in

"Nannarella": una biografia a cura di Giancarlo Governi sulla "regina plebea" di Roma e del cinema italiano del dopoguerra

- -


 
Nannarella. Il romanzo di Anna Magnani
di Giancarlo Governi
Fazi Editore, 2023

pp. 276
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
 
 
Una biografia che suscita il sorriso e la frustrazione, a tratti quasi la commozione, restituendo al nostro spazio emotivo di lettori proprio quegli estremi che non solo appartenevano alla grande Anna Magnani, ma fecero di lei la figura superba ed eccessiva, nel bene e nel male, che era e continua a essere nota a tutti, ma che forse nessuno – neppure chi l’ha conosciuta – è mai riuscito a capire davvero.

Nannarella. Il romanzo di Anna Magnani racconta dal principio la storia di una bambina cresciuta dalla nonna e dalle zie che per pura fatalità decise di fare l’attrice, finendo per assurgere non soltanto a simbolo di quel cinema franco e veritiero che avrà il nome di Neorealismo italiano, ma per diventare la personificazione stessa della romanità, l’incarnazione della capitale italiana, la “Mamma di Roma” e dei romani. D’altronde, Nannarella era il soprannome con cui il popolo, la gente verace delle strade di Roma la acclamava con affetto, con l’affetto che si riversa a una sorella, a una madre, a una zia.
Si può forse dire che erano i suoi ruoli, come attrice di teatro e di cinema, che la avvicinavano alle persone, e il modo autentico e privo di affettazioni con cui li interpretava, li sentiva dentro, a farla amare tanto dal suo pubblico. Leggendo la biografia scritta da Governi, in cui si cerca anche di afferrare la personalità della donna che era fusa insieme all’attrice, si comprende invece che la sua fama e il calore della gente che correva a vederla sul palcoscenico o sul grande schermo erano dovuti alla profonda umanità che le era congenita, nella persona ancor prima che nel personaggio.

Ripercorrendo la parabola artistica dell’attrice, nel testo si scorge anche la vita intima di una donna passionale e fragile, violenta e riservata, gelosa, ossessiva, tagliente e scontrosa, che litigava furiosamente anche con gli amici più cari, una vera lupa come quella che interpretò sotto la regia teatrale di Zeffirelli; ma al contempo dolce, un’amante delle risa e degli scherzi, a cui piaceva fare la “ruzza”. Una figura fascinosamente dicotomica che attraverso le interviste, gli aneddoti e le testimonianze di attori, registi e attrici che più l’hanno conosciuta, emerge con prepotenza dal testo, ma mai senza ombre, mai limpidamente, sempre avvolta da una fumosità che non si può diradare quando numerose sfaccettature contrastanti convivono in una personalità unica e mai totalmente penetrabile.
Così, tra le memorie dei vari testimoni, ce la racconta l’attrice Elsa De’ Giorgi:
Fui attratta subito dalla sua personalità dirompente e capii che era grande come attrice e come donna, mentre veniva […] sottovalutata o, tutt’al più, considerata un fenomeno dialettale, soprattutto per la sua grande e spregiudicata incisività di linguaggio. In certi momenti, però, […] sembrava quasi indifesa. […] si portava dentro la grandiosità del suo personaggio come una sfida al mondo convenzionale a cui apparteneva […] perché il cinema chiedeva personaggi puliti, miti, dolci, asessuati di cui lei era esattamente l’opposto. (p. 85)
Il cinema degli anni Trenta era infatti affollato di attrici dai tratti delicati, lievi, di una femminilità soave, molto spesso bionde e ben pettinate. Anna Magnani invece possedeva delle caratteristiche che la allontanavano drasticamente da questo immaginario: gli occhi affilati e focosi, l’inconfondibile risata «isterica, un’allegria forzata» (p. 225), i capelli corvini e scarmigliati, il seno florido e bellissimo che mostrava volentieri, le gambe al confronto magre e arcuate, e le occhiaie, i “calamari” come li chiamava lei, che erano forse il suo tratto più distintivo.

Ritornano questi connotati lungo tutto il testo, ricordati da chiunque fosse presente nella sua vita, quasi come se ci fosse stato solo questo, il suo corpo non avesse avuto altre parti. Ma noi tutti ce la figuriamo bene nella sua interezza: chi ha visto i suoi film, i più celebri, e ricorda il corpo che sembra sformarsi nella corsa dietro alla camionetta dei fascisti urlando “Francesco!!” in Roma città aperta, nelle marce rivoltose dell’Onorevole Angelina, negli andirivieni comici e tragici della pellicola che le ha aggiudicato l’Oscar, La rosa tatuata – giusto per citarne alcuni, che è sempre bello rivedere. Ma, diciamocelo, anche chi i film non li ha visti non può non avere presente “com’è fatta” Anna Magnani; sì, “com’è fatta”, proprio come avrebbe detto lei, col suo linguaggio sboccato e schietto, ma sempre «funzionale e intellettuale» (p. 223). 
 
Il più grande smacco subìto è stato essere stata relegata per molto tempo ad attrice popolaresca, dialettale, come molti nel libro testimoniano.

Nella biografia di Governi c’è tutto questo, narrato con grande equilibrio e ammirazione, tra digressioni storiche sul cinema del dopoguerra, le sfortunate storie d’amore con Goffredo Alessandrini prima, Massimo Serato e Roberto Rossellini dopo, aneddoti delle regolari sfuriate che Anna Magnani non poteva trattenere, e il suo amore per gli animali che al contrario degli uomini, a sua detta, «non ti tradiscono» (p. 219).

Ma leggendo tutto ciò traspare una verità fondamentale che forse racchiude ogni mistero e che ha segnato non solo la vita della persona Anna Magnani, ma la sua scelta di essere attrice: «Ho scelto questo mestiere, perché avevo voglia di essere amata, di ricevere tutto l’amore che avevo sempre mendicato» (p. 37).

Federica Cracchiolo