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La fiera degli orrori del mondo contemporaneo: Claudia Grande con "Bim Bum Bam Ketamina" per Il Saggiatore

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Bim Bum Bam Ketamina
di Claudia Grande
Il Saggiatore, febbraio 2023

pp. 280
€ 19 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)


Facendo tutti questi lavori, ho scoperto tante cose di me stesso; e qualche cosa, qualche piccolo segreto, sono riuscito a cavarlo anche da voi. Sgattaiolo attraverso le vostre vite di plastica, mi godo lo spettacolo grottesco della vostra vergognosa intimità. Le vostre vite non sono perfette; esattamente come non lo è la mia. La realtà non è mai stata bella, per quanto ci sforziamo di cambiarla. L'oggi e il domani si sono mescolati in una scialba brodaglia di nonsenso; il passato è soltanto un ricordo, e il ricordo l'inganno supremo. (p. 15)
Claudia Grande, autrice di questo libro dal titolo "Bim Bum Bam Ketamina", pubblicato da Il Saggiatore a febbraio, dà vita a una personaggio sui generis ma al tempo stesso comunissimo, tanto da essere "invisibile", di nome Roberto
Roberto è un precario disperato, uno di noi, un Uomo in Affitto, tuttofare e speleologo dei dolori altrui, attraverso i quali definisce se stesso, per essere visto, amato, considerato. Per esistere. "Il fatto che lui abbia bisogno degli altri per esistere" è una sorta di slogan, se vogliamo proseguire con la questione del mettersi in vendita, che incornicia il carattere e l'indole di Roberto, il quale, per vivere e per non morire, si mette a disposizione dei capricci assurdi della gente.
Non si tratta di un vero e proprio romanzo, ma una narrazione a capitoli concatenati e conseguenti l'uno all'altro, come in una serie tv o come in raccolte di racconti non autonomi, che ci fionda nella vita assurda di Roberto e dei suoi clienti: di volta in volta, il nostro anti-eroe si vende a un'influencer imbottita di cocaina la cui migliore amica ha ben pensato di frullarsi la mano destra in un mixer per non perdere followers; a un regista svedese pazzissimo e "visionario" per la cui attrice protagonista deve fungere da semplice spalla su cui piangere, salvo poi perderla completamente nel finale della storia; si vende a una certa Dolly Mendoza per aiutarla a registrare un videoclip in cui la suddetta confessa cose indicibili su di lei e sua sorella Sadie (la storia che più di tutte ho amato); acconsente a essere assunto presso la fantomatica agenzia Real Characters Lifetime Corporation per cui interpreta ogni sorta d'attore per i clienti paganti che, non rendendosene conto (o meglio, facendo finta di non rendersene conto) sborsano fior di quattrini per avere l'illusione di parlare e essere "visti" dai propri idoli. Tra un lavoro e l'altro, seguiamo Roberto alle sue sedute di psicoterapia, in cui confessa un'infanzia misera alle prese con una sorella altrettanto pazza e dei genitori mediocri e quindi portatori dei più gravi difetti genetici da poter regalare alla propria progenie.
"Come la fa sentire il fatto che li non conosce altro modo di stare al mondo se non elemosinando affetto, attenzioni, amore, vestendo il tempo consumato di qualcun altro, il tempo che qualcuno ha già indossato tante volte e poi ha deciso di donare a lei, come si dona un vecchio pastrano, come si regala un maglione bucato a un senzatetto che medica al freddo?"
"Grasso che si sfrigola, Ginevra!" (p. 81)
Si sussegue, intervallata dai pensieri intimi di Roberto, una fiera degli orrori e delle vanità in pieno stile Thackeray, ma sollevata all'ennesima potenza, quella della follia contemporanea: concorrenti che seguono i funerali di un familiare in diretta tv, belle ragazze che sposano se stesse, puppet-parodie di Chucky ne "La bambola assassina", uomini seviziati in diretta Facebook, ricercatrici che smaltiscono pezzi di grasso, carne e nervi, disinfestatori che gasano col veleno decine di persone per strada. Tutti con un nodo in comune: quello di essere sul punto di creparsi in mille pezzi, non importa dove, come, perché e chi si porteranno appresso nella detonazione.
