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Le quattro "piccole donne" di Nino Haratischwili: "La luce che manca"

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La luce che manca
di Nino Haratischwili
Marsilio, 2023

traduzione di Fabio Cremonesi

pp. 702
€ 24,00 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)


Nino Haratischwili torna in libreria dopo il clamoroso successo de L'ottava vita (qui la recensione), con un altro lungo romanzo ambientato in Georgia, con al centro l'universo femminile. Siamo negli anni Novanta, un decennio in cui,  con la dissoluzione dell'Unione Sovietica, la Georgia dovette affrontare una guerra civile e conflitti dei separatisti in Ossezia del Sud e Abcasia. I postumi del conflitto e dei colpi di stato generarono non solo instabilità politica, ma anche una duratura crisi economica e sociale.
In questo magma storico ci porta la scrittura di Nino Haratischwili, o meglio il suo io-narrante, Qeto, che ripercorre la vita propria e delle sue tre più care amiche: Dina, Nene, Ira. 
Siamo davanti a quattro "piccole donne" di cui seguiamo la crescita in un cortile di un condominio di Tblisi, la formazione a scuola, gli amori difficili con ragazzi invischiati nella rivoluzione e nella malavita, fino poi all'espatrio.

L'occasione per ripercorrere i tanti episodi di vita insieme è una mostra fotografica di Dina, a Bruxelles nel 2019, una mostra postuma, purtroppo, organizzata dalla sorella di Dina. Dalle foto vengono fuori ricordi, emozioni, e a livello narrativo la mostra è il tempo zero da cui partono i tanti flashback che tesseranno l'intreccio del romanzo.
La fotografia ci mostra tutte e quattro, mostra la versione di noi da cui proveniamo, una specie di origine, l'uovo da cui siamo sgusciate insieme. Siamo sulla soglia della vita, all'inizio di un'amicizia che pretenderà tutto da noi, ma ancora non ne sappiamo nulla, non conosciamo le carte che la vita ci ha messo in mano, ancora la partita non è iniziata, ancora ci è permesso di essere libere, ancora ci è permesso di volere tutto, desiderare tutto. (pp. 21-22)

La loro è un'amicizia con ruoli ben definiti: razionale Ira, romantica Nene, ribelle Dina, mediatrice proprio Qeto, la narratrice. Un'amicizia che però nell'incontro a Bruxelles mostra lo smembramento causato dalla storia: le tre donne ormai adulte non solo viaggiano in binari diversi, ma anche vivono lontane, manifestano imbarazzo e reticenza nell'incontro. Il dolore del passato al contempo le unisce e le separa, come se specchiarsi l'una negli occhi delle altre riapre ferite mai rimarginate davvero.

La foto che si intitola "Lo zoo" è il punto in cui il dolore della Georgia martoriata, delle vite e dei sogni recisi delle quattro amiche, sembrano raggrumarsi. quella foto

è quasi artificiosa e al tempo stesso pura come la vita sa essere solo nei momenti più duri. Mi mostra sotto un lampione, coperta di sangue, in ginocchio davanti a una pozza del mio stesso vomito, con il volto segnato dalla paura e un'espressione combattiva, sullo sfondo - cosa che affascina soprattutto gli studiosi di arte - c'è un recinto di scimmie. Su un albero, quasi alla mia stessa altezza, siede una scimmia solitaria, forse attratta dalla mia presenza in quell'andirivieni notturno. Solo le sbarre ci separano, e il suo sguardo, stupito e colmo di compassione, sembra volermi dare conforto. (p. 300)

Ma non è solo l'amicizia fra Dina, Qeto, Nene e Ira l'universo femminile che Nino Haratischwili narra: trovano anche spazio le nonne di Qeto, le madri delle protagoniste; ognuna di queste figure è alla ricerca della luce che manca, non solo un senso per cui esistere, ma uno spazio di libertà per autodeterminarsi, in un mondo in cui le donne sono condannate 

a dare avvertimenti a vuoto. Eravamo un  bell'accessorio, una decorazione. Brindavano a noi e ci lodavano per la nostra bellezza, noi però dovevamo tacere e obbedire, al limite potevamo esprimere qualche pensiero innocuo. Non potevamo nemmeno proteggerci a vicenda, eravamo in balia di principi, regole e leggi non scritte e ci eravamo convinte che esistessero per il nostro bene, per proteggerci. (p. 360)

Le quattro amiche non si rassegnano a essere una decorazione, ma vivono sulla propria pelle la tragedia di questa ribellione. Le figure maschili appaiono ombrose, violente, figuranti in un copione già scritto da una mentalità cieca e ottusa, predeterminati a scelte scellerate. La figura di Zotne Koridze, nella malvagità fragile e disperata, riesce a essere un personaggio ben riuscito, che si stacca da un insieme altrimenti amorfo di figure maschili.

Probabilmente sulla poca luce - mi si scusi il paradosso - data ad alcuni personaggi pesa la moltitudine di personaggi secondari e comparse. Le settecento pagine del romanzo dovrebbero dare spazio a questa moltitudine, ma spesso sono affette da un prolisso gironzolare intorno alle quattro protagoniste. Non mancano di certo pagine belle e ispirate, né episodi che ogni lettore porterà nei propri ricordi, ma  La luce che manca è un romanzo che non riesce a diventare corale, schiacciato da una narrazione forse fin troppo emotiva per dare respiro a un romanzo storico. 

Deborah Donato