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Invito alla lettura: la poesia di Anne Sexton

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Bellissima, passionale, economicamente fortunata. Forse non avrebbe ascoltato la poesia che aveva sottopelle, se il suo analista, dopo il primo tentativo di suicidio, non le avesse suggerito di scrivere. Una terapia che è valso il Pulitzer nel 1967 e la fama mondiale, nonché il ruolo di maggiore esponente tra i poeti confessionals americani. Ma neanche la famiglia e le figlie sono bastate a sanare quel turbamento che ha tanto a lungo assillato i giorni e le notti: solo il suicidio ha segnato la fine di una vita tutt’altro che comune, per una donna che ha trovato la propria strada poetica, diversa da tutti i contemporanei e i poeti tradizionali, perché istintiva e di modesta formazione intellettuale.


Questa, in breve, la vita breve ma intensa della poetessa Anne Sexton (1928-1974). La sua esperienza poetica può essere riassunta con le sue stesse parole: «I don’t know what the poem will be and I start out writing and it looks wrong». 


Componenti oniriche, surrealistiche si affacciano in poesie trasognate e angosciate, in cui la metrica è sempre più svincolata dalla concezione tradizionale. E fin da subito la Sexton primeggia in immagini crude e concrete, che nel loro aggrovigliarsi non pacifico tradiscono liricità, quasi loro malgrado. È una realtà brutale quella delle sue poesie, veritiera (o verosimile) a costo di far male, come i tagli netti nella tele di Fontana. Così, i sentimenti stereotipati della società benpensante e borghese degli anni ’60 sono continuamente spogliati della finzione, e denudati, sotto la luce drammaticamente realistica della penna di Anne Sexton.


Sessualità e morte, quasi indissolubilmente legate, si intersecano o si scontrano con la religiosità continuamente agognata, e mai raggiunta. Se molti simboli nelle poesie riportano al cattolicesimo (fatto singolare vista la confessione protestante della poetessa), non è possibile ravvisare una vera fede. O meglio, l’autrice avverte un richiamo metafisico, cui però non riesce mai a rispondere, radicata fortemente alla vita terrena. 
Vita terrena che è oggetto delle sue poesie senza risparmiarsi nulla (e si pensi alle censure etiche ancora tanto vive negli anni ’60): sensualità ed erotismo senza veli, ma anche violenza e complessi edipici mai risolti, per questa poetessa che non rinuncia mai a mettersi in primo piano, come filtro del mondo ma anche come interprete. D’altra parte, l'imprescindibile presenza dell’io-lirico si spiega anche con le mosse autobiografiche della scrittura che, come ho detto, doveva essere una terapia psicanalitica.

Nel 1997, l’editore milanese Crocetti, da sempre attento alle realtà poetiche mondiali, ha riproposto una selezione dei testi di Anne Sexton (a cura di Rosaria Lo Russo, Antonello Satta Centanin e Edoardo Zuccato), dalla raccolta del ’60 To Bedlam and Part Way Back (In manicomio e parziale ritorno) fino alle opere postume The Awful Rowing Toward God (Il tremendo remare verso Dio) e 45 Mercy Street. Vi si trovano testi di capitale importanza, come il bellissimo e disperato poemetto The Double Image (La doppia immagine), in cui la poetessa costruisce versi di una sconcertante crudezza, servendosi di un efficace sistema iterativo e di immagini che restano – quasi icastiche – impresse sulla retina della fantasia collettiva (e proprio per questo diventa impossibile riproporre qui un breve assaggio). 


Ma si incontrano anche (poche) poesie di denuncia sociale, che hanno reso Anne Sexton una proto-femminista. Leggiamo, ad esempio, Housewife, precoce e vivida immagine di un certo modello di donna-moglie:

Some women marry houses.
It’s another kind of skin; 
it has a heart,
a mouth, a liver and bowel movements.
The wall are permanent and pink.
See how she sits on her knees all day,
faithfully washing herself down.
Men enter by force, drawn back like Jonah
into their fleshy mothers.
A woman is her mother.
That’s the main thing.


Tra le poesie scelte, non mancano omaggi alla più celebre raccolta, Love poems (1969), in cui l’amore viene osservato da prospettive sempre cangianti e mutevoli – indefinitamente drammatiche, o provocatorie e sensuali. Vi offro qui l’intensa Us, in cui a una prima strofa prettamente descrittiva segue una seconda strofa dal ritmo incalzante, che prepara e rimanda all’incontro dell’io-lirico e dell’amante:

I was wrapped in black
fur and white fur and
you undid me and then
you placed me in gold light
and then you crowned me,
while snow fell outside
the door in diagonal darts.
While a ten-inch snow
came down like stars
in small calcium fragments,
we were in our bodies
(that room that will bury us)
and you were in my body
(that room that will outlive us)
and at first I rubbed your
feet dry with a towel
because I was your slave
and then you called me princess.
Princess!

Oh then
I stood up in my gold skin
and I beat down the psalms
and I beat down the clothes
and you undid the bridle
and you undid the reins
and I undid the buttons,
the bones, the confusions,
the New England postcards,
the January ten o'clock night,
and we rose up like wheat,
acre after acre of gold,
and we harvested,
we harvested.

Come potete osservare, non vi ho (stranamente) accorpato alcuna traduzione italiana. Se il lavoro dei curatori è senza dubbio encomiabile, non si dica lo stesso della traduzione, in alcuni casi decisamente discutibile: è sempre complesso riprodurre testi poetici in tutti gli aspetti fonici, contenutistici e ritmici, ma qui lo sforzo non sempre è premiato dai risultati. 
Dunque, vi invito ad attraversare la poesia di Anne Sexton direttamente, partendo dalla selezione della Crocetti, ma tenendo l’occhio sul testo originale (e ricorrendo qualora alla traduzione solo per singole parole). Il risultato sarà senza dubbio non solo una lettura indelebile; sarà un'esperienza.



GMG