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Trasfigurare il reale per proteggere un figlio: "Per Tommy", il dono dal lager di Bedřich Fritta

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Per Tommy. 22 gennaio 1944
Disegni di Bedřich Fritta
Testo di Hélios Azoulay
L’ippocampo, 2023

Traduzione di Vera Verdiani

pp. 160
€ 15,00 (cartaceo)

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Tommy che compie tre anni. Tre candeline sulla torta. Tommy che dorme, il pollice in bocca e una copertina azzurra. Tommy che fa la pipì tutto orgoglioso. Tommy che disegna, gioca, mangia, ne vuole ancora. Tommy che fa esperienza del mondo, apparentemente in tutte le sfumature di senso che può cogliere un bambino della sua età. Ma poi c’è la premessa, quella che cambia tutto.

Tommy compie gli anni il 22 gennaio del 1944. A Terezín. Matricola AAL-710. E allora il significato si trasforma: perché i disegni che immortalano ogni istante diventano un modo per strappare ciò che è prezioso al tempo che tutto divora, alla ferocia degli uomini.

Le immagini, cinquantadue acquerelli teneri e buffi, diventano un dono da lasciare, qualcosa che possa sopravvivere anche, soprattutto, laddove la vita è fugace. Alcune tavole mostrano mamma e papà, e si fanno carezza; alcune nominano oggetti quotidiani, animali, colori, e diventano quindi strumento d’apprendimento; alcune sono buffe e vogliono strappare un sorriso; altre raccontano storie della buonanotte, o mostrano scorci di un mondo fuori, lontano, evocando un tempo di pace ancora possibile, sempre sognato. «Non è una fiaba, è la verità», scrive Bedřich, illustratore e caricaturista boemo, come didascalia a una vignetta che mostra il piccolo Tommy in un giardino pieno di fiori e farfalle, illuminato da un sole radioso. «E neanche questa è una fiaba!»: Tommy al mercato, davanti a lui un banchetto straripante di meraviglie.

Il padre, nella realtà limitata del campo, proietta il figlio ancora piccolo nel futuro («Senti un po’, cosa vorresti diventare? Un ingegnere?», «E se andassimo in un posto qualsiasi del mondo?», «Ti comprerei anche della musica»…), gli riserva degli auguri irrealizzabili – eppure in parte miracolosamente realizzati –, tranne per l’ultimo, il più straziante: «Questo è il primo di una lunga serie di libri che voglio dipingere per te!». Perché Bedřich Fritta non riuscirà a comporre altri libri.

Lascerà però dipinti, schizzi, disegni dal lager, sepolti in una cassettina di metallo, insieme all’ultimo pensiero per Tommy. A distanza di anni, Tomáš – uno dei bambini sopravvissuti allo sterminio – ricorda i genitori perduti, osservando che

l’unica cosa che mi resti, che mi appartenga e che sia stata fatta solo per me è il mio libro, un libro di mio padre. È lì che lo sento: lui, le sue lacrime, la sua speranza, la sua paura. (p. 7)

Il volume in piccolo formato de L’ippocampo ci restituisce questo ultimo regalo, che io leggo casualmente proprio intorno al 22 gennaio, giorno del compleanno di Tommy, e in prossimità della Giornata della Memoria, che dovrebbe essere solo una delle molte occasioni per non dimenticare ciò che è stato. In questo aiuta anche l’intervento conclusivo di Hélios Azoulay, “Nella nicchia dell’amore”, un capolavoro di concinnitas in cui l’incisività si presta ora alla commozione, ora al sarcasmo, ora alla rabbia di fronte all’ingiustizia. Nelle poche pagine che lo costituiscono, articolate in paragrafi fulminei, viene dapprima esplorata l’ascesa del nazismo nella Repubblica Ceca, il progressivo dilagare di una legge dell’odio e del sospetto, la nascita di Theresienstadt. Nulla risulta più doloroso, in mezzo alla dura essenzialità delle parole, dei disegni di Fritta, che contrastano violentemente con quelli colorati e allegri riservati al piccolo Tommy. Questi sono cupi, asfittici, i prigionieri ridotti a mascheroni deformati dalla fatica e dalla sofferenza. In uno, un uomo annega: emergono dall’acqua che lo ha travolto solo le sue braccia magre e protese al cielo, e delle rovine riarse – angosciosa metafora di quel che è stata la Shoah.

L’intensità di questi schizzi ci fa percepire ancora di più il desiderio di protezione in quelli raccolti nella prima parte del volume, la volontà di trasfigurare il reale per difendere un figlio dal male, per quanto possibile, e con i pochi strumenti a disposizione.

Bedřich è direttore dell’Ufficio Disegni e questo gli dà inizialmente qualche vantaggio, come la possibilità di non essere separato dalla moglie e dal bambino nato da pochi mesi. La sua arte, con quella dei suoi compagni, pittori e disegnatori brillanti quanto lui, è al servizio della propaganda:

Tutti autentici artisti e tutti condannati a fornire senza tregua, a uso della propaganda, graziosi quadretti volti a illustrare quanto si vive bene a Theresienstadt. È il progetto nazista: li faremo fuori tutti, ma prima ci daranno dei begli acquerelli. (p. 129)

Di nascosto, però, tra un disegno di facciata e l’altro, portano avanti la loro personalissima resistenza in punta di pennino e inchiostro nero.

In segreto gli artisti adoperavano i materiali per ritrarre il vero. La penuria e la morte, la disperazione e la crudeltà. La sofferenza. E che si moriva di fame, e le impiccagioni, e che si moriva di freddo, e che si moriva a forza di aspettare la morte. […] Bisognava sbrigarsi, non dimenticare niente, far impazzire l’inchiostro nella vibrazione di ogni dettaglio. (p. 136)

Poi però vengono scoperti. È il luglio del 1944, non manca poi molto alla fine della guerra. La Commissione internazionale è ancora convinta che Theresienstadt sia un luogo in cui gli ebrei poltriscono al sole, giocano a scacchi e fanno giardinaggio. O quantomeno finge di crederci. Il primo interrogatorio viene tenuto alla presenza di Adolf Eichmann. A ottobre, chi si riprende dalle torture e i pestaggi viene deportato ad Auschwitz, dove muore, poco dopo. L’esperienza del lager segna anche i sopravvissuti: Tommy sarà un bambino tormentato, inquieto, dominato da solitudine e paura. Lo spettro dei campi aleggerà su di lui, lo porterà a interrogarsi su quanto ciò che è stato lo definisca:

Come si fa a sapere se tutto questo, tutto quel che gli succede, dipende da lui, dal suo carattere, dalla sua vera natura, o se invece è il Ghetto, se è per via del Ghetto? Come sapere se sei quello che sei perché sei proprio così, o se quello che sei è tutto per colpa di laggiù? (p. 148)

Certo, postula Azulay, siamo segnati dalla violenza, come anche dall’amore. Ecco allora che il volumetto strappato alla morte e alla distruzione, consegnato a Tommy per i suoi diciotto anni dal padre putativo Leo Haas, che gli darà anche il suo cognome, può portare con sé il seme benigno di una nuova fioritura. È un miracolo, ci dice, «il miracolo di un padre nel miracolo di un libro. Il miracolo di un infinito amore in uno stato d’emergenza» (p. 151). E a questo amore che non dimentica e non si dimentica bisogna restare aggrappati, in questo risiede il senso più profondo e vero della Memoria da conservare.

 

Carolina Pernigo