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L'io e il mondo come enigmi da risolvere: dentro "La casa del mago" di Emanuele Trevi

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La casa del mago 
di Emanuele Trevi
Ponte alle Grazie, 2023

p. 256
€ 18 (carteceo)
€ 11,99 (ebook)

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Forse non c'era un'anima più ferita di lui in tutto l'universo: e ogni volta che rileggo le parole del grande poeta, «'anima è straniera sulla terra», è a lui che penso. Se è straniera, non sa la strada, e questa di per sé è una cosa buona, perché non c'è nessuna strada da insegnare al prossimo, chi insegna strade è sempre un imbroglione; ma soprattutto, se è straniera non è mai interamente qui, una parte di sé manca all'appello, è rimasta nel posto da dove è venuta e dove non sa ritornare. E con questo tocchiamo un punto decisivo: cos'è la ferita, cos'è la malattia dell'anima se non la menzogna, l'illusione fatale di appartenere completamente a questo mondo, di non provenire da nessun'altra parte? (pp. 70-71)


Quando si entra per la prima volta ne La casa del mago, luogo simbolo e quinta scenica che dà il titolo al romanzo di Emanuele Trevi, si sente la vibrazione peculiare che emanano i luoghi che hanno ospitato molte storie. Una casa grande e polverosa, piena di libri e oggetti fatti di memoria, l'abitazione di un mago guaritore che per decenni lì ha accolto e curato le anime doloranti che vi si sono rifugiate.
Il mago è Mario Trevi, padre dello scrittore, celebre psicoanalista junghiano che alla sua morte lascia l'appartamento che è stato anche il suo studio. La casa è messa in vendita ma sembra rifiutare tutti coloro che vi entrano, quasi richieda una formula magica sconosciuta ai più per accedervi davvero. Una formula che ha a che fare con Psiche, la maga che lì coabitava, e che ancora parla attraverso le pagine dei volumi, siede sulle poltrone o alla grande scrivania che troneggia nello studio. Emanuele Trevi finisce per comprare questa casa infestata di anime e ricordi e, trasferendosi lì, avvia un dialogo serrato con il padre mentre i loro io profondi conoscono nuove forme di contatto.

Mario Trevi era un genitore distratto, distante, riservato. Asserragliato in un "retrobottega" della mente, da lì diventava spesso irraggiungibile e impermeabile agli altri. La sua aura inquieta si respira ancora in ogni angolo della casa magica e sa di ricerca, indagine, irrequietezza interiore. 
Abitare da grande la casa del padre significa molte cose in questo libro: ritornare il sé bambino, in primo luogo, e poi rileggere (anzi riscrivere) il padre con gli occhi e le parole di oggi, perdonare tante delle sue distanze comprendendone la natura più intima.
Il ricordo di un uomo che non c'è più perde ogni sua patina sbiadita e diventa invece quanto di più tangibile perché ricondotto a un'investigazione concreta sul mondo da parte di Trevi figlio e Trevi scrittore. Un mondo che è come un enigma da risolvere.
Le dimensioni della vita - quella del padre, la propria, quella dei pazienti - si intrecciano alla ricerca di nuove forme dell'abitare. Con emozione, umorismo, profondità l'autore ritorna agli episodi più significativi della loro vita insieme, cerca le parole più esatte, per quanto a volte per sua stessa definizione limitate, per raccontare l'enigma del padre che poi è l'enigma dell'altro. La casa del mago è il simbolo di tutte quelle vite che proviamo a comprendere, degli spazi dell'io che ci sono conosciuti solo in piccola parte, delle intersezioni misteriose tra la vita e la morte. Questo romanzo è un vagabondaggio alla ricerca di indizi, mentre la realtà sfugge e sembra vada sempre a giocare a nascondino da un'altra parte. Nonostante l'impianto sia quello dell'autofiction, la narrazione ha una componente simbolica decisiva: psicologia e magia si mescolano fino a diventare un unico linguaggio dell'io e del noi, mentre strane presenze entrano a far visita di notte e lasciano segnali del loro passaggio.
I concetti di psicologia complessainconscio collettivo, capisaldi del pensiero di Jung, vengono proposti come base di un'esperienza che non è meramente letteraria, ma di vita.

Trevi ha scritto un libro pieno di fughe e smarrimenti; non è un caso che una delle scene clou del suo passato abbia a che fare con un ragazzino che si perde (o forse perde il padre) tra le strade di Venezia. Questo è anche un romanzo di tentativi: lo scrittore sembra dirci a più riprese che conoscere gli altri è una questione di avvicinamenti, accostamenti maldestri, piccole grandi invasioni dello spazio altrui. Commuove soprattutto che a fare questi tentativi sia un figlio innamorato di un padre perché chiunque abbia sofferto una qualsiasi forma di distanza da un genitore si ritroverà nel bisogno di una cura.
La casa del mago è, in ultima analisi, il racconto di come, in un mondo di distanze e traiettorie inspiegabili, nevrosi infelici e labirinti di coazione a ripetere, le parole possono provare a colmare alcuni gradi di separazione, riempire le pieghe dell'esistere di nuovi significati e levigare le ruvidità come la carta vetrata leviga i sassi.
Una caccia al tesoro cominciata nella notte dei tempi che richiede pazienza, autoironia e una certa grazia.



Claudia Consoli