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Il cantastorie della "postmetropoli"

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Lo sfasciacarrozze
di Riccardo Raimondo
A&B, Bonanno Editore (collana Euterpe), 2009

L’intimità del poeta come cassa di risonanza dell’universo. Il fascino del suono colto nella frenesia della “postmetropoli” che impregna i pori; una nota musicale; un colore vivace impresso sul fondo della retina. Ecco uno dei poli dell’ispirazione di Riccardo Raimondo, giovane poeta siracusano alla sua prima prova con “Lo sfasciacarrozze”. L’attrazione irresistibile per il gioco musicale delle sillabe, la dilatazione dei suoni in un tempo straniato: tutti elementi che si realizzano anche graficamente, sulla pagina bianca. Le poesie di Riccardo sono vere e proprie liriche “Free jazz”:

Gorgogliano i ricordi che dipingo,
come radio free jazz dentro la moca:
sapore di caffè cacao carioca
in schizzi di passato che non stinge.

Da leggere con gli occhi ma anche – soprattutto – ad alta voce: perché il virtuosismo grafico-timbrico del verso non è un divertissement fine a se stesso, ma concorre a dare un senso, un corpo, alla poesia. Quando la caccia alla parola viva – la parola che uccide – si risolve in musica, il percorso del poeta può dirsi completo: e questo si può dire, di certo, per alcune liriche in cui la disinvoltura del poeta è tale da suggerire una lunga, fruttifera auscultazione della propria sensibilità, ma anche la padronanza di mezzi tecnici maneggiati con grazia sorridente e, al contempo, dolente serietà.
L’attività del poeta è un’inesausta indagine su se stesso e sul mondo. Una ricerca che ha il sapore di una continua lotta contro il vuoto, mentre “la condensa è panna, il respiro è affanno”. L’anima si scompone nelle forze opposte che la rendono umana, divisa tra debolezza e forza, tra la consapevolezza del limite e un anelito di grandezza da gridare in maiuscolo:

Facciamola tremare questa vita.
FACCIAMOLA TREMARE!

E ancora indagare l’altrove. “Metafisica” è la tensione verso questo altrove – altrove poetico, amoroso, angelico, divino: attraverso la poesia, volo verso un primigenio stato di purezza, “p u r s e m p r e a s t e n t o!” perché il limite umano è dolorosamente presente.
Un limite innato, ma anche prodotto dalla storia. Il poeta, figlio della crisi e del triste vuoto del Potere, è l’unico cantastorie possibile “sulle macerie del consumo” ove i suoi simili fagocitano senza distinzione vita, ricchezza e lamiera arrugginita. Tale la realtà dello “sfasciacarrozze”, metafora non troppo celata del mondo che definiamo postmoderno.
Mi piace leggere in questi versi, nella mescolanza tra sperimentalismo e riferimenti alla tradizione mitologica, filosofica e poetica occidentale, un futurismo che si nutre di passato, invece di cercare di cancellarlo. Una poesia che gioca con se stessa ma non uccide il chiaro di luna, ma, anzi, vi affida il proprio destino.
Se l’universo è “friabile” (e non è un caso che questo aggettivo ricorra in diversi contesti), tale non è l’io lirico, che sorge tra le macerie vivo e capace di pensare un salto, di iniziare una danza, di intraprendere un viaggio. L’abbiamo detto all’inizio: l’interiorità del poeta è la cassa di risonanza dell’universo. Riccardo Raimondo raccoglie i pezzi di questo mondo di carcasse e ne fa un canto iridescente, a volte cinico ma più spesso intessuto di forza vitale, "m a g n i f i c o a m o r e p e r i s o g n i", dove il languore trasmuta in nostos:

E i tuoi versi sono briciole
di luce da seguire
fino al luogo dove spero d’arrivare,
fino a casa, sempre a casa,
dove io non sono più io,
dove sono nato eppur non ero io
dove l’anima è fiorita:
niente rabbia, immenso cielo: pura vita.


Laura Ingallinella