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«Questo non è il posto giusto per le principesse»: "Piccoli atti di misericordia", il ritorno di Dennis Lehane

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Piccoli atti di misericordia
di Dennis Lehane
Longanesi, giugno 2023

Traduzione di Alberto Pezzotta

pp. 320
€ 19,90 (cartaceo, cop. rigida)
€ 9,99 (ebook) 


Mary Pat può anche chiamare la polizia, ma sa che non faranno un accidenti prima che passino settantadue ore. Almeno. E lei non ha tutto questo tempo. Così non le rimane che stare lì seduta, a fumare una sigaretta dopo l'altra, aspettando che sua figlia apra la porta. (p. 44) 
Nella Boston degli anni Settanta, dilaniata dai pregiudizi razziali e da una radicale divisione tra quartieri bianchi e quartieri neri, nel 1974 viene imposto un esperimento sociale: molti ragazzi afroamericani saranno portati a studiare nelle scuole frequentate dai bianchi e viceversa. L'obiettivo sarebbe quello di contribuire ad abbattere le discriminazioni e i muri d'odio presenti, ma nessuno prende bene questo provvedimento. Anzi, si prevedono scioperi e cortei, e gli scontri sono nell'aria. 

A pochi giorni dall'inizio della scuola, quando la tensione è già altissima, nel quartiere di Southie, la quarantaduenne Mary Pat Fennessy, di origine irlandese, aspetta con ansia il ritorno a casa di sua figlia teenager Jules, che non vede dalla sera prima. Lei ha già perso un figlio per via della droga; i suoi matrimoni sono naufragati e ora non può rischiare di restare anche senza Jules, verso cui sente un trasporto particolare, perché la figlia ha ancora un'interiorità, non si è lasciata abbrutire dal quartiere («Meno male che 'sto posto non le ha cancellato il cuore, vorrebbe dire. Almeno se lo è tenuto stretto, stupidi e aridi stronzi irlandesi. / Magari io sarò anche come voi. Ma lei no», p. 27). In modo informale, ma col piglio deciso di una madre in preda all'angoscia e di una donna che si è sempre saputa difendere da sola, Mary Pat interroga la nipote, il fidanzato di sua figlia, altri ragazzi del posto che avrebbero dovuto essere con Jules la sera prima, e le risposte escono precise, troppo precise perché siano credibili. Pare che Jules, dopo una serata come tante altre, sia tornata a casa da sola a piedi prima alle 12.45. E se deve minacciarli, Mary Pat non si fa tante remore. L'importante, per lei, è ritrovare Jules. A qualsiasi costo. 

Se la sparizione di Jules è misteriosa ma ancora tutta da decifrare, un dramma vero e proprio si è consumato nelle stesse ore notturne: un ragazzo nero viene trovato morto sulla banchina della metropolitana: si è trattato di un suicidio? Un incidente? Non ci vuole molto perché la parola "omicidio" serpeggi tra le persone, insieme a ipotesi e a tanti pregiudizi che vengono letteralmente sparati a voce alta, senza lasciare alcun beneficio del dubbio. A tutti sembra che la presenza stessa di un ragazzo nero in un quartiere di bianchi, di notte, sia un chiaro indizio di giri loschi: doveva essere là per questioni di droga. Quando Mary Pat scopre che la vittima è il figlio di una sua collega, una grande lavoratrice, una donna estremamente rispettabile che le ha più volte parlato del figlio, qualcosa si infrange in lei. 

Si infrange il pregiudizio. Ovviamente non avviene tutto in un colpo, o non sarebbe credibile; è invece un processo lento, dilaniante ma progressivo. In Mary Pat inizia a sgretolarsi quella caterva di "comodi" credo con cui è stata cresciuta, per avere un capro espiatorio verso cui indirizzare la propria rabbia per la miseria di vita che conduce. È proprio lo schifo di mondo in cui vive a tenere uniti Mary Pat e gli altri abitanti di Southie. Infatti, per anni la donna si è sentita parte del suo quartiere, dove ci sono tante persone che magari non ama ma con cui è cresciuta fin da bambina e che aiuterebbe, in caso di bisogno. «Se non ci si aiuta a vicenda, [...] che razza di comunità è?» (p. 142) è un refrain che risuona più volte nella testa di Mary Pat (talvolta con cinismo), ma anche nelle parole di alcune persone influenti del quartiere che, con i loro traffici e i loro favori, spadroneggiano, in una sorta di organizzazione para-mafiosa. Inutile dire che, alla notizia della sparizione di Jules, anche loro si attivano nella ricerca.

La prima parte del romanzo, quella a mio parere più originale e coinvolgente, è tutta all'insegna del thriller a sfondo sociale: la questione razziale è posta senza mezzi termini, mettendo in bocca alla protagonista Mary Pat una serie di convinzioni scomode, pronunciate con un linguaggio basso, mimetico dei suoi bassifondi. E queste sono due scelte narrativamente coraggiose, in un panorama editoriale dominato troppo spesso dal politicamente corretto e dall'edulcorazione. Avvertiamo con tanta chiarezza l'angoscia di una madre in attesa di novità, perché la ricerca di Jules è sempre mediata dai pensieri e dalle paure di Mary Pat. A un certo punto che non possiamo rivelare, il romanzo piega verso l'hard boiled, con una Mary Pat che si sporca letteralmente le mani del sangue di un po' di persone (un po' troppe, a dirla tutta), facendo perdere parte del pathos fortissimo che il romanzo aveva nella prima parte. La giustizia non viene dalle forze dell'ordine, ci sembra suggerire la storia, anche se un agente, in particolare, ha modo di distinguersi. Poi, però, Dennis Lehane prepara un'ulteriore evoluzione per il suo romanzo, a cui posso alludere con una citazione: 

[...] forse l'opposto dell'odio non è l'amore. È la speranza. Perché per costruire l'odio ci vogliono anni, ma la speranza può uscire di soppiatto da un angolo, quando neanche la cerchi. (p. 139) 
Direte: speranza in un mondo così? Forse. Vaga, vaghissima. Il problema, semmai, è che fare ammenda non si può in una città devastata, che è specchio di un'integrità altrettanto devastata, quella di Mary Pat. Eppure qualcosa accade, e lascio che sia il singolo lettore a scoprire con ammirazione come Dennis Lehane sperimenti e, come aveva fatto in Mystic River, arrivi a sorprenderci nel raccontare le tante pieghe dell'animo umano. 

GMGhioni