Aprire Cavallo scosso di Kathryn Scanlan è come varcare la soglia di una stalla all'alba: l'aria è densa, umida, carica di odori forti e inequivocabili. Un fastidio insistente, un ronzio basso che si appiccica addosso come un nugolo di mosche d'estate. Si è bloccati lì, fermi, passivi, come un cavallo esausto sotto il sole cocente, incapace di scrollarsi di dosso quella spiacevole inerzia. Ed è in questo stato di disagio che lettrici e lettori si ritrovano al fianco di Sonia, la protagonista, nata con un'anca dislocata a Dixon, Iowa il 1 ottobre 1962. Un difetto fisico che, fin dal principio, sembra presagire una vita solo in salita.
Scanlan, senza particolari premesse, ci lancia al galoppo in un'America dimenticata, quella delle periferie, delle vite ai margini, degli ippodromi che sono universi a parte. I personaggi che la popolano sono figure anonime, spesso definite da soprannomi grotteschi, a tratti crudeli, emblema di un'esistenza che non ammette sfumature dell’identità, un universo che preferisce non conoscere l’altro. Ecco il vecchio ubriacone che, come una litania recitata male, viene cacciato puntualmente di casa, o il cane che si avventa sulla protagonista, ancora ragazzina, con una violenza primordiale togliendole i pantaloni in giardino. Umani e animali sono tasselli di un puzzle desolante, dove la dignità è un concetto astratto e la sopravvivenza l'unica legge.
Sonia, la ragazzina “Coca-Cola” «perché tutti mi volevano offrire da bere, farmi ubriacare, io invece chiedevo sempre bibite gassate» (p. 48), si amalgama alla perfezione con il puzzo di sudore, di cavallo e di sigaro; si mescola alla fatica, al mondo rurale, al letame che sono parte imprescindibile della sua esistenza “dislocata”. Finanche il suo sogno di diventare fantino si scontra con la sua statura, troppo alta per cavalcare: una condanna, un limite imposto da una fisicità che la esclude dal ruolo desiderato, confinandola in una posizione subalterna, come allenatrice donna in un mondo maschile, dove deve costantemente dimostrare il doppio del valore.
Seppure per Sonia il legame con i cavalli sia l’unica salvezza, la vita nell'ippodromo è una bolla. «Quando passai a lavorare a tempo pieno all'ippodromo un po’ mi pesava: non ero lì ad aiutare mia sorella, non ero presente per i miei genitori, non c’ero durante vacanze, compleanni, matrimoni, appuntamenti dal dottore, funerali» (p. 69), rivela la protagonista. La perdita di contatto con l'esterno le costa caro, in cambio di una libertà oppressa. La violenza giornaliera è taciuta ma è dappertutto. A partire dallo stupro da parte di un fantino, non denunciato per paura di perdere quel poco che si ha. Alla vita "alla buona", con quello che c'è. Tutto è una lotta quotidiana contro chi ruba o chi violenta. Per non parlare di quella grossa vecchia buca dove vengono gettati i cavalli abbattuti, o almeno così dovrebbe essere, peccato che qualche corsiero muove ancora le zampe in agonia.
Kathryn Scanlan non è di quelle autrici che amano i riflettori o la facile retorica. La sua abilità sta nel catturare diapositive di una realtà ai margini e narrarla. Senza dubbio, Scanlan è una scrittrice che non si tira indietro di fronte alle verità più atroci della vita, ma le esplora con uno sguardo disincantato, quasi a voler dimostrare che, anche quando è scomoda, la realtà ha sempre una sua forza.
Per chi è del mestiere sa che scosso è quel cavallo che partecipa alla competizione senza il fantino dopo che questo è caduto o è stato disarcionato, ma il Cavallo scosso di Scanlan, assume un altro significato ambiguo e perturbante. Infatti, indica anche l'uso del taser, un'arma illegale usata per spingere i cavalli allo stremo, una pratica crudele che riflette la logica di un ambiente che estrae il massimo, anche a costo di distruggere. Tuttavia, “scossa" è anche l'anima di Sonia, provata da una vita che non le ha risparmiato nulla.
Il libro è il collage delle interviste che Scanlan ha condotto con questa donna, Sonia. La struttura frammentata del romanzo, a tratti quasi didascalica, distilla la voce di chi racconta solo l'essenziale, solo ciò che è rimasto impresso come un marchio a fuoco. E seppure questa scelta narrativa dona un'immediatezza della verità, dall'altra trasmette una certa distanza emotiva, quasi che la vita narrata fosse appartenuta a un'altra persona. Una scelta stilistica che, pur efficace nel ritrarre la rassegnazione di Sonia, a volte rende la lettura un po' fredda, meno avvolgente sul piano empatico.
Tutto sommato, Cavallo scosso è un'opera onesta e coraggiosa, che non edulcora la realtà, e che non pretende di essere il “romanzo del secolo”. Un libro che lascia l'amaro in bocca, ma anche la sensazione di aver ascoltato una testimonianza vera, che ci costringe a guardare ciò che spesso preferiremmo ignorare.
Olga Brandonisio
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