Lo scopo non è capire se stessi - l'unico a volerlo fare pare essere solo Roberto - ma esasperare il concetto di "vivere civilmente": cosa vuol dire? I personaggi di questo libro non vogliono vivere civilmente, vogliono spaccare, bestemmiare, urlare, ammazzare persino. Vogliono, sopra ogni cosa, mutilare, amputare: questo desiderio viene reiterato più e più volte dall'autrice - mani, gambe, ortaggi, non importa - purché si possa togliere, espropriare un oggetto, una persona, dal proprio corpo o essenza pensati per intero. Qui nessuno è intero: sono tutti puzzle mal composti, incompleti, ridicoli, e come tali ci vengono rappresentati, come uno specchio deformato che poi tanto deformato non è perché l'autrice non inventa nulla che non sia stato già fatto e visto; semplicemente prende gli eventi - pensiamo a quella pornostar che sigilla in barattolo le proprie scorregge per vederle ai fan; l'influencer cinese (notizia di non molto tempo fa) fatta a pezzi con motosega e tritacarne dai genitori dell'ex marito per soldi; un uomo che si sposa con l'ologramma di una cantane pop giapponese - e li rende sia cinematografici nella scrittura, ma terribilmente quotidiani, proprio perché sono accaduti davvero.
Di che ci meravigliamo? La realtà supera la fantasia? Eccome, e quasi sempre.
Tutto questo mondo parallelo messo in piedi da Claudia Grande si regge benissimo non solo grazie alla sua capacità di narrare l'aberrante, ma in virtù del suo stile di scrittura derisorio e dissacrante: in questo libro i personaggi bestemmiano, sono "chiavabili" o "cagne", sono "froci" o "luridi ammassi di lardo," le questioni gay/trans/queer possono essere "troiate strappalacrime" e i bambini possono essere dei "marmocchi scassacazzo". Cose che a volte vengono pensate ma non dette ad alta voce perché, beh, non sarebbe civile e assolutamente contro il politically correct che, sinceramente, ha anche un po' stancato.
Può non piacere? Assolutamente, ma se dobbiamo rappresentare un'umanità allo sbaraglio (per citare "La Corrida - Dilettanti allo sbaraglio" di Corrado, so che l'autrice apprezzerà questa mia citazione-marchettara-pop) allora bisogna dire le cose come stanno: siamo spregevoli, non ci interessa niente del bene degli altri, che tutti andassero a quel paese e il mondo fa schifo.
Devo dire che di solito non mi lascio incantare da modi di scrivere di questo tipo, ma in questo caso, considerata la natura del libro, non credo ci sarebbero state altre alternative. Un plauso a Claudia per la citazione di una delle mie canzoni preferite di sempre, ossessione di tante notti insonni, "Mandy" di Barry Manilow, e per aver fatto fare una brutta fine a Benedetta Rossi (figurata, s'intende). Ma soprattutto per avermi permesso di empatizzare con un personaggio, come quello di Roberto, che pare perfetta rappresentazione dei millennials odierni alle prese con la depressione, l'abulia e la ricerca di un posto del mondo che, scommetto, alla fine non esiste.
E la ketamina? Vi direte voi, che c'entra? Serve come metafora per poter digerire il fatto che a questo mondo si sopravvivere solo anestetizzati? Vi rispondo con una citazione di Jim Morrison, come farebbe qualsiasi influencer da quattro soldi usandola come copy sotto una sua foto con le chiappe di fuori: “Se ti droghi ti capisco, perché il mondo ti fa schifo; se non lo fai ti ammiro, perché sei in grado di combatterlo.”
Per l'interpretazione di quel "Bim Bum Bam", beh, accendete la tv e seguite Barbarella.
Consiglio a occhi chiusi a chi ha un amore inconfessabile per il libro "Woobinda e altre storie senza lieto fine" di Aldo Nove, un'ammirazione masochista per Schopenhauer e a chi ha voglia di sottolineare praticamente ogni passaggio del libro con un didascalico "LOL".

Deborah D'Addetta