino, falò e afa opprimente. Si saltava pigramente dall’ultimo di Bukowsky, le novità letterarie del momento e Le cronache del ghiaccio e del fuoco, giusto per non tralasciare il fantasy. E poi, inevitabilmente, si arriva all’argomento preferito di tutti i lettori di ogni epoca: parlare di alcune pubblicazioni decisamente assurde che si trovano sugli scaffali Feltrinelli. Ci si trovava in terreno sicuro perché ci sono dei titoli che bisogna per forza odiare. Se li apprezzi perdi immediatamente la qualifica di “lettore”. Sguazzavo contenta, denigrando e deridendo alcune opere infami, fino a che non si è arrivati a colpire un preciso genere ed un preciso titolo:

- I love shopping”. Come si fa a leggere una stupidaggine simile! Questo genere che parla solo di donne super glamour e frivole andrebbe abolito. Voglio dire, noi, come categoria femminile, che figura facciamo?-
Mi sono trovata ad annuire in maniera poco compromettente. Mi sembrava fuori luogo dire che sul mio comodino, proprio in quel preciso momento, insieme all’ultimo Bukowsky e a Calvino, c’era uno dei libri della serie “I love shopping”. Sarebbe stato oltraggioso affermare che l’avevo già anche letto. Degno di pubblica fustigazione ammettere che ho letto tutti i libri di Sophie Kinsella.
E che mi sono anche piaciuti.
Avrei fatto la figura del sedicente esperto di vini che ad una degustazione non si accorge di aver magnificato per un quarto d’ora del banale Tavernello in brick.

L'isola delle storie: cronaca dell'ultimo giorno a Gavoi

Cronaca del terzo giorno a Gavoi

a cura di Gabriele Tanda

Pinuccio Sciola e le pietre che suonano
Anche l’ultimo giorno del Festival di Gavoi si apre al balcone di S’antana ‘e susu. Questa volta però l’incontro è preceduto da una sorpresa: Pinuccio Sciola, l'artista delle “pietre che suonano”, è qui per regalare al pubblico uno dei suoi brani. Con le mani ruvide e nodose inizia a sfiorare gli strumenti, creando un’atmosfera sognante, che ben si accorda alle prime ore della giornata e all'aria assonnata di buona parte degli astanti: gli spettatori ammutoliscono e si concentrano su quel suono così particolare, delicato e simile a quello dell’armonica a bicchieri, forse appena più caldo. Il granito tagliato vibra, e il suono si diffonde tra le persone e le case, anch’esse di granito, che assorbono lentamente quella che mi piace chiamare “la musica delle carezze”. L’applauso finale suggella un momento di incantamento generale.
Si torna alla “normalità”: l'autore che precederà ogni incontro di oggi è
Sandra Petrignani e Alessandra Casella
Antonio Tabucchi, e Marina Massironi ne legge un breve racconto. A seguire ecco l’incontro, moderato da Alessandra Casella, con Sandra Petrignani. Per chi non la conoscesse, la scrittrice è un'autentica poligrafa: oltre a racconti, ha scritto interviste, reportage di viaggio e saggi narrativi. Di tutto, insomma, ma non romanzi, a cui dichiara di non credere, e che, confessa, nemmeno apprezza, sentendoli superati. Suona strano, detto da una donna che ha conosciuto grandi autori come Moravia e Calvino e che è stata inserita anche in quella comunità letteraria che, fino a qualche decennio fa, esisteva ancora e decretava il valore delle nuove leve! Qualche malfidato – e dunque non io – si potrebbe chiedere come mai, essendo ancora viva e in salute Sandra Petrignani, quella comunità non esista più, e perché nessuno si sia preso l’onore-onere di portarne avanti l’eredità. Glissons. La Petrignani si sofferma poi sulla sua centrale esperienza all'interno di un femminismo in cui si è sempre sentita a casa, perfettamente rispecchiata nelle sue battaglie di emancipazione e libertà; racconta dei suoi viaggi e dei suoi incontri, affascinando e temo anche intimidendo il pubblico, al punto che ho quasi il sospetto che l’effetto, dato l’insistere su grandi nomi quasi per accumulazione (credo di averne sentito il maggior numero rispetto a tutti gli incontri), non sia del tutto involontario. Qui, lo ammetto, il malfidato sono io.

