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Attraversare il buio con la luce della scrittura: "La traversata notturna" di Andrea Canobbio

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La traversata notturna
di Andrea Canobbio
La Nave di Teseo, 2022

pp. 264
€ 21,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Non è facile recensire La traversata notturna di Andrea Canobbio, perché già risulta inadeguata la parola romanzo per questa opera candidata al premio Strega 2023. È un romanzo, è un memoir, uno studio toponomastico, topografico, etnografico, ma anche una raccolta di foto di frammenti di vita familiare e della storia della città di Torino. È lo stesso Canobbio a darci probabilmente una chiave di lettura della genesi di quest'opera (una genesi molto lunga da settembre 2012 all'ottobre 2020): 
Credevo che attraverso i ricordi i miei genitori potessero parlarmi, e invece si tenevano a distanza, ostentando una certa indifferenza. Si allontanavano, ma si facevano ritrovare. Era come segni ai morti avessero finalmente raggiunto la maturità nella mia memoria, come figli che trovano infine la propria indipendenza; come se la vita fosse una lunga adolescenza piena di infantilismo, è solo nella memoria dei vivi i morti si rivelassero circonfusi di saggezza magnanima e altera e diverse del loro splendore, il culmine delle loro virtù e dei loro difetti, ignorando i discendenti e continuando a tormentarli. (p. 400)
Non è facile - dicevo - trovare la chiave per presentare un libro non solo strano, ma profondamente coraggioso; ce ne vuole di coraggio, infatti, per scavare dentro se stessi e dentro la propria vicenda familiare e per trattare una vicenda così intima con pudore, come fa Canobbio.
Alla base di questo libro sembra che ci sia il rancore nei confronti della malattia del padre. Lorenzo Canobbio soffriva di depressione e questa malattia è stata fatta scontare alla famiglia, riempendo gli spazi delle vite della madre e delle sorelle di Canobbio. Partire dal rancore, partire da ciò che non è stato detto e  capito e arrivare, dopo 514 dense pagine, a una profonda dichiarazione d'amore per il proprio padre e per la propria madre
qualche anno fa, in un testo intitolato presentimento, scrisse una frase lapidaria, che per me è forse la madre di tutte le frasi lapidarie, soprattutto perché bugiarda (in realtà qualunque frase lapidaria o semplicemente assertiva mi è sempre sembrata falsa o comunque suscettibile di correzione): Non intendo raccontare la storia della mia famiglia. Da quel giorno, raccontare la storia della mia famiglia diventò il mio desiderio più grande punto quindi era già uno dei miei desideri più grandi, ma non nero consapevole non volevo ammetterlo o non volevo accettarlo punto dal momento in cui scrissi il contrario, non potrei più negarlo. (pp. 121-122)
Ma cosa c'è di davvero speciale, unico, nel racconto della storia della propria famiglia? Lo stesso Canobbio si rende conto che in fondo è la storia di una coppia italiana del dopoguerra, della loro felicità prima e della loro infelicità dopo E cosa vi è di eccezionale? Canobbio non si esalta nell'autobiografismo, non sceglie  la celebrazione del personale o non divaga con la volontà di formare una mitopoietica della propria infanzia e della propria adolescenza. Sceglie una strada diversa, forse ne traccia una. Lungo tutto il volume interloquisce con gli studi etnografici di Michel Leiris e Marcel Griaule e i loro studi sulla popolazione dogon. Viene spesso anche citato Lévi-Strauss e ciò mi ha fatto pensare a un parallelismo tra il pensiero selvaggio e lo scavo nella memoria che compie l'autore. Il metodo che usa Canobio per scavare e per narrare la propria vicenda familiare, infatti, segue due vie: la mappatura topografica e toponomastica della città di Torino e la comparazione con  culture extra-europee. Riguardo il primo metodo, a fine libro si trova un indice dei luoghi: è un quadrato con 81 caselle; vi è  la volontà di creare una mappatura della città di Torino. Effettuando "sopralluoghi" Canobbio fa riemergere il rimosso, il dimenticato. Ma, dicevo, vi è un'altra mappatura che è quella che il pensiero occidentale ha fatto dei miti delle credenze, delle superstizioni dei popoli extraeuropei. In questo lavoro vi è un analogo bisogno di Canobbio di spiegare il non-detto,  ma anche forse il non spiegabile. Perché ho parlato di "metodi", di "spiegazione"? Perché la cifra dello stile del libro è l'assenza di alcun pathos esibito; non vi è la volontà di commuovere o di commuoversi. Vi è uno stile iper-razionale, talvolta ironico, sempre logico (è sbagliato immaginare Italo Calvino quasi come nume tutelare?). Vi è la volontà quasi illuminista di portare a spiegazione inspiegabile.
Spiegare le battute, le barzellette, mi è sempre piaciuto. Spiegare, anche quando scrivo, anche quando non è necessario, anche quando si capisce benissimo. Spiegare: svolgere ciò che era ripiegato o avvolto, di stenderne interamente la superficie; percorrerla, attraversarla. (...) Dicono che non va bene; bisogna lasciare spazio al lettore, che si addentri da solo tra i rilievi le valli del discorso. Tutto vero ma è più forte di me. L'universo non significa mai abbastanza, l'eccesso di pensieri deve trovar posto nei risvolti delle cose. Non esiste malattia più pericolosa dell'indivisibile in mancanza di altre cure resta solo il pensiero magico. (p.226).
