in

La rivoluzionaria dei due mondi. "La leggenda di Anita" di Enrico Brizzi

- -

La leggenda di Anita
di Enrico Brizzi
Ponte alle Grazie, 2024

pp. 288
€ 16,90 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Si chiama La leggenda di Anita e non di Anita Garibaldi proprio perché è chiaro fin dall'inizio che Enrico Brizzi voglia narrare la formazione e lo spessore della donna, della rivoluzionaria, che fin da bambina veniva definita a Laguna "Ana la pazza", per la sua tempra indomita e l'irruenza nel manifestare contro le ingiustizie. È quindi un libro che può essere ascritto senza dubbio al romanzo di formazione, ancor più che a quello storico, perché l'autore segue il tumultuoso percorso che porterà Anita dal Brasile all'Italia, da figlia di un tropeiro a paladina della rivoluzione.
Che l'intento sia creare un personaggio che funga da modello e nel quale le giovani lettrici possano identificarsi, più che ricostruire la complessità storiografica e psicologica del personaggio, è chiaro ed è anche uno dei limiti del romanzo, che sorvola su alcuni eventi e trasforma in cliché alcune dinamiche (alcune bizze fra marito e moglie nei dialoghi e nelle scene fra Anita e Giuseppe Garibaldi). Ugualmente stereotipato appare l'incipit legato all'arrivo del menarca, che in ogni romanzo di formazione femminile aleggia sempre come scena madre.
Molto bella invece la ricostruzione dell'atmosfera di Laguna, la cittadina natale, dei rapporti sociali ancora di stampo feudale, e della famiglia di Anita, delle partenze con le mandrie del padre e dello zio:
I due fratelli scorazzavano le mandrie su e giù dall'altipiano fin da quando erano ragazzini. Il padre, un portoghese arrivato nel Nuovo Mondo dalle Isole Azzorre, si era trasformato a fatica da pescatore in guardiano del bestiame per conto degli Espinosa, i più ricchi fazendieros di Laguna, la piccala città della provincia di Santa Catarina, posta a guardia del passaggio fra l'Atlantico e il grande specchio tranquillo dello Stagno di Imaruì. Bento e Antonio erano nati lì. Avevano imparato a cavalcare fin da piccoli i vivaci mangalargas, i destrieri dal mantello argenteo picchiettato di macchie scure prediletti dai mandriani, e quella era ormai la decima stagione in cui conducevano al pascolo i cinquecento pascoli del vecchio dom Vicente Espinosa. (pp. 14-15)

Lo zio Antonio, che ebbe un ruolo fondamentale nella formazione della coscienza politica della giovane Anita, si unì alle truppe  rivoluzionarie e toccò ad Anita assumersi il ruolo di tropeira, dopo la morte del padre, di portare le mandrie al pascolo e di stare mesi da sola,  unica donna ad avere dimestichezza con la natura incontaminata e selvaggia. I pregiudizi culturali di Laguna non le perdonarono ai questo ardire e il fatto che proprio una giovane ragazza si fosse prese il fardello di mantenere la madre, il fratellino e le sorelle. Tra soprusi, ingiustizie e recriminazioni, Anita è costretta a prendere marito, per assecondare le necessità imposte dalla povertà familiare.

Il romanzo affianca a questa linea narrativa, la storia del giovane marinaio Giuseppe, anche lui insofferente nei confronti dei sogni familiari sul suo futuro e deciso fin dalla tenera età a diventare uomo di mare, al pari del padre:

Solo chi ha dimestichezza con il mare conosce la vera libertà. Giuseppe se n'era convinto fin da ragazzo, quando ancora viveva a Nizza e i genitori lo sognavano studente-modello. Padron Domenico Garibaldi, che pure viveva di commerci marittimi, lo teneva lontano dalla Santa Reparata, la tartana di famiglia da venti tonnellate; sapeva la fatica e le insidie di una vita fra le onde, e sperava che quel figliolo biondo e dalla memoria prodigiosa diventasse medico, oppure avvocato. Sua madre Rosa, invece, coltivava un progetto nel quale la sua profonda devozione si univa a uno schietto pragmatismo: se Giuseppe avesse imboccato la via del seminario, non solo avrebbe potuto predicare la parola di Dio, ma anche evitare il servizio militare. (p.57)

Sappiamo già che Giuseppe Garibaldi tradì tanto i sogni del padre quanto quelli della madre e Brizzi ci mostra senza fronzoli e senza molta poesia l'incontro fra lui e Anita, nel momento in cui lui si avviava a diventare "l'eroe dei due mondi".

Mosso dal desiderio di abbellire la realtà, avrebbe scritto diverse versioni del suo incontro con Anita, tutte accumunate da tre circostanze: lui era già entrato da trionfatore a Laguna, l'aveva avvistata dal ponte dell'ammiraglia rivoluzionaria restandone colpito all'istante, e una volta sceso a terra l'aveva avvicinata pronunciando le parole fatali "devi essere mia". La verità è che si avvicinò al fuoco con l'umiltà del naufrago, spoglio, il fiato rotto, e la prima cosa che fece quanto si rese conto che qualcuno presidiava il falò fu alzare le mani. «Ho bisogno di aiuto» mise in chiaro uscendo dall'ombra. «Per carità, aiutatemi». (p. 177) 

Una fuga da una presentazione idealizzata dell'eroe e dell'eroina, mostrati in dinamiche forse a volte umane troppe umane, che lasciano in ombra per cosa realmente combattessero, tanto che il Risorgimento italiano appare identificato ad una lotta di classe. Tuttavia, la tempra e lo spessore di Anita ci sono e restituiscono al lettore una piacevole lettura e un incontro con una persona che merita di essere riscoperta e studiata.

Deborah Donato