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Il commissario Settembrini alle prese con un'indagine che lo porta tra le incisioni rupestri della Val Camonica. "Una breve estate lontano dalla polvere" di Tita Prestini

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Una breve estate lontano dalla polvere
di Tita Prestini
Barta, novembre 2022

pp. 207
€ 14,00 (cartaceo)


Estate 1942. Una corriera, o torpedone che dir si voglia, si inerpica fra le tortuose strade di montagna, sul filo del precipizio, fra curve e torrenti, per fermarsi esausta, con uno stantuffo, nel bel mezzo di un paesino della Val Camonica. Ne scende un passeggero, un "foresto", evidentemente, con una piccola valigia al seguito e un sacchetto con mezzo chilo di caffè.

Nella giornata assolata, in quel grumo di case dove il tempo sembra essersi fermato, l'unico rumore a muovere l'aria è lo scroscio dell'acqua dal fontanile. Su un lato della piazzetta un barbiere in giacchetta fuma fuori dalla sua bottega mentre un cagnetto cammina lungo il muro, tra la chiesa e il municipio, forse cercando un po' d'ombra. Sull'altro lato, un bugigattolo riporta la pomposa scritta "Caffè-Privativa-Alimentari" e accanto al negozietto, sopra un sedile di pietra, siedono quattro anziani immobili a osservare il (poco) movimento.
In questa cornice un po' alla Sciascia (non vi pare che ricordi un po' l'inizio de "Il giorno della civetta"?), facciamo la conoscenza del protagonista del romanzo, il vicecommissario aggiunto di polizia Fabio Settembrini, il "foresto" sceso dalla corriera, solitamente di stanza a Verona, ma spedito lassù tra i monti per indagare sulla scomparsa di una giovane archeologa, Annabella Fanelli della quale non si hanno più notizie da più di un mese. Potrebbe semplicemente aver lasciato il paese... Se non che il suo passaporto è stato trovato, circostanza inconsueta che ha dato il via alle indagini, in un luogo assai particolare: lo stomaco di un orso trovato morto su quelle stesse montagne.
Parte da qui il terzo volume della serie "Settembrini indaga" di Tita Prestini, giornalista con casa e sguardo sul lago d'Iseo. E per chi vuol conoscere le gesta del commissario (esiste addirittura una pagina Facebook "Amici del Commissario Settembrini"), questo è il libro cronologicamente più indicato perché, con un salto all'indietro nel tempo, rispetto ai due volumi già usciti, torna a un Settembrini giovane poliziotto alle prime armi.
Come in tutti i gialli che si rispettino ci sono i potenziali sospetti e gli assolutamente insospettabili. E l'autore si diverte a mescolare le carte più volte sotto gli occhi del lettore.
Di vero c'è che a ridosso del paese esiste una miniera requisita dai militari tedeschi, che vi stanno evidentemente cercando materiale prezioso magari per gli armamenti e lo fanno in un clima di segretezza e mistero. Ma in paese ci sono anche i "pitòti", così gli abitanti del borgo chiamano i graffiti disegnati sulle rocce in epoca paleolitica (tuttora una meta di turismo e di forte interesse archeologico). E se i tedeschi sono impegnati a far saltare le rocce, è chiaro che un'archeologa innamorata delle incisioni rupestri, pronta a fare intervenire il Minculpop (che non è una parolaccia, ma è l'indicazione del ministero della Cultura popolare di mussoliniana memoria) poteva dar loro fastidio. Tutta materia per Settembrini che, per indagare, sceglie di calarsi nella realtà del paese, tra gli abitanti. A partire da quella macchietta del podestà, Achille Rigon, basso e corpulento, con quei pantaloni da cavallerizzo infilati negli stivali e quella camicia nera che, più che un aspetto marziale, lo fanno assomigliare a una caricatura. Oltre al podestà ci sono la di lui moglie Clara, più marziale del marito, il medico, il prete, il barbiere, il droghiere, il giovane pastore, l'ingegnere della miniera, la vedova che affitta stanze... Tutti costoro hanno conosciuto la bella Nella, l'archeologa, che su ognuno ha avuto un certo tipo di ascendente... 
L'indagine di Settembrini si svolge tutta in questo microcosmo. Usando una giusta dose di ironia, un gusto sapido per la scrittura e un'accurata rappresentazione storica, Tita Prestini cattura l'attenzione del lettore che cerca di dipanare le fila di quel mistero prestando orecchio or qua e or là, proprio come accade in un piccolo paese, quando succede un evento che scuote la tranquilla routine e tutti, che sanno tutto fingendo di non sapere nulla o che non sanno qualcosa e colgono ogni occasione per sapere, giocano la propria parte.
Tra i personaggi del romanzo, un ruolo assai importante è rappresentato proprio da colei che il lettore non incontrerà mai, la bella archeologa scomparsa che, nei racconti e nelle memorie delle persone coinvolte, esce con una prepotenza figurativa che ne fa la protagonista, insieme a Settembrini. Naturalmente per sapere cos'è accaduto a Nella si dovrà arrivare alla fine del romanzo. Godendosi però nel frattempo il racconto di quella breve estate ... Settembrini non ci metterà più di un paio di settimane a risolvere il caso. Racconto che cammina sulle gambe dei personaggi. Uno dei punti di forza della narrazione sta proprio nella coralità delle voci: il giovane vicecommissario, convinto che tutti potrebbero sapere qualcosa, anche se apparentemente nessuno sa nulla, a poco a poco solleva passioni, gelosie, risentimenti e rimpianti. 
E poi ci sono loro, i "pitòti". Innamorato delle sue terre, lo scrittore ne fa i protagonisti di pietra. Oggi patrimonio mondiale dell'Unesco, a quel tempo erano considerati dagli abitanti poco più che sghiribizzi sui sassi. Prestini ne ricostruisce la storia inserendola nella trama del giallo, senza appesantirlo, facendone appunto i convitati di pietra. Appare chiaro fin da subito che la loro presenza millenaria, tra quelle montagne, ha un ruolo nella scomparsa di Nella. La quale studiava i Camuni forse alla ricerca di un'antica popolazione che poteva dimostrare una comune matrice ariana europea... indizio importante per lei che pareva così ben addentro alla cultura hitleriana del tempo. O no? Una donna così volitiva, indipendente, libera, almeno da come la racconta chi l'ha conosciuta, poteva appiattirsi su posizioni così discutibili? Un altro tassello posto all'attenzione del lettore giusto per infittire il mistero.
Supportato da una scrittura godibilissima, con echi che richiamano il miglior Vitali del Lago di Como e rimandi ai grandi nomi della letteratura (anche se l'omaggio a Bassani risulta forse un po' troppo smaccato), grazie a una struttura correttamente equilibrata tra la salita della tensione e la discesa dello svelamento, "Una breve estate lontano dalla polvere" è un romanzo che si legge d'un fiato. E che ha il pregio di far incuriosire il lettore verso questa nuova figura di detective, che presenta qualche bel tratto potenzialmente televisivo.
Io intanto, per non sbagliare, vado a procurarmi gli altri due romanzi del ciclo "Settembrini indaga".

Sabrina Miglio