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"Tennis Partner" di Abraham Verghese: quando la vita ci travolge

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Tennis Partner 
di Abraham Verghese 
Neri Pozza, novembre 2025 

Traduzione di Luigi Maria Sponzilli 

pp. 415 
€ 21,00 (cartaceo) 
€ 9,99 (ebook) 

Ho cercato sul dizionario di lingua italiana un aggettivo per descrivere al meglio la scrittura di Abraham Verghese nel suo lavoro Tennis Partner. Verboso non mi sembra adeguato, e così nemmeno prolisso o ridondante: tutti attributi negativi per indicare un pericolo di logorrea insopportabile che qui non si ravvisa. Dettagliato, non è sufficiente. È vero che nelle sue storie inserisce una notevole quantità di particolari, fisici o caratteriali dei suoi personaggi, di luci e ombre degli ambienti, tecnici della disciplina scientifica. Tuttavia, ridursi a questo non permette di illuminare la capacità dell'autore di portare il lettore con sé nelle sue narrazioni. Quindi, alla fine, ho lasciato perdere la ricerca. Rende molto di più leggerlo e capire sulla propria pelle di cosa sto parlando. 

Nuova uscita per Neri Pozza dopo i successi de Il patto dell'acqua (2023) e La porta delle lacrime (2024), Tennis Partner – già noto in America dal 1999 – racconta una storia vera. È il memoir dell'amicizia tra Verghese stesso e un suo specializzando, David Smith, che si esprime inizialmente sul campo da tennis della città di El Paso, poi in ospedale e nella vita di tutti i giorni. David è un ex tennista professionista dal passato misterioso e dal presente inquieto, che lotta per uscire da una tossicodipendenza a intermittenza. Reinserito nell'ultimo anno di specializzazione in medicina, dopo una ricaduta e una conseguente riabilitazione, David si aggira per l'ospedale ignaro di stare per trovare un mentore e un amico in Verghese. Ma più che la medicina, all'inizio, a unirli è il tennis. Un appassionato da un lato, come il nostro scrittore, e un ex tennista come Smith si incontrano sul campo, che ci sia il sole o la pioggia, che sia giorno o sera. 

Il tennis è una via di fuga per entrambi. Verghese è nel mezzo di una tempesta familiare, che ben presto si trasformerà in un divorzio e un trasloco, e David sente di camminare nel mondo come sulle uova dopo essere uscito dal centro di recupero. È così che il tennis diventa in questo libro una metafora della vita: cimentarsi in questo sport non è altro che mandare la pallina dall'altra parte del campo, e anche la vita non è che un tentativo di andare avanti, un passo alla volta. È il punto di vista narrativo di Verghese che incorpora questa massima e che la esprime con uno stile sempre sobrio e puntuale. Non ci sono eccessive reazioni, esagerazioni di sorta, nemmeno quando lui stesso si ritrova in una casa vuota, senza più una famiglia a tenerlo caldo o quando osserva il suo amico in difficoltà. La sua prospettiva come narratore interno è sempre clinica, ma mai fredda o distaccata. 

Se vogliamo, è il "difetto" di essere un medico, e questo Verghese lo spiega spesso e volentieri in Tennis Partner. Occorre esaminare visivamente chi si ha davanti, proprio come fa un dottore, e poi coinvolgere gli altri sensi. Un buon olfatto, per esempio, è una risorsa se lo si usa per rintracciare segni di malattia o disturbo. Ognuno di noi, preso in un determinato momento, odora di qualcosa che poi, alla fine, ci accomuna, oppure si mostra con i segni in volto di un problema, un dilemma che ci attanaglia. Il medico osserva e prende nota, analizza e solo alla fine compone una diagnosi. Verghese adotta la tecnica scientifica per tutto: nel suo lavoro, nel rapporto con David, nel tennis e anche nella scrittura, che per questo è così precisa. Leggere Tennis Partner, però, non è come leggere un trattato medico. Anche se all'interno elenca pazienti ammalati, morbi e cure, l'autore sa che è a un'altra capacità che deve fare appello. Non si tratta soltanto di essere un dottore; quando si decide di scrivere una storia, bisogna lavorare a favore di trama. Per questo, Verghese pone l'accento su molti passaggi e bruschi avvenimenti utilizzandoli come indizi per quando avverrà il punto di rottura. Perché, sì, in un romanzo o in un memoir che sia, il punto di rottura dev'esserci. 

Se giocare a tennis non è nulla di più che rimandare la pallina all'avversario, la medicina è il suo contraltare sfidante. Con il tennis David e Abraham si sfogano delle frustrazioni che immagazzinano sul posto di lavoro; il tennis scarica energie, le corsie d'ospedale sono un coacervo di pressioni. Per David lavorare in ospedale è complesso, soprattutto quando incontra pazienti tossicodipendenti e affetti da AIDS per l'uso di sostanze. El Paso sembra una tentazione continua, ma non solo per prostitute ed ex galeotti, perché anche i più insospettabili sono prede delle sostanze stupefacenti. David, infatti, è solo uno dei tanti dottori che frequentano o hanno frequentato comunità di recupero per dipendenze. Se sulle prime ci si può stupire, le spiegazioni di Verghese a fine libro ci aprono gli occhi sulla condizione lavorativa e sulle pressioni che i medici subiscono. «La vergogna dice: "Io sono l'errore", mentre il senso di colpa dice: "Io ho commesso un errore". Tu hai commesso un errore, ma non sei un errore» (p. 12): molti di loro provano vergogna e si identificano con l'errore, che spesso non è che la necessità di uno stimolo diverso, correndo il rischio di rimanere soli. 

La solitudine è una tematica che, sebbene minore, emerge ugualmente in Tennis Partner. Ognuno di noi è solo, e un medico lo è un po' di più: questo Verghese lo dice chiaramente e lo accoglie con accettazione. La sua riservatezza e l'occhio clinico agiscono anche in questo caso. Tuttavia, non tutti sono come lui. David, per esempio, viene affetto dalla solitudine; non sa come difendersi dalla tristezza e dall'inevitabilità che ne derivano. La solitudine è una condizione necessaria, se si vuole rimanere in questa vita. Nulla possono un medico, per quanto esperto come Verghese, né i programmi di recupero, se si decide di mettere un freno alla propria esistenza. Tennis Partner sembra un viaggio in tondo, un rituale ciclico fatto di errori e riparazioni, di sfoghi e frustrazioni, in cui i volti cambiano ma rimangono sempre gli stessi e i temi si ripropongono avanti e indietro come una pallina da tennis. 

Camilla Elleboro