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Una cosa divertente che non farò mai più

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Una cosa divertente che non farò mai più
di David Foster Wallace
Minimum Fax, Roma 2010

Con un omaggio di Edoardo Nesi
e l'introduzione di Colin Harrison (caposervizio della rivista Harper's che commissionò originariamente il pezzo a Wallace)
Prima edizione: 1998


Permettetemi una premessa aneddottica. La scoperta di questo libro è avvenuta per caso: un'amica che, di ritorno dalla mia prima crociera, mi dice: "Se solo l'avessi saputo, ti avrei consigliato un libro da portarti in viaggio!". Il libro era Una cosa divertente che non farò mai più - sull'amica, meglio mantenere la privacy. Ma questo suggerimento è bastato a presentarmi un titolo geniale, ossimorico o antitetico, ancora non lo sapevo. Alla solita libreria di fiducia ho trovato l'ultima copia, che ho subito iniziato mentre attendevo il mio turno in un ufficio afoso e irrespirabile (proprio così, non era l'aria a essere irrespirabile, proprio l'intero ufficio con la sua atmosfera pesante da pre-ferie). Bene, le circostanze non sembravano le più indicate per cominciare un libro di un autore da me conosciuto solo di fama, ma la divertente introduzione di Colin Harrison, scritta nel 2008 (già dopo il tragico suicidio di Wallace), prepara la lettura e aumenta le aspettative. Aspettative che - magicamente! - non vengono disattese.

Formalmente siamo di fronte a un saggio, una sorta di reportage di una crociera sulla "meganave Nadir" (cito testualmente) che accompagna migliaia di turisti all'anno tra le isole caraibiche. A Wallace, scettico e refrattario a una simile tipologia di viaggio, viene chiesto di compiere questa settimana marina, e di annotare liberamente (carta bianca, ormai Wallace era già uno scrittore affermato e osannato da critica e pubblico) i suoi pensieri e gli avvenimenti. Una sorta di diario di bordo, direte voi. Sì, ma cosa può essere un diario di bordo nel Duemila, se non una demistificazione del genere tradizionale, e una pungente e continua presa di coscienza dell'ipocrisia contemporanea? Ma non crediate che Wallace punti il dito contro questo o quello indiscriminatamente: non si fanno polemiche aprioristiche; lo scrittore prende parte alla vita di crociera (per quanto glielo permetta la sua indole riservata, al limite dell'asocialità), e così entra a sua volta nel meccanismo demoniaco del "divertimento per forza" (è ossimorico, lo so), unico credo della compagnia navale.
Dettagli grotteschi e contraddittori sono alternati a momenti di rara delicatezza, poco dopo negati da un'altra dubbia scoperta, e così via, in un avvicendarsi di stati umorali e di sorrisi amari. Tra le parti più godibili, ricordo le numerose note a piè di pagina e le incidentali o parentetiche: Wallace fa un incredibile uso del paratesto (ovvero note, titoli, parentesi, ecc.), riservandovi episodi tangenti ma non fondamentali, scene imbarazzanti che giocosamente nasconde in corpo minore, confessioni e autocommenti,... Ne emerge tutta la capacità di dosare autoironia e critica (talvolta autocritica) in una pagina densa, scritta benissimo e tradotta altrettanto bene (ma prendetevi la briga di dare uno sguardo all'originale).

Appena terminato il libro, non ho potuto evitarmi una buona dose di egoistico patetismo, pensando a tutti i libri che Wallace avrebbe scritto, se solo quel 12 settembre 2008 non avesse scelto la morte.

GMG