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Parlando di Gardaland e altri nonluoghi

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L'unico viaggio che ho fatto. Storia di Gardaland e di quello che è successo dopo
di Emmanuela Carbé

Minimum Fax, 2017
pp.111, € 14,00 






Ai miei tempi c'era la canzone di Gardaland che faceva Gardaland, il sogno dei bambini è andare a Gardaland, e che tutti i bambini dotati di un minimo di strategia cantavano in continuazione ai genitori da fine maggio in poi.

Gardaland è un luogo iconico delle infanzie anni '80 e '90. Per amore o per forza, tutti noi, ad un certo punto tra gli otto e il dodici anni, siamo stati in quel posto che evocava la magia dei grandi parchi divertimento oltralpe e oltreoceano e che ci consentiva l'accesso al mondo dei pirati, a quello degli antichi egizi, ci dava la possibilità di provare un simulatore di volo e ci faceva urlare alle discese delle montagne russe. Emmanuela Carbé nel suo ultimo romanzo L'unico viaggio che ho fatto edito per Minimum Fax, ci porta a ripercorrere i viali e la storia del primo grande non- luogo della penisola italiana. 



I nonluoghi, teorizzati dall'antropologo Marc Augé sono spazi di transito, commercio o svago costruiti per un fine specifico dove si cede più al consumismo che non alla reale interazione e relazione con gli altri esseri umani. I parchi divertimento rientrano in pieno in questa tipologia. Gardaland, in questo romanzo che mescola biografia con lo stile del reportage di viaggio, è un nonluogo sfaccettato, dai più livelli, così come ci viene presentato dall'autrice.
La sera prima non dormivo per l'agitazione e immaginavo le cose strabilianti che sarebbero accadute una volta arrivata a Peschiera del Garda, e che facevo questo e quello, ingigantendo le aspettative.
Decidendo di andare in ordine cronologico e partire dall'infanzia, Gardaland, per l'autrice, era un posto magico: una gita che si aspettava con ansia tutto l'anno, che rientrava nelle preghiere serali ed era motivo di vanto con gli amici del quartiere. Gardaland era un livellatore sociale: tutti i bambini, ricchi o poveri, figli di genitori acculturati o meno, avevano come sogno quello di andare a Gardaland: e in genere venivano accontentati. Gardalan era visto quasi come luogo sacro, benedetto persino da Dio che, in risposta alla fede dell'autrice da bambina, aveva fatto costruire l'attrazione dei Corsari.
Guarda che Gardaland non è niente di particolare, ti stuferesti, invece ti potrei portare alla biennale di Venezia, facciamo un bel giretto con il battello, andiamo a vedere il ghetto ebraico, ti porto a vedere i vetri di Murano
La crescita porta ad una svilimento dei luoghi magici dell'infanzia. Con l'arrivo di un fratellino, l'autrice, nonostante le sue resistenze e i tentavi di crescerlo non troppo conforme, sebbene abbastanza "allineato" agli altri, cede e armata di abbonamenti vip ritorna in quel magico luogo della sua infanzia. Tocca a lei non essere allineata questa volta perché tutte le attrazioni che riteneva "ganze" non interessano assolutamente a suo fratello. La Gardaland che lei conosceva si è persa in un mare di altre nuove attrazioni, molto più adrenaliniche, che per lei hanno meno fascino. 
Originario di Legnago, Furini era un piccolo imprenditore che aveva costruito il primo supermercato della zona di Peschiera del Garda. Era musicista e compositore, un ingegnoso raccontatore di fiabe, un Walt Disney nato a Verona e che proprio andando nei parchi Disney, in California, ebbe l'idea di costruire "Gardaland, la città dei divertimenti".
Gardaland, oltre che filo conduttore per la parte biografica dell'autrice, è anche parte della storia italiana. Emmanuela Carbé ricostruisce con accuratezza l'infanzia e la crescita di questa Disneyland nostrana, avvalendosi di ricerche, ricordi personali e interviste. Mescola i dati con le sue impressioni personali in maniera molto morbida, a volte scivolando nei propri eventi biografici per poi rimontare subito sulla carreggiata più storiografica, creando un effetto fluido e per nulla scontato. Circondato da altre icone degli anni '80 e '90 come Bim Bum Bam, Gardaland scandisce i passaggi della storia italiana e personale di un'intera generazione di ragazzi.
La storia del parco si dirama fino alla trattazione di altri non luoghi: l'uscita autostradale di Roncobilaccio Ovest, ormai minacciata dalla variante autostradale. Il villaggio di Consonno, Las Vegas italiana adesso completamente diroccata. L'ex ospedale psichiatrico di Mombello, ora inconsapevole e scenografico set fotografico della sofferenza. Tutti questi reportage, queste narrazioni di posti che parrebbero aver ben poca importanza, svolgono in realtà una funzione che rimane sottesa per tutta la narrazione, ma che è, a mio avviso, la grande summa di questo lavoro: la rivalutazione e il riconoscimento dei nonluoghi.
Fino all'incontro con Tauber noi non avevamo guardato le persone, ci siamo fissati con gli spazi. Ma cos'è lo spazio? Non è la lingua che si abita? E se la lingua è una casa, allora i luoghi sono ciò che è possibilità di narrare. Se è stato narrato, come Las Vegas, è luogo. Se l'hai narrato, come il signor Pierre Dupont alle prese con il bancomat prima di andare in aeroporto, è luogo.
Narrando di questi luoghi, l'autrice li ha liberati dalla definizione di Augé. In alcuni casi, come Roncobilaccio e Consonno, li ha fatti uscire dall'ombra; nel caso di Gardaland l'ha reso un luogo della narrativa e spazio interessante anche per chi, come me, ha sempre destato i parchi divertimento.

Giulia Pretta