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#SpecialeSCUOLA - Il ripetente non va dietro alla lavagna. Il nuovo romanzo di Affinati

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Elogio del ripetente
di Eraldo Affianati
Mondadori, 2013

pp. 130
€ 10

L'insegnante è lo specialista dell'avventura interiore. L'artigiano del tempo. Il mazziere della giovinezza. (p. 25)


Eraldo Affinati si è sempre distinto per essere un professore più aperto alle esigenze degli studenti che all'adesione pedissequa ai programmi ministeriali. E la sua voce si è affermata dentro e fuori da scuola, ora meritando applausi, ora critiche. Una cosa è certa: è riuscito a creare quel dibattito sano che dovrebbe essere alla base di qualsiasi istruzione.
E certamente questa sua nuova prova, Elogio del ripetente, uscita da pochissimi giorni per la collana delle Libellule mondadoriane, farà altrettanto. Non si tratta di un pamphlet arrabbiato e di denuncia fine a sé stessa: è una raccolta di frammenti di esperienza, di sorrisi e scoperte, di frustrazioni ma soprattutto di vita vissuta in classe. Il punto fermo, tra divagazioni, aneddoti e riflessioni, è il ripetente, figura che è rimasta sostanzialmente invariata nella scuola, soprattutto agli occhi di insegnanti rigidi che puntano solo al profitto scolastico, senza andare oltre e indagare sulle ragioni che conducono al menefreghismo verso lo studio. Perché in realtà, se ben accompagnato, «siccome parte da zero, basta poco per fargli compiere un movimento utile» (p. 12). 
Secondo Affinati, «il professore è la guida e lo scolaro quello che lo segue, ma se non restano entrambi per un po' di tempo spalla a spalla di fronte alla cima da scalare, l'insegnamento si trasforma in un contratto da stipulare fra due parti specializzate nei rispettivi ruoli» (p. 32). Mancherebbe, altrimenti, l'aspetto umano di reciproco e perenne arricchimento, ma anche la sfida di riuscire a penetrare oltre i pregiudizi e le difese di tanti ragazzi. 
Questo non significa che l'insegnante debba abbandonare le nozioni; piuttosto, deve riuscire a veicolarle in modo accattivante, per arrivare al dunque. E non sempre l'istruzione è il fine principale: «nelle borgate delle metropoli l'insegnante viene chiamato a ricomporre i frantumi italiani» (p. 53), tra degrado e continua esclusione dalla tradizione culturale. Ogni delusione è un fallimento, e come tale deve essere avvertito, senza deresponsabilizzarsi del proprio compito educativo:
Ogni volta che ne perdi uno, hai l'impressione di un montaggio sospeso, di un chiodo rimasto inutilizzato, come se avessi consegnato un mobile che si romperà presto. Nel caso in cui non ti sentissi in colpa, sarebbe meglio per te cambiare mestiere. Noi forgiamo cittadini: se la società scricchiola, è anche causa nostra. (p.87) 
Sebbene nell'istituto tecnico della periferia romana di Affinati i problemi siano molti, dall'integrazione alla totale demotivazione, fino alla delinquenza giovanile e al problema linguistico, l'entusiasmo è alto. Ed è un entusiasmo che traspare di pagina in pagina: ogni frammento d'esperienza, che Affinati ci regala con stralci dai dialoghi e prosa limpida, è una scheggia di vita scolastica di cui far tesoro. Se i problemi trattati sono sulla bocca di tutti, le soluzioni solitamente latitano: non qui. Le proposte di Affinati, calate in situazione, non suggeriscono un metodo, ma un approccio: ascoltare i ragazzi e capire come raggiungerli e come portare a loro la cultura. 
Un libro che dovrebbero leggere studenti, insegnanti, aspiranti insegnanti e chi pensa che la scuola ormai abbia perso valore. Ah, certo: e chi lavora al Ministero dell'Istruzione dovrebbe tenere questo libretto nel primo cassetto delle loro scrivanie, per ricordarsi più spesso cos'è la scuola vera

Gloria M. Ghioni