A lezione da Borges: il fascino della letteratura inglese


La biblioteca inglese
di Jorge Louis Borges

Einaudi, 2006

332 pp.
€ 24,00


Attendiamo il periodo estivo, distensivo e dedicato al riposo, per approfittarne e riempirne le ore calde o le piacevoli sere d'estate con tutte le letture che magari durante l'anno non siamo riusciti ad intraprendere. Tra queste, se non altro per me, occupa un posto privilegiato La biblioteca inglese di J. L. Borges che ci riporta idealmente alle aule dello Studium.
Questo testo nasce come la trascrizione di venticinque lezioni di letteratura inglese tenute da Borges all'Università di Buenos Aires nel 1966. Fin qui niente di particolare. Non è la prima volta che mi accosto ad un testo formato da appunti presi durante le lezioni o di lezioni sbobinate dagli alunni, come in questo caso. In molti, durante gli anni universitari abbiamo studiato o lavorato allo stesso modo.
Accostarsi a La biblioteca inglese significa scoprire un valore particolare. Primo fra tutti è scoprire il prof. Borges ed il suo spirito da insegnante.

Marthe, Sabine e Judith: tre sorelle per una Storia

Le sorelle Brelan
di François Vallejo

Traduzione di Cristina Vezzaro
Del Vecchio Editore, 2012


pp. 272
€ 14,50


"Tre, erano tre e condividevano tre abitudini: intendersi con uno sguardo, tacere nello stesso istante e parlare tutte insieme" (p. 9): è questo il motivo ricorrente de Le sorelle Brelan di François Vallejo, edito da Del Vecchio Editore.
Marthe, Sabine e Judith sono le tre sorelle Brelan che, poco dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, perdono il padre, Luis Brelan, architetto parigino allievo di Le Corbusier, rimanendo orfane. Marthe, appena ventunenne, riesce ad ottenere la custodia delle due sorelle minori, rispettivamente di 17 e 13 anni, nonostante il parere contrario del Consiglio di Famiglia. Da questo momento, contro vento e marea, le tre sorelle iniziano a cavarsela da sole, potendo contare sull'appoggio incondizionato di nonna Madeleine. Tra lavori, malattie e delusioni riusciranno a restare sempre unite e ad andare avanti sulle loro gambe in un'Europa divisa in due dalla cortina di ferro e in un momento storico in cui il ruolo della donna nella società cambia radicalmente.

I punti di forza di questo romanzo sono due: il primo, la costruzione eccezionale dei personaggi; il secondo il modo in cui la storia delle sorelle Brelan si intreccia con la Storia recente del nostro continente.
Marthe, Sabine e Judith sono tre personaggi caratterizzati fin dalle prime pagine. Marthe, responsabile e riflessiva; Sabine, ambiziosa e acuta; Judith, ribelle e idealista. Tuttavia, le tre ragazze della prima pagina vengono modellate dalla penna di Vallejo fino a farle diventare donne. Il lettore ne scoprirà le debolezze e i punti di forza; quelli che sembravano pregi in gioventù saranno difetti in vecchiaia, e viceversa. Dagli anni '40 agli anni '80, le tre sorelle solcano la storia europea crescendo e maturando, fino ad essere tre donne perfettamente padrone del loro destino. E la Storia è molto di più che semplice scenario: insieme tutte e tre assistono alla costruzione del muro di Berlino e, sempre insieme, alla sua caduta. Grazie al lavoro di Sabine presso lo studio che era del padre sono protagoniste del boom edilizio parigino degli anni '50-'60, ma anche di tutte le tensioni sociali che il benessere economico ha comportato, per mezzo di Judith e delle sue utopie. Nella Storia e con la Storia vengono narrate le storie delle sorelle Brelan, con una prosa fluida, tradita in alcuni frangenti da una traduzione che si fa macchinosa, ma che in parte restituisce la convergenza tra lo scorrere del tempo storico e di quello narrativo. Il discorso indiretto libero fa della narrazione un tutt'uno indistinto; la suddivisione in capitoli è quasi una cortesia verso il lettore, ma in realtà non sarebbe necessaria. Vallejo usa con abilità questa tecnica narrativa, anche se siamo lontani dalle vette di scrittori maestri nel genere, come Alejo Carpentier o Mario Vargas Llosa.

Editori in ascolto - Edizioni Noubs


Editori in Ascolto 
--- intervista a Massimo Pamio di Edizioni Noubs ---


Quando è nata la vostra casa editrice e con quali obiettivi?
La nostra casa editrice è nata da un’idea bifronte di Lorenzo Leporati, mistico poeta e amante dell’artigianalità del prodotto libro e dall’altra per caso schizofrenica di Massimo Pamio, la cui vocazione è ancora oscura ai più. L’obiettivo comune era quello di fare libri preziosi fatti a mano destinati a poche persone, eremiti, bibliofili, amanti del bianco cesellato e sporcato da poche parole. Insomma, l’obiettivo era il silenzio e il mutismo di fronte al verificarsi di piccoli miracoli amanuensi. I primi libri sono stati generati grazie al coinvolgimento di parenti e amici indotti a cucire sedicesimi in carta pregiata, a incollarli a copertine che sembravano cartapecora, rugose, dove si scrivevano i titoli a mano, o col sangue, perché l’inchiostro non aderiva su quella superficie. C’era l’idea di Lorenzo di acquistare un tornio del settecento, per stampare.

Come è composta la vostra redazione? Accettate curricula?



La nostra redazione è fatta attualmente di persone che si divertono e amano la lettura, persone colte e vivaci, che accettano quelli che sono come loro. Curricula dettagliati.

Qual è stata la vostra prima collana? E il primo autore?
Le edizioni Noubs sono nate con una piccola raccolta di poesia di Stefano Stringini, Rimario d’oltremura, con prefazione di Francesco Iengo. La prima collana è stata Acumina, il cui primo numero è stato “Poesie scelte” di Mario Luzi, a cura di Massimo Pamio, con una poesia inedita scritta a mano e donata a noi dalla generosità santa di Mario Luzi.

L'isola delle storie: il secondo giorno a Gavoi

Cronaca del secondo giorno 

a cura di Gabriele Tanda


Paesaggio gavoese

Evelina Santangelo e Alessandra Casella
 Sabato mattina a dare il buon giorno al popolo del Festival ci sono le parole di Tonino Guerra, che verrà omaggiato con varie letture durante tutta la giornata. Subito dopo è il momento dell'incontro tra Alessandra Casella e Evelina Santangelo. La scrittrice siciliana, editor per Einaudi e insegnante alla Scuola Holden, apre con una riflessione sulla quotidianità del fatto mafioso: quando il diritto diventa un favore, la logica mafiosa sta vincendo sulla civiltà e sulla giustizia, quando l’adattarsi a questo modo di vivere vince sulla voglia di cambiamento, la mafia sta vincendo sulla giovinezza e sulla speranza; una riflessione che la Casella ritrova così perfettamente rappresentata nell’ultimo libro della Santangelo – Cose da pazzi – da spingersi a consigliarlo come lettura scolastica. La Santangelo, del resto, sa bene di che cosa parla: ha vissuto la Palermo del ’92, dell’esplosione della rabbia antimafiosa. Ma la scelta del tema non è stata affatto scontata o naturale, tutt'altro: il suo è stato un avvicinamento lento e ben meditato, tant'è che proprio Cose da pazzi è il primo romanzo ambientato nella sua terra natale. Dopo il preambolo, la Casella inserisce un tema molto dibattuto nel campo letterario, cioè l’uso e l’utilità delle scuole di scrittura. La Santangelo, a scanso di pregiudizi, è molto netta: se la scrittura è una guerra contro l’oscurità, le scuole di scrittura servono ad avere coscienza e pratica di tutti gli strumenti che possono essere utili in questa battaglia. Non per niente reputa l'editing l’atto di più alta scrittura, soprattutto l'editing “subito”. Il pregiudizio diffuso è, si sa, che la scrittura sia solo una questione di talento, e che lo stile sia un suo frutto. Ma come non ammettere che la scrittura è imperniata di tecnica, e che senza tecnica non si potrebbe nemmeno scrivere un articolo giornalistico? Il rischio, che la stessa Santangelo ammette, è però che le scuole (le peggiori) diano ai propri frequentatori una sorta di “impronta dogmatica”. Rimane così da chiedersi: sono meglio migliaia di scrittori mediocri che sbagliano le basi della tecnica narrativa oppure migliaia di scrittori mediocri che però almeno non fanno strabuzzare gli occhi per le storpiature della lingua? Personalmente mi schiero a favore delle scuole di scrittura: il talento – se di talento si tratta – sa superare le regole e le influenze (che tutti bene o male seguono, Bloom docet); ma se il talento non c'è, se non altro le case editrici non saranno più intasate di odioso e spesso inutile lavoro.

Julie Otsuka, "Venivamo tutte per mare"


Venivamo tutte per mare
di Julie Otsuka
traduzione di Silvia Pareschi 
Bollati Boringhieri, Torino 2012 


pp. 142 
€ 13,00; e-book: € 4,99.





La “trama” di questo splendido “romanzo” (le virgolette vorrebbero segnalare che le due parole così comuni vanno intese in un senso un po’ diverso dal solito – anche perché diverse e insolite sono le soluzioni formali adottate dall’autrice) rievoca l’immigrazione giapponese negli Stati Uniti durante gli anni Venti del secolo scorso, la lenta e dolorosa reciproca assuefazione degli stranieri e degli stanziali e l’improvvisa deportazione in massa dei primi a seguito del proditorio attacco di Pearl Harbour (1941).


Dal punto di vista letterario, Julie Otsuka offre soluzioni espressive se non inedite in assoluto, certo molto originali e magistralmente padroneggiate, ben impastate all’importanza dell’argomento storico, i cui temi, in realtà, si rivelano di bruciantissima e eterna attualità.


Il punto di vista, innanzitutto, è quello di un gruppo di donne che vanno a raggiungere i rispettivi futuri mariti in America. Per la grammatica, un noi, per la narratologia, un narratore intra-diegetico. Ma né la grammatica, né (forse ancor meno) la narratologia possono dar ragione della plausibilità e della forza comunicativa del punto di vista scelto dall’autrice. Chi parla, chi racconta la storia (il titolare dell’enunciazione nella finzione romanzesca) è una sorta di prisma indefinitivamente sfaccettato, del quale ogni spicchio, pur mantenendo la sua virtuale individualità, è strettamente collegato all’insieme, agli altri individui che lo compongono. La voce di ogni faccia del prisma è, al contempo, individuale e collettiva: non si dà individuo senza collettivo e collettivo senza individuo. Per la prosa di Otsuka, s’è parlato, a ragione, di potere ipnotico. Ma è un potere, una capacità incantatoria, o più semplicemente, un ritmo in grado di cullare e insieme tener desta l’attenzione del lettore che ha precise rispondenze sul piano espressivo. Per il punto di vista si tratta di una staffetta tra le diverse voci, tutte credibili, pur nella diversità e nell’individualità d’ognuna. Può capitare, se non si ha fretta e se si ha una certa propensione alla contemplazione, di incantarsi di fronte a lunghe file di formiche: una specie d’individuo collettivo formato da singole creature che sembrano continuamente rinnovarsi. Ecco, le voci che Otsuka inanella e rinnova senza sosta, su un tema impegnativo e fornendo loro uno spessore umano di non comune valore, possono ricordare quell’immagine. I testimoni di quella staffetta sono grammaticali e retorici. L’uso della congiunzione “e” dopo la virgola che chiude la porzione linguistica di una delle voci e riapre immediatamente all’altra (con una leggera infrazione grammaticale che è spesso il tocco di genio di uno scrittore) e l’ampio ricorso all’anafora (spesso a prefisso zero, ossia senza l’effettiva ripetizione della parola o del gruppo di parole che la determinano, quasi si trattasse di un verso isometrico e isoritmico). Nel ricorso a questa figura, connessa ad una sintassi fortemente paratattica, frasi brevi e tambureggianti, può nascere talvolta la sensazione di un eccesso, come di chi, avendo trovato la formula giusta, ci si crogiola un po’, arrivando ai limiti dell’affettazione (ma, come mi è già capitato di scrivere, non si dà buonlavoro o capolavoro senza elementi irrisolti o leggermente stridenti).

L'isola delle storie: prima giornata a Gavoi



Cronaca della prima giornata 

a cura di Gabriele Tanda

Michela Murgia dà il buon giorno al balcone di S'anatana e susu


Tutto è iniziato con la partita Italia-Germania e i due gol di Balotelli: il primo tempo vissuto tra la gente di Gavoi, dove i più sfegatati sono gli ex-emigrati che in Germania hanno subito sospetto e pregiudizio, il secondo nei giardini di Binzadonnia tra i lettori e i letterati. La vittoria – anzi, meglio: una vittoria qualsiasi – contro la Germania è sempre un lieto evento, quasi una rinascita, che alleggerisce da una sindrome di inferiorità storica pari solo a quella dei tedeschi verso il nostro passato, e che ci fa ben sperare per il futuro in un periodo di crisi come questo: abbiamo o no battuto la locomotiva d’Europa? Ah, potere delle illusioni! Una vittoria, dicevo, condivisa da letterati, intellettuali e “popolo” dell’Isola delle Storie: da tutti, insomma, tranne che dai numerosi tedeschi presenti e teutonicamente composti nel loro dolore. Una scelta inevitabile, ma significativa, quella di proiettare il match proprio prima dell’inaugurazione, nell’intento di evitare lo snobismo d’antan ad una rassegna che ha avuto in ogni edizione il merito di dare voce alle più diverse espressioni della cultura letteraria. Perché il Festival di Gavoi, è bene dirlo, non è mai stato il rifugio di una cultura di nicchia, ma fin dalle origini ha ospitato dalle bookstar di chiara fama agli esordienti sconosciuti, dagli scrittori engagé a quelli comici, con un’ampiezza di offerta che ha sempre dato la possibilità di confrontarsi con tutto il panorama letterario attuale e che ha rappresentato, a mio parere, uno dei suoi maggiori pregi.
Pittau, il trombettiere di Manara e Riondino
David Riondino durante il reading
A vittoria acquisita e dopo i preamboli iniziali – con Fois grande assente giustificato: era a Vicenza per il Campiello – sale sul palco David Riondino, che con la sua consueta capacità affabulatoria inizia a narrare la storia di Giovanni Martini, trombettista di Sala Consilina che suonò per Garibaldi e Custer. Giovanni Martini è il tipico italiano cialtrone, donnaiolo e dal talento aguzzo, migrante per necessità più che per diletto, che passa da una peripezia all’altra non disdegnando all'occasione di riscaldare le lenzuola di ben disposte fanciulle. La vicenda, che prende spunto da una storia vera, vuole essere, a sentire Riondino, «un monumento al musico ignoto alla base del nostro sentire musicale contemporaneo». Il reading, accompagnato dalla tromba di Riccardo Pittau, ha come sfondo le tavole di Milo Manara, che illustrano il graphic novel alla base del monologo (Il trombettiere, appunto). Le immagini si susseguono lentamente seguendo il corso delle parole, creando fin da subito un'atmosfera coinvolgente grazie alla teatralità delle sovrapposizioni. Ma l’ora si fa tarda, le persone iniziano a lasciare il giardino, e Riondino è costretto a correre un po' e a buttare via qualche battuta; poco male: lo spettacolo, davvero godibile, ormai ha dato il suo meglio.
Michael Braun e Peter Probst
Il venerdì, al risveglio del Festival, il balcone di S’antana ‘e susu accoglie Peter Probst, scrittore tedesco di noir che grazie ad una residenza d’autore organizzata in collaborazione con il Goethe Institut, ha vissuto per sei settimane a Gavoi. L’incontro-intervista non può non rendere conto di questa esperienza. «Il periodo è stato molto positivo – ammette l’autore, che sembra sincero e non mosso da piaggeria – soprattutto per due aspetti: il senso di comunità dei gavoesi e il loro modo di vivere il tempo». Chi ha dimestichezza di Barbagia sa che il controllo sociale è sensibile, ma anche che l’ospitalità e il gusto di stare insieme non mancano affatto: c’è il piacere di “offrire un giro” agli amici, di fare gruppo e stare in allegria. Tutto molto diverso rispetto alla provincia bavarese, più silenziosa e composta: nessuno sa della vita del proprio vicino, neanche nei piccoli paesi, e tutti pensano solo al lavoro. Ed è proprio il lavoro il Molok contemporaneo tedesco: «ho riscoperto tempi di meditazione e condivisione al di fuori del pensiero costante di produrre – afferma Probst – che mi hanno arricchito tantissimo». A Gavoi lo scrittore confessa di avere sperimentato la possibilità di convivere con il tempo senza lottarci contro: come quando, concluso un taglio di capelli, gli viene offerto un caffè dal parrucchiere, e al suo rifiuto – deve lavorare, ha da fare e non può prendersi del tempo così – il parrucchiere stesso lo redarguisce: «Sei ancora convinto che il tempo ti appartenga? Quando sei nella mia bottega il tuo tempo appartiene un po’ anche a me». L’incontro, moderato dal giornalista Michael Braun, va lentamente a toccare l’essenza della narrativa probstiana, definibile come un incontro di noir e cattolicesimo. Il delitto serve a svelare i segreti dei personaggi, ma anche a riportare le nefandezze di un’istituzione ecclesiastica che vuole evitare il giudizio dell’opinione pubblica. Il mio dubbio è lecito: fa forse parte, Probst, di quell'ampio gruppo di umanità annebbiato dall’estremismo di qualsiasi segno esso sia? E lo dice uno che la Chiesa non la visita da anni. E invece no: la religione è affrontata dallo scrittore in maniera talmente problematica e priva di schieramenti che ne conseguono in pari misura sia minacce sia inviti a convegni ecclesiastici. Un approccio che a Probst viene dagli studi di teologia, ma anche dalla sua posizione agnostica: un punto di vista interessante, e che purtroppo ancora non ha avuto una traduzione italiana. Piccolo rammarico dell'incotro: non avere un’arma contundente per sedare le due adorabili vecchine sedute dietro di me, che commentavano non so bene se l’incontro – forse a momenti un po' troppo anticlericale – o la peperonata cucinata la sera prima da tzia Mariola – evidentemente troppo speziata.