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"Le righe nere della vendetta" di Tiziana Silvestrin

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Le righe nere della vendetta
di Tiziana Silvestrin
Scrittura & Scritture

Pag 295
14,50



Ritorna Biagio dell’Orso, già protagonista de “I leoni d’Europa”, intraprendente capitano di giustizia dal piglio moderno, in un giallo storico ambientato nel cinquecento fra Mantova, Venezia e Milano. Biagio deve investigare sulla morte del prefetto delle fabbriche Oreste Vannocci, ucciso da una camicia avvelenata nella sua casa. Indagando sull’omicidio, e cercando contemporaneamente di salvare la giovane Lucilla, esperta di erbe e medicamenti, dalle grinfie del crudele e lussurioso Inquisitore Giulio Doffi, Biagio, per il quale
prudenza era parola che non amava molto, il suo significato gli sembrava troppo simile a quello di vigliaccheria”
sarà costretto a scavare nel passato del famoso architetto Giulio Romano, allievo di Raffaello Sanzio,  attivo alla corte dei Gonzaga circa sessanta anni prima,  e autore di numerose ed imponenti opere, come il celebre palazzo Te. La vicenda, quindi, si snoda in due blocchi distinti e paralleli, fra il 1524 e il 1585, con indizi che collegano gli avvenimenti, per poi accumularsi, sovrapporsi e confluire nel finale a sorpresa.
Il romanzo ha tutte le caratteristiche del giallo storico e non disattende le aspettative
degli amanti del genere, mescolando personaggi di fantasia con altri realmente vissuti, della portata, solo per fare qualche esempio,  di Baldassarre Castiglione, Isabella d’Este, Federico Gonzaga, etc.
Se la parte avvincente è quella strettamente poliziesca - che  possiede, tuttavia, un tono forse un po’ troppo disinvolto e moderno - l’atmosfera più riuscita è fornita dalla ricostruzione storica e d’ambiente, accurata e didascalica, frutto di minuziose ricerche e sedute in archivio dell’autrice.
Oltre Biagio dell’Orso, Lucilla, il cupo Giulio Doffi - topos dell’inquisitore ammaliato dalla presunta strega cui dà la caccia – oltre il boia Pedron, i tenebrosi domenicani, Omero, custode della lugubre chiesa frequentata da lebbrosi, o il medico all’avanguardia Samuele, oltre questa folla di personaggi pittoreschi e stereotipati, protagonista assoluta è la Mantova rinascimentale - più ancora di Venezia o della Firenze medicea - con le botteghe degli artisti, le opere del Mantegna, i lazzaretti, il tribunale dell’Inquisizione, i conventi, le farmacie degli speziali, le taverne, le “stufe” dove si andava per sudare.
L’arte fa da filo conduttore a tutta la storia, in una profusione di architetture, scorci, vedute, dipinti, in una galleria museale che ci accompagna pagina dopo pagina. È come se i personaggi storici balzassero fuori dai ritratti, animandosi all’improvviso, per raccontarci le loro avventure dal vivo, con i tratti fisici in evidenza e i costumi d’epoca indosso.
Le scene hanno un buon impatto visivo, sono ben disegnate, narrative e, ovviamente, pittoriche. Lo stile è lineare, una lingua al grado zero della comunicazione, senza connotazioni particolari o poetiche, ma funzionale, aderente alla sostanza e con poche sbavature.   
     
Patrizia Poli