Pillole d'Autore: Alfonso Gatto, una poesia del (sur)reale



Alfonso Gatto (1909-1976), poeta, narratore e giornalista salernitano, fa da ponte tra una lirica essenzialmente ermetica - Isola (1932) e Morto ai paesi (1934) - e una d'impronta neorealista, di impegno morale e civile. Il trapasso fu molto influenzato dalle vicende della guerra e dalla sua partecipazione nelle fila dalla Resistenza come militante di sinistra. Isola è il testo decisivo per il costituirsi di una «Grammatica ermetica», che verrà definita dal poeta stesso come ricerca di «assolutezza naturale». Il linguaggio è rarefatto e senza tempo, allusivo, tipico di una poetica dell'assenza e dello spazio vuoto, ricco di motivi melodici. In Alfonso Gatto «domina il senso della "bontà" della natura, una passione per le "cose povere", che lo riporta alla memoria dell’infanzia e un antico passato contadino e meridionale: ciò farà convergere la sua poesia spontaneamente e senza sostanziali modificazioni nell’orizzonte del neorealismo» [1].


Edizione di riferimento: Alfonso Gatto, Tutte le poesie, a cura di Silvio Ramat, Mondadori, 2005, pp. 768.



Da Isola (1932)
Plenilunio

«Calore d’esangue notte,
all’onda remota dell’aria
ai suoi vaghi pensieri
l’anima ascolta,
passano i lumi alle terrazze, il cielo...
Il cielo sorge da lontano,
riverbera solitario amore
di mari morti e sereni.
Remoto nel sogno lunare
si spalanca un mattino di vette
e case limpide argentee
sgusciano al cielo
in mondi di tenero fiato.
Deserta in vuoto candore
cheto villaggio d’infanzia
terra del dolce sogno:
azzurri carri di neve
salivano ai monti pallidi
e la notte era un vano chiamare
nell’eco perduta dei morti.
Da Desinenze. 1974-1976 (1977)
Isola 

Avvicinarsi all’isola, a quel soffio
marino ch’è nel lascito del cielo,
e scoprirla di pietra, di silenzio
nell’agrore dell’erba, nel relitto
del lastrico squamato dai suoi scisti:
questo è rabbrividire sul mio nome
improvviso nel monito del vento […]
Da La storia delle vittime. Poesie della Resistenza (1966)
Le vittime

La storia fosse scritta dalle vittime
altro sarebbe, un tempo di minuti,
di formiche incessanti che ripullulano
al nostro soffio e pure ad una ad una
vivide di tenacia, intente d’essere.
Gli inermi che si scostano al passaggio
delle divise chiedono allo sguardo
dei propri occhi la letizia ansiosa
d’essere vinti, il numero che oblia
la sua sabbia infinita nel crepuscolo.
Dei vincitori, ai ruinosi alberghi
del loro oblio, più nulla.
Rimane chi disparve nella sera
dell’opera compiuta, sua la mano
di tutti e il fare che è del fare il tenero
È il nostro soffio che gli crede, il dubbio
di perderlo nel numero, tra noi.

Isabella Corrado

[1] Ferroni Giulio, Profilo storico della letteratura Italiana, II, Milano, 2003.