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Mettere le mani nelle fauci del caimano: "Sani e salvi" di Camila Fabbri

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Sani e salvi
di Camila Fabbri
Alessandro Polidoro Editore, maggio 2024

pp. 168
€ 16 (cartaceo)

«Il mio compagno è in bagno che vomita. Chiedo a un suo amico di tenergli la fronte. Non posso certo entrare nei bagni degli uomini, non posso infrangere una legge universale. Non potendo fare altro che sentire i suoi conati, entro nel bagno delle donne e, ancora una volta, incontro Lidia». (p. 68) 
Come ci saremmo comportati, al posto di questo personaggio? Viene da chiederselo spesso, leggendo i racconti di Camila Fabbri nella raccolta Sani e salvi (Polidoro). 
Avremmo messo la mano nella gabbia del caimano? Come avremmo reagito alla notizia che oggi nel mondo non è morto nessuno? Avremmo forse separato un bambino e un gatto che cominciavano a somigliarsi in modo eccessivo? 

Parlare di racconti non è mai operazione semplice: per la loro intrinseca natura di micro-cosmi, perfettamente completi, funzionanti e auto-conclusivi, si rischia sempre di rivelarne elementi che vanno invece scoperti nella lettura. Ma dopotutto, la trama non è la caratteristica più rilevante dei racconti di Fabbri: molto più che quello che succede, al lettore resteranno impressi i personaggi, originalissimi e potenti nella loro apatia, nella non-reazione di fronte ad eventi traumatici o tragici che li investono. C’è quasi un’attrazione per il pericolo che li spinge a mettersi in situazioni rischiose, a volte potenzialmente letali: e noi lettori li seguiamo, stregati dalla passività con cui a volte salgono su un’auto di sconosciuti, lasciandosi il compagno alle spalle, a volte si lasciano rapire da un tassista e portare in un’altra città. 
«"Mi fai fare una telefonata?". Luis rispose di sì e le prestò il suo telefono. Elisa compose il numero della madre. Seguirono tre squilli e poi, dall’altra parte della linea, provenne una voce rauca e insieme acuta, che sembrava di questo mondo, ma anche di un altro: Chi è? Elisa sentiva il suo respiro. Guardò Luis che serviva tre fette di pane tostato in un piatto fondo e delle uova strapazzate in una ciotola di vetro. Elisa, sei tu? Elisa riattaccò. Non sapeva cosa dire né cosa fare. Adesso il futuro era un po’ più sfocato». (pp. 25-26) 
Perturbante, potrebbe essere un aggettivo per descrivere l’atmosfera di questi racconti. Un altro, torva. Arcana, inspiegabile, irrisolta, enigmatica. Inquietante, anche, ma mai sinistra. La sottigliezza della penna di Fabbri ci invita a notare che il mostruoso si trova più spesso nelle realtà quotidiane, nei contesti famigliari o dentro noi stessi, piuttosto che in un esterno sconosciuto e sinistro. E il modo in cui questi personaggi si lasciano scivolare in situazioni che non riescono più a controllare, e dalle quali escono feriti nel corpo o nella psiche, ci svela qualcosa sulla pulsione di morte che in quanto esseri umani abbiamo, e che (quasi sempre) ci aiuta ad apprezzare la vita. 
«Cintia riaccese il televisore e la notizia era ancora lì, intatta. […] La gente si assiepava nelle strade per celebrare che quel giorno aveva vinto la vita. Cintia ebbe un forte senso di spaesamento. Sentiva che tutte quelle persone erano vicine a casa sua più di quanto potesse immaginare. Che tutto era lì, vicinissimo, senza spazi liberi». (p. 105) 
La scrittura di Fabbri è sobria ma perfettamente esatta, e il ritmo dei racconti è sempre azzeccato, forse beneficiando anche delle esperienze dell'autrice argentina come attrice, regista e sceneggiatrice. Sfiorando tematiche come la pedofilia, le famiglie disfunzionali, la mancanza di cure verso un figlio, l’esaurimento delle relazioni, l’autrice ci avvia su un percorso di conoscenza dei nostri limiti e delle nostre paure, e lo fa con un’intensità che solo la forma racconto e la sua potenza esplosiva permettono.

Michela La Grotteria