La domanda che sta a fondo de La traversata notturna è il perché il padre soffrisse di depressione. La ricerca della causa mette in moto un lavoro che è topografico, etnografico ma anche un lavoro storico quasi da archivista,  nel momento in cui Cannobio archivia e decodifica le lettere dei genitori che la sorella gli consegna. L'inizio della ricerca è il momento in cui la sorella consegna all'autore una borsa che contiene 420 lettere dei genitori scambiate tra il 1943 e il 1946, ossia dal momento in cui si sono conosciuti al momento in cui si sono sposati.
Più ancora che dalla sorpresa per quel patrimonio familiare di cui ignoravo l'esistenza - che le mie sorelle conoscevano forse perché erano abituate a riordinare gli armadi con mia madre, o perché mia madre aveva delegato alle figlie il compito di disfarsene dopo la sua morte, dimenticando di aver trasmesso loro anche la riluttanza di disfarsi di qualsiasi cosa in generale - ero colpito dalla solennità della scena. Mai nessuno in famiglia mi aveva affidato qualcosa in quel modo. (...) Ecco l'equivoco in cui ero caduto: mi ero convinto che velatamente mi stessero chiedendo di scrivere un libro sui nostri genitori, ora che erano morti entrambi. Che cos'altro potevano volere da me? (p. 41)
Questo non è un reportage, si lamenta Canobbio con un amico che lo ha accompagnato in uno dei sopralluoghi, eppure in questo libro che non è un romanzo, che non è un reportage, che non è uno studio etnografico, che non è un autobiografia, troviamo citati Nietzsche, Rousseau, troviamo la storia della famiglia ma troviamo la storia dell'Italia, la storia della Resistenza e della Repubblica di Salò; forse scavare nella propria memoria significa aprirsi un varco per accedere alla propria città e alla propria nazione. Per rispondere ad un'emergenza profondamente intima - Canobbio che oggi è padre deve fare i conti  ancora con le questioni irrisolte da figlio - invece di fare i conti con una memoria  claustrofobica e psicoanalitica, scompagina la memoria sua personale e la fa diventare un viaggio o meglio una traversata.
Fin dall'inizio avevo temuto che questo non fosse il libro per farla finita coi ricordi, ma il libro per farla finita coi libri; che scrivere ricordi così come ormai si erano ossificati nella mente significasse privarsi della Fonte da cui scaturivano tutte le storie (non grandi ricordi, non Grandi storie, ma comunque tutto quello che avevo) . (p. 450)
Nei sopralluoghi torinesi non può mancare il museo egizio, sopralluogo che ricorda le tante visite che Andrea bambino aveva fatto del museo. La sua interrogazione alle mummie è in fondo la domanda che si rivolge a tutti i morti, a tutti coloro che ci hanno preceduto:
Chi erano queste mummie? Cosa pensavano quando erano vive? Cosa speravano, cosa sognavano? I loro desideri erano simili ai nostri? Avevano fame? Avevano sonno? Avevano paura? E sarebbe capitato anche a noi, un giorno, di finire così, in un museo? Sarebbe arrivato un archeologo a dissotterarci, cercando di ricostruire il nostro mondo, la nostra vita? (p. 469)
Quindi l'io narrante di questo romanzo è anche un archeologo e colui che ha dissotterrato i morti ha cercato di ricostruire  la loro vita. 81 caselle dicevo di questo quadrato 81 capitoli. L'ultimo si intitola Via Gioberti 29 ed è un capitolo in cui si sicuramente l'emozione  sempre tenuta a bada viene fuori. È un capitolo bellissimo, in cui l'io narrante si riappacifica con la memoria dei suoi, si riappacifica con il cuore.  Vengono riportate alcune alcuni brani delle lettere dei genitori. Così, dopo avere tanto sentito parlare di loro, adesso sentiamo parlare loro: Mariella e Lorenzo. In questo capitolo conclusivo entriamo nella storia di un amore e sembra che quest'amore sia la storia di tutti, che esso racchiuda le nostre speranze, l'emozione, l'incanto che ognuno di noi ha conosciuto nel momento dell'innamoramento; così la domanda di Andrea Canobbio diventa anche la nostra: perché questa promessa di felicità non è stata mantenuta? perché la depressione del padre? 
Non saremo mai vecchi sposi, diceva Mariella a Renzo.
E infine siamo con loro su quella terrazza quella notte a guardare lo spettacolo della luna
Pareva che nel cielo nero fosse sorto un nuovo sole, pareva che il sole tramontato alle loro spalle avesse compiuto la sua traversata notturna in pochi secondi, per sorgere di nuovo incandescente davanti a loro, soltanto per loro. (p. 511)

Nel cielo notturno sembra sorgere un nuovo sole, anche per il lettore la traversata notturna ha portato a una gestazione di sentimenti e ad un acuirsi di sensibilità. Ma è una traversata che ci porta a confrontarci con uno stile superbo, con una  capacità di padroneggiare strutture narrative complesse, con una lucidità non solamente letteraria applicata alla letteratura. La capacità di Canobbio di edificare un romanzo-mondo è speculare alla capacità ingegneristica del padre di edificare molti dei palazzi che l'autore visita a Torino. E il nuovo sole, dinnanzi al disfacimento della capacità di costruire imposta dalla depressione è proprio la costruzione letteraria, che salva il mondo, rendendolo intellegibile.


Deborah Donato