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#ilSalotto: "La piramide del caffè", intervista a Nicola Lecca

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Salinger, secondo un aforisma ormai usurato, diceva che, quando un libro ti è piaciuto, vorresti essere amico dell’autore per potergli fare tutte le tue domande. Su CriticaLetteraria potremo sentire le risposte di Nicola Lecca, autore del romanzo La piramide del caffè (Mondadori, 2013).

Buongiorno Nicola. Partiamo subito con le domande. Mi è capitata sotto gli occhi la recensione fatta sul suo ultimo lavoro apparsa sul Sole 24ore in cui La piramide del caffè viene definita in tre modi: romanzo sociale, romanzo di formazione, fiaba contemporanea. Secondo lei sono giuste queste classificazioni? Crede nelle “etichette” applicate alle opere letterarie?
Sono particolarmente legato a quella recensione. Mi ha regalato molta emozione. Di certo La Piramide del caffè è una fiaba contemporanea, ed è anche un romanzo sociale e di formazione. Il critico Roberto Carnero parla anche ti "toni magico-realistici". Ecco, questa è forse la definizione cui mi sento più legato.

Lei dipinge un mondo del lavoro estremamente desolante: regole fisse, struttura gerarchica solida, poco spazio all’inventiva. Imi, il protagonista del suo ultimo lavoro, si ritrova nei guai perché è capace di fare un cappuccino più buono di quello fatto dagli altri e ciò lo porta fuori dagli standard di conformità. A lei è mai capitato di avere a che fare con un modo del lavoro simile?
Potrebbe sembrare la variante alla classica “Il suo lavoro ha spunti autobiografici?”. Ho descritto in prima persona l'aborto di una donna, ho raccontato l'anoressia senza averla mai sofferta. Ho descritto la vita dei sordomuti potendo sentire e parlare. Raccontare è il mio mestiere: sono un artigiano della parola. Creo storie. Non faccio il resoconto della mia vita. Sarebbe un esercizio narcisistico poco utile al lettore. E, mi creda, un'esperienza piuttosto noiosa....

Domanda un po’ provocatoria. Immagino sia inevitabile affezionarsi ai propri personaggi e voler fare delle preferenze è come trovare un proprio figlio più simpatico dell’altro. Però, dovendo scegliere, il personaggio preferito da lei creato (in questo lavoro o nei precedenti)?
Direi di si è, come chiedere "Vuoi più bene a mamma o a babbo?". E' una domanda che non si fa. Anche perché è doloroso rispondere. Posso dirle con onestà di aver lavorato a tutti i personaggi con la tessa cura e dedizione, immaginando a lungo le loro vite nel tentativo di renderle reali e veritiere. Seducenti per il lettore e, spero, indimenticabili.

Ammetto che mi ha molto colpito il personaggio di Margaret Marshall, la scrittrice e vincitrice di un Nobel che dopo aver ricevuto il premio sceglie l’isolamento, una vera e propria torre eburnea, e non riesce più a comporre nulla. Secondo lei è questa la posizione che il letterato deve ricoprire? Oppure ha un ruolo e delle responsabilità nei confronti del mondo?
Margaret Marshall risponde molto bene a questa domanda nel romanzo. Non trova? 
- La verità è che tu vuoi farmi andare in quella giungla di pazzi vestita come una deficiente pur di guadagnare un sacco di soldi. Ti interessa soltanto di questo: non te ne frega niente di me, della mia dignità (...)
Gli altri scrittori non sono come lei: la loro bulimia di fama e protagonismo li porta a girare il mondo e a presentare le loro opere ovunque: quasi fossero venditori ambulanti, piazzisti di aspirapolvere o magari strilloni da fiera intenti a dimostrare alle massaie l’efficacia di spremiagrumi e frullatori (...) Margaret non è così: lei ama stare nell’ombra. Gli altri scrittori appaiono di continuo sulla stampa: esperti di tutto e di niente, a commentare con la medesima autorevolezza un’autobomba esplosa in centro, i vincitori degli Oscar e un’improvvisa scossa di terremoto registrata sull’isola di Jersey. Margaret no. Lei odia rendere pubblica l’intimità del suo pensiero. 
Io non sarei mai capace di altrettanta chiarezza!

L’arrivo di Imi a Londra è improntato sulla meraviglia. Dietro lo schermo di un’infanzia appena trascorsa, la metropoli gli appare favolosa e bellissima. Leggo che lei ha viaggiato e viaggia moltissimo. Da viaggiatore come si comporta quanto arriva in un posto nuovo? Qual è la prima cosa che fa?
Svuoto la mente e apro il cuore. Assorbo come una spugna. Imparo.

Io cerco subito una libreria e una sala da tè. Collegandomi in modo trasversale al tema del viaggio, avrebbe voglia di raccontarci del progetto Literaturexpress? Nel 2000 è stato scelto come rappresentante italiano per questa “transEuropa” promossa dall’Istituto di Cultura di Berlino, da Lisbona a Mosca su un treno che raccoglieva 100 autori di 43 paesi diversi. Due mesi di viaggio a contatto con i grandi della letteratura mondiale. Ci racconta qualcosa?
E’ stato estremamente faticoso, ma avevo 24 anni. Come non citare l’indimenticabile incontro con Saramago? E poi il discorso al Parlamento Europeo, i ricevimenti con i Capi di Stato, le lezioni nelle Università europee sono tutti tasselli che hanno contribuito molto alla mia formazione umana e professionale.

Ogni volta che conosco o incontro qualcuno di nuovo, scrittore o non scrittore, chiedo sempre di consigliarmi un libro; costruisco così una libreria piuttosto eterogenea. Posso chiedere anche a lei un titolo per CriticaLetteraria?
Senza dubbio tutti i libri di Stig Dagerman: il grande sottovalutato del Novecento. Un genio.

Grazie mille per la collaborazione e in bocca al lupo per la promozione del romanzo! Per scoprire in modo simpatico e un po’ diverso La piramide del caffè sbirciate su questa pagina Pinterest: Le dieci buone ragioni per leggere La piramide del caffè.

intervista a cura di Giulia Pretta

Foto per concessione della casa